Soprintendenza per i Beni culturali di Trapani - Soprintendenza del Mare
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The peculiar importance of the battle of the Egadi Islands is normally based on various quite different considerations, such as: the large number of participants, the decisive effectiveness of the naval victory on the conclusion of the war, the crowning of the effort made by Rome in her first challenge against the rival city, as well as the peremptory Roman success over the most gifted and experienced maritime power in the Mediterranean sea.
This last aspect has led many historians to wonder about the possible interpretations to be given to the unexpected deep involvement of the Romans in the naval warfare. Some feeble explanations considered such involvement as episodic, if not merely accidental. A more convincing assessment of the historical significance of the victory of the Egadi should follow its evaluation as part of the grand strategy of ancient Rome.
Keywords: sea control, maritime power, grand strategy, Roman fleets, naval victory.
Come accade per la maggior parte degli eventi marittimi dell’antichità romana, anche la battaglia delle Egadi è stata oggetto di interpretazioni approssimative e talvolta fuorvianti. Certo, la sua importanza storica viene solo raramente messa in dubbio, pur essendo percepita in modo alquanto diversificato a seconda dei punti di vista. Ad esempio, nel valutarla come battaglia navale, essa viene normalmente riconosciuta come una delle maggiori della storia – per numero di navi partecipanti e per la complessiva consistenza dei relativi equipaggi – nonché una delle pochissime ad aver direttamente determinato l’immediata conclusione di un conflitto. Quando l’attenzione viene invece focalizzata proprio su questo successo memorabile, allora nella vittoria delle Egadi si ravvede sia il coronamento dell’immane sforzo sostenuto da Roma nella sua prima sfida contro la città rivale, sia la perentoria affermazione romana in mare sulla più dotata ed esperta potenza marinara del Mediterraneo.
Quest’ultimo aspetto ha indotto vari storici moderni ad interrogarsi sulle possibili interpretazioni da dare all’inatteso impegno navale dei Romani, spesso avvertito come innaturale ed avventato, e non di rado ritenuto anche episodico, se non addirittura fortuito, maldestro ed inappropriato. [1]
Rincorrere tutte queste teorie per confutarle una per una sarebbe un esercizio ozioso ed aggiungerebbe confusione a confusione. Un più utile contributo alla migliore focalizzazione della valenza storica della vittoria delle Egadi può essere fornito dall’esame dell’evoluzione dei lineamenti della politica navale e marittima di Roma nelle epoche precedenti, contemporanee e successive alla prima Guerra Punica, allo scopo di valutarne la correttezza concettuale, la coerenza e l’efficacia nel più ampio quadro della grande strategia di Roma.
La concezione moderna dell’arte militare ha sempre considerato due livelli ben distinti: la tattica, intesa a predisporre e condurre i singoli combattimenti, e la strategia, che regola il complesso delle operazioni belliche in funzione della vittoria finale. Questa visione limitata della strategia, riferita alle sole attività militari condotte in tempo di guerra, va più logicamente estesa a tutte le predisposizioni ed azioni militari e civili intraprese fin dal tempo di pace [2] per fronteggiare le crisi internazionali ed ogni possibile esigenza a carattere bellico.
Salendo al massimo livello decisionale e considerando i maggiori obiettivi strategici a medio e lungo termine, si arriva al concetto di grande strategia, o strategia globale, [3] che mobilita, armonizza ed impiega in modo coordinato e sinergico tutte le risorse disponibili (diplomatiche, militari, economiche, mediatiche, ecc.) ed utili per conseguire quanto prestabilito.
Dovendo qui focalizzare l’attenzione sul lato navale e marittimo della strategia, occorre evitare di lasciarsi fuorviare da interpretazioni invalidate da una scarsa familiarità con le navi e con il mare, [4] oppure dalla saccente e compiaciuta astrusità di certe enunciazioni dottrinarie a vocazione autoreferenziale.
In realtà alla strategia marittima non giovano gli oscuri arzigogoli, poiché si regge su concetti di una semplicità cristallina, sulle leggi naturali e su di una chiara visione geopolitica, [5] nonché sulla competenza nel campo navale e nella logistica.
Nell’antica Roma le decisioni relative alla politica estera ed alla politica militare erano, in epoca repubblicana, prerogativa del Senato. Questo era dunque il custode della grande strategia, [6] anche se non potremmo trovare negli antichi annali alcuna traccia delle relative decisioni, poiché le questioni più sensibili non erano né verbalizzate, né in alcun modo divulgate. [7] Siamo comunque in condizione di desumere dalla storia [8] sia qualche indizio dei lineamenti generali della strategia marittima stabilmente seguiti dal Senato, sia i maggiori obiettivi strategici conseguentemente perseguiti nelle varie epoche: prima, durante e dopo la prima Guerra Punica. Lo faremo in modo estremamente schematico, dovendo sintetizzare in poche pagine una storia ultramillenaria.
Nei primi quattro secoli della sua storia, Roma rimase in una situazione di sostanziale accerchiamento da parte delle popolazioni confinanti. La città, dalla natura marittima fin dalle sue più remote origini, [9] ebbe pertanto fra i suoi obiettivi strategici prioritari l’acquisizione e la difesa dell’accesso al mare, allo scopo di garantire l’afflusso di viveri anche nelle situazioni più critiche grazie al trasporto navale, [10] cui affiancò anche delle navi da guerra. [11]
Nel quinto secolo ab Urbe condita, avendo consolidato la propria egemonia sul Lazio, Roma si impegnò ad estendere il proprio controllo alle altre regioni della Penisola. Inoltre, con la piccola marina da guerra costituita dopo la cattura della flotta anziate essa operò anche nel teatro marittimo, assumendo un ruolo strategico da potenza navale, [12] sia pure a livello “regionale”.
Ne abbiamo la conferma dalle quattro tipologie di missioni operative che vennero assegnate dal Senato alla flotta romana: vigilanza sulla sicurezza delle acque costiere e controllo delle acque limitrofe fino alla Campania; ricognizione degli approdi di possibile interesse in Corsica ed in Sardegna; missioni di Stato oltremare, in Egeo; presenza navale nello Ionio a sostegno di una popolazione alleata. [13]
La prima Guerra Punica è stata formalmente intrapresa dai Romani in adesione alla richiesta di aiuto pervenuta dagli alleati Mamertini. La decisione del Senato venne ponderata a lungo, essendo evidente l’elevatissimo rischio di una guerra che avrebbe inevitabilmente comportato il confronto per mare con la “superpotenza” navale cartaginese.
Vi era tuttavia una necessità strategica ineludibile: non si trattava solo di liberare Messina dai presidi militari che vi erano stati imposti, ma soprattutto di allontanare i Cartaginesi dallo Stretto. Il motivo va ricercato nella geopolitica, intesa come “influenza della geografia sulle divisioni umane”. [14] Nel caso specifico, i Romani, più che preoccuparsi per l’avvicinamento dei Cartaginesi alla nostra Penisola, [15] vedevano soprattutto minacciata la propria libertà di navigazione dal Tirreno verso lo Ionio e l’Adriatico, una libertà per essi indispensabile ai fini della protezione delle coste italiche e del relativo traffico navale. [16]
Il secondo obiettivo strategico del Senato, conseguenza del primo, fu quello di assumere il controllo della Sicilia e del mare. I Romani diedero infatti prova di aver perfettamente compreso fin dall’inizio del conflitto l’importanza e le caratteristiche del potere marittimo e si organizzarono nel migliore dei modi, avvalendosi delle loro precedenti esperienze navali, [17] per affrontare i Cartaginesi. A tal fine essi potenziarono le loro flotte con la costruzione di quinqueremi e privilegiarono le azioni di abbordaggio, seguendo in tal modo la tendenza che si stava già affermando nel mondo ellenistico. [18]
Lo svolgimento della prima Guerra Punica è stato percepito dai Romani come una lunghissima serie di battaglie navali, [19] sebbene noi ne conosciamo solo sei, verosimilmente le più importanti. In questo conflitto prettamente navale, i combattimenti in mare hanno pertanto rappresentato il maggior impegno bellico: un impegno che, tuttavia, non siamo in grado di valutare compiutamente data l’incertezza sulla completezza del quadro di cui disponiamo. Eviteremo dunque di concentrare l’attenzione sulle singole battaglie navali note, attribuendo invece un maggior interesse ai risultati strategicamente rilevanti che i Romani si sono palesemente prefissati nell’affrontare quei combattimenti e nel condurre le altre loro operazioni navali.
Un primo importante obiettivo strategico del Senato, palesato dalle decisioni assunte dopo la prima grande vittoria navale romana, fu il controllo di Corsica e Sardegna. In effetti, l’anno successivo alla battaglia navale di Milazzo, in cui Caio Duilio mise in fuga la flotta nemica dopo averle sottratto 45 navi, il Senato non inviò la flotta del nuovo console in Sicilia, ma nelle altre due isole maggiori, ove i Romani conquistarono i territori di Olbia e di Aleria superando le difese navali e terrestri puniche.
L’interesse di Roma per Corsica e Sardegna, già manifestato nel IV sec. a.C., corrispondeva certamente ad un’esigenza geostrategica altrettanto pressante di quella relativa alla Sicilia, poiché la difesa marittima della Penisola richiede necessariamente il controllo delle tre isole maggiori. [20] Il Senato ne fu talmente convinto che, al termine della prima Guerra Punica, colse il primo pretesto per costringere i Cartaginesi a rinunciare anche a quelle due isole, oltre alla Sicilia.
Un altro rilevante obiettivo strategico del Senato fu l’Africa, non come regione da conquistare, ma come territorio nemico da sottoporre a reiterate offensive intese a minare la sicurezza dei Cartaginesi e la fedeltà dei loro alleati. [21] La prima di tali offensive fu lo sbarco navale in grande stile effettuato dall’enorme flotta consolare dopo aver vinto i Punici nelle acque di Ecnomo. [22]
Ulteriori operazioni in direzione dell’Africa vennero condotte l’anno successivo, per recuperare la forza da sbarco dopo aver nuovamente sconfitto la flotta punica, e tre anni dopo per effettuare delle incursioni sulle coste prossime alle Sirti.
La determinazione romana nel continuare a tenere l’Africa sotto pressione non svanì nemmeno dopo l’annus horribilis del consolato di Publio Claudio Pulcro e Lucio Giunio Pullo (249 a.C.), in cui le forze navali romane, già colpite da due gravi naufragi, furono annientate dall’unica sconfitta da esse subita in battaglia navale e da un terzo disastroso naufragio. [23]
In tale drammatica situazione, che comportò la sospensione di ogni operazione navale romana in Sicilia per sei lunghi anni, dei privati cittadini autorizzati dal Senato utilizzarono le quinqueremi superstiti per condurre una serie di efficaci incursioni “corsare” nelle acque nordafricane, [24] costringendo le flotte puniche a sorvegliare le proprie coste anziché dirigere liberamente le loro offensive a sostegno della guerra in Sicilia e contro i porti ed il traffico del Tirreno centrale.
Il terzo fra i più notevoli obiettivi strategici perseguiti dal Senato fu il controllo degli accessi marittimi occidentali della Sicilia, a partire dal 250 a.C., quando le forze di occupazione puniche erano già ripiegate in quel limitato settore dell’isola. I Romani iniziarono con il blocco navale del porto di Lilibeo, dove era entrata a vele spiegate una flottiglia punica. Nonostante le estreme difficoltà che si incontravano nell’antichità nel mantenere una ininterrotta sorveglianza navale in mare per interdire il transito delle navi avversarie, [25] la flotta romana riuscì effettivamente ad impedire l’afflusso di rifornimenti o di aiuti tattici alla città assediata. Infatti il blocco navale venne violato – in modo peraltro inconcludente – solo da due innovative quadriremi particolarmente veloci, fino a quando le navi romane non riuscirono a catturarle entrambe, una dopo l’altra.
L’anno seguente, quello dell’annientamento delle loro flotte, i Romani mantennero il controllo del porto di Lilibeo, proseguirono l’assedio a tale città e riuscirono ad insediare dei presidi in due punti chiave per il controllo di Trapani, rendendo infido anche questo porto agli occhi dei Cartaginesi. [26] Dalle scarne informazioni pervenute non risulta che Amilcare Barca abbia più ricevuto rifornimenti navali dalla madrepatria dopo il suo arrivo in Sicilia.
Certo è che quando i Romani furono nuovamente in condizione di allestire ed armare un’altra grande flotta, con le nuove quinqueremi veloci progettate dai loro fabri navales ispirandosi alle quadriremi catturate, i Cartaginesi si trovavano ancora nella necessità di inviare al loro comandante in capo degli urgenti rifornimenti logistici vitali. I Romani poterono quindi cogliere il frutto maturato con la loro strategia andando ad intercettare la flotta di Annone alle Egadi e riportando su di essa la vittoria risolutiva grazie all’acquisita superiorità anche sul piano prettamente nautico. [27]
Avendo acquisito il dominio del mare, per i Romani si avviò quella straordinaria fase di espansione che essi stessi chiamarono transmarina. [28] Nell’arco di due soli secoli (includendo anche la prima Guerra Punica) le forze romane vennero proiettate, esclusivamente per via marittima, sulle isole e su tutte le sponde del Mediterraneo: dal primo sbarco in Sicilia (264 a.C.) all’annessione dì Cipro (57 a.C.). Solo successivamente iniziarono le consistenti acquisizioni territoriali per via terrestre ad opera di Cesare. Il controllo del Mediterraneo venne infine completato da Ottaviano ed Agrippa con le ultime tre guerre marittime della repubblica: la Sicula, la Dalmatica e l’Aziaca.
Tale risultato non è scaturito da una pianificazione strategica deliberatamente espansionista, ma dal coinvolgimento di Roma in una continua serie di conflitti non pianificati [29] provocati da eventi esterni, quali il revanscismo punico e le interminabili guerre iberiche, in occidente, e soprattutto le ricorrenti ostilità aperte dalla cronica smania di conquista delle grandi monarchie ellenistiche, in oriente.
Per tutti questi impegni bellici il Senato ha sempre mantenuto una strategia saldamente ancorata al lungimirante sfruttamento del potere marittimo: per indebolire progressivamente il nemico fino a consentire la sua definitiva sconfitta, [30] o per superare, una dopo l’altra, le più antiche ed esperte potenze navali del mondo ellenistico, oppure per effettuare sbarchi ed azioni in costa con la fanteria imbarcata, e comunque per assicurare il trasporto tattico di uomini e mezzi, oltre ad un ottimale flusso di rifornimenti logistici. [31]
Volendo riassumere in una breve espressione il prevalente criterio ispiratore della strategia adottata dal Senato, per quanto risulta dalle decisioni via via assunte, ci si può riferire al chiaro convincimento anticamente manifestato da Pompeo Magno [32] e poi ripreso in epoca moderna, nel 1814, dal primo ideatore e teorico del concetto di potere marittimo: “colui il quale ha il dominio dei mari necessariamente signoreggia”. [33]
L’instaurazione dell’impero beneficiò fin dall’inizio della favorevole situazione creatasi alla conclusione della guerra Aziaca, la cui vittoria aveva partorito la “pace sulla terra e sul mare”, come amò precisare lo stesso Augusto, [34] ponendo il giusto accento sul teatro marittimo divenuto inusualmente libero da flotte nemiche. Non si trattava peraltro di una finzione propagandistica, poiché nessuno dei pochi popoli mediterranei non ancora soggetti a Roma pareva in condizione di compromettere in qualche modo la sicurezza della navigazione, né, tanto meno, di sfidare la flotta romana.
Ciò nonostante, Augusto volle istituire le forze navali permanenti, suddividendole in molteplici flotte dislocate nelle acque più sensibili dell’impero. [35] Queste flotte furono l’efficiente e silenzioso custode della pax Augusta, nonché l’indispensabile strumento della strategia marittima in epoca imperiale: un’inedita strategia “del tempo di pace” che fu in grado di garantire la libertà e la sicurezza della navigazione, oltre a contribuire alla tutela della legalità ed alla stabilità dell’impero.
D’altronde, la stessa conformazione geografica dell’impero, disteso lungo tutte le sponde dell’ampio bacino del Mediterraneo e fiancheggiato dall’Oceano e da grandi fiumi navigabili, conferiva alla marina un ruolo strategico determinante, per i collegamenti fra Roma e le province, per il trasferimento di forze ovunque occorresse, per la sorveglianza dei confini e per la sicurezza della logistica. [36]
I compìti assolti dalle flotte imperiali furono quindi molti e variegati: da quelli a carattere bellico nelle aree di confine, al sostegno tattico, alle operazioni antipirateria, alle missioni di Stato, agli interventi di soccorso, e così via. Naturalmente le navi da guerra continuarono ad addestrarsi anche ai combattimenti in mare, pur non essendovi la percezione di alcuna minaccia navale imminente, poiché esse avevano innanzi tutto una funzione di deterrenza. [37] Ciò favorì uno straordinario sviluppo del commercio marittimo, [38] che peraltro permaneva d’importanza vitale per la città di Roma. [39]
Vissuto nel secolo di Augusto, Strabone sentì il bisogno di coniare la nuova parola “talassocrazia” per indicare quanto aveva sotto gli occhi, ovvero Roma dominatrice assoluta del mare. Oggigiorno quella stessa parola, talvolta sopravvalutata oltre misura, va certamente considerata appropriata alla potenza navale romana. [40]
Nell’esaminare le strategie adottate dagli antichi Romani nel corso della loro storia è risultato chiaro che esse hanno sempre mantenuto una corretta attenzione agli aspetti marittimi, mutando nel tempo gli obiettivi strategici per adattarli in modo pragmatico e razionale al modificarsi delle esigenze e delle opportunità.
Le decisioni assunte all’inizio della prima Guerra Punica non furono dunque un’anomalia sorprendente, risultando del tutto coerenti con l’evoluzione del pensiero strategico romano.
In tale contesto, la vittoria navale delle Egadi spicca per aver costituito, prima di quella di Azio, il primo e più determinante dei due punti nodali in cui sono avvenute le svolte epocali della storia di Roma, consentendo la diffusione della civiltà romana.
[ 1] Per un sintetico riepilogo delle varie tesi sostenute dai principali esponenti di questa tendenza: Gnoli 2011, pp. 49-51. Merita citare uno studio che, nonostante un’acuta analisi preliminare, giunge a liquidare la vittoria delle Egadi come “nulla di più che un episodio parentetico” (Loreto 2007, p. 74), soprattutto a causa della ritrosia dell’autore ad accogliere le operazioni anfibie nella strategia navale (ibid. pp. 50, 62 e 72 ), anche se la proiezione di forza dal mare andrebbe oggi considerata una delle funzioni strategiche delle forze navali.
[ 2] Vigarié 1995, p. 7.
[ 3] “il termine grande strategia … viene spesso impiegato come sinonimo di politica globale di sicurezza.” (Jean 1995, p. 14).
[ 4] Jal 1848, p. 9; Mahan 1890, p. 21; Rose 1933, p. 153.
[ 5] Célérier 1955, pp. 63-64.
[ 6] Loreto 2007, p. 6.
[ 7] Loreto 2006, p. 71. A questa segretezza accenna Tito Livio (Liv. 42,14,1).
[ 8] Per la ricerca del pensiero militare antico nella storia: Loreto 2006, pp. 170-172; per il pensiero navale romano: Carro 2013a, pp. 115-119.
[ 9] Carro 2013b, pp. 130-144.
[10] Dion. Hal. ant. 5,26,3-4; Liv. 2,34.
[11] Cfr. primo trattato tra Roma e Cartagine (Pol. 3,22).
[12] Momigliano 1942, pp. 60-61.
[13] Liv. 9,38; Theophr. h. plant. 5,8 e Diod. 15,27,4; Val. Max. 1,8,2; App. Samn. 7.
[14] Kaplan 2012, p. 60.
[15] Le flotte puniche potevano comunque sbarcare ovunque.
[16] Pallottino 1994, p. 167.
[17] Flamigni 1995, pp. 8 e 19.
[18] Reddé 1986, p. 335.
[19] “combattemmo ventiquattro anni di battaglie navali contro i Cartaginesi” (Liv. 9,19,12).
[20] Esigenza difensiva avvertita anche in epoca moderna, durante l’ultimo conflitto mondiale.
[21] “The Romans’ primary purpose of plundering was not to gather foodstuffs or even treasure, but rather to strike terror into an enemy, its allies or potential allies.” (Roth 1999, p. 305).
[22] Successo non solo tattico, “ma pur anche nel concetto strategico.” (Corazzini 1909, p. 170).
[23] Sulle perdite causate dalle burrasche alle flotte antiche e medievali cfr. Janni 2004, pp. 113 e 129.
[24] Loreto 2007, p. 217 e 221; Carro 2014, pp. 85-99.
[25] Emblematica della durezza di queste operazioni fu la morte di M. Calpurnio Bibulo (Caes. civ. 3,15).
[26] Pol. 1, 55-56. La flotta di Amilcare Barca approdata in Sicilia dopo il 249 a.C. evitò di entrare a Trapani e si accontentò di un ancoraggio precario più a nord.
[27] “the Romans … made themselves such skillful sailors …” (Potter 1981, p. 5); “Carthage … was proved inferior to the Romans in purely nautical ability.” (Jane 1906, p. 59).
[28] Flor. 1,47,1.
[29] Gnoli 2011, p. 51.
[30] Come accade con il “temporeggiamento” contro Annibale (Carro 2012, pp. 129-131).
[31] “Rome … was the first ancient power to routinely transport and supply armies on a large scale by sea.” (Roth 1999, p. 330). “Roman military success often depended more on bread than iron.” (ibid. p. 333).
[32] “Qui mare teneat, eum necesse esse rerum potiri” (Cic. Att. 10,8,4).
[33] Rocco 1911, p. 192.
[34] R. Gest. div. Aug. 1,13; analoga dizione sul monumento di Nicopoli d'Epiro (Murray, Petsas 1989, p. 76). Sul significato di terra marique cfr. Momigliano 1942, pp. 63-64.
[35] Per le flotte imperiali: Carro 2002, pp. 186-215.
[36] “la marine représentait un facteur décisif dans la stratégie du monde romain” (Reddé 1986, p. 656). Cfr. Luttwak 1997, pp.113-115; Roth 1999, pp. 220-221.
[37] “The historic task of that navy was not to fight battles but to render them impossible.” (Starr 1960, p. 7). Cfr. Reddé 1986, pp. 348-349 e 488.
[38] Casson 1976, pp. 211-212 e 220; Potter 1981, p. 6; “it is demonstrable that the Roman Empire depended quite as much on its fleets as on its roads.” (Rose 1933, p. 120).
[39] Come lamentato dall’imperatore Tiberio (Tac. ann. 3,2,54).
[40] Pagès 2001, p. 3; Starr 1989, pp. 5-6; Reddé 1986, p. 661; a proposito di Roma: “she is the only State of antiquity which deserves to rank as a great and efficient sea power.” (Rose 1933, p. ix).
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