Società Italiana di Storia Militare
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Il fascino limpido e potente del pensiero di Raimondo Montecuccoli, magistralmente presentato nell’edizione curata da Raimondo Luraghi, raggiunge la sua massima intensità nel trattato di arte militare Della Guerra col Turco in Ungheria, più noto sotto il nome di Aforismi. Ciò in quanto tale opera venne scritta dal geniale condottiero italiano nella sua piena maturità, quando egli, ovunque vittorioso, aveva ampiamente dimostrato sul terreno il valore del proprio comando ed aveva già raggiunto la più alta carica in seno all’impero, essendo ormai secondo soltanto allo stesso imperatore. La lettura degli Aforismi, in effetti, rivela l’incomparabile talento di “uno tra i maggiori teorici militari che l'umanità abbia mai conosciuto” [1], evidenziandone, in particolare, oltre al pregevole carattere universale ed allo spirito universalista, anche tutta la solare italianità: per il robusto retaggio della tradizione militare italiana e per la vitale linfa dell’umanesimo rinascimentale, a sua volta alimentato dall’appassionato studio della classicità romana [2].
Agli occhi d’un marinaio, tuttavia, si presenta la necessità di colmare una lacuna che il Montecuccoli, per carenza di specifiche esperienze, ha dovuto necessariamente lasciare nei suoi Aforismi: pur avendovi introdotto la distinzione fra guerra marittima e terrestre, precisando altresì che i “Romani dividevano la Milizia in gente da piè, da cavallo, e da marineria” [3], egli evita qualsiasi ulteriore cenno sulla Marina. Ma se avesse voluto parlarne, per completare il suo trattato, avrebbe coerentemente iniziato dall’antica Roma.
L’idea di raccogliere una serie di aforismi navali d’ispirazione romana potrebbe apparire perlomeno bizzarra, soprattutto se si rimane troppo ancorati ai vieti pregiudizi sulla congenita idiosincrasia dei Romani per il mare. In realtà, non è inverosimile che fra i primi abitanti dei colli bagnati dal Tevere, all’altezza dell’isola Tiberina, vi fosse anche qualche pastore e qualche agricoltore, insieme ai mercanti, agli artigiani, ai battellieri ed agli avventurieri che frequentavano quel trafficato crocevia. Ma, per quanto rustica possa essere stata la primissima popolazione dell’Urbe, ammesso che lo sia mai stata, a noi interessa giudicare quanto venne fatto da tutte le generazioni successive, per oltre dodici secoli di storia.
Nell’ultramillenario svolgersi della storia navale di Roma antica [4] non vi è alcuna traccia di Romani imbranati per mare. Vi si trova invece una rete di traffici marittimi efficacemente organizzati, fin dalle più remote origini [5], per i rifornimenti vitali dell’Urbe ed una marina da guerra attiva e determinata perlomeno dal IV sec. a.C.; la flotta assunse delle dimensioni imponenti a partire dal secolo successivo, per sfidare e sconfiggere per mare i Cartaginesi. Da allora i Romani, con le loro flotte sempre vittoriose, hanno condotto per oltre due secoli la loro espansione oltremare, proprio per via marittima, affrontando e superando una dopo l’altra tutte le altre maggiori potenze navali del mondo classico, fino ad estendere il loro impero su tutte le isole e le sponde dell’ampio mare Mediterraneo. Stabilita infine la pace sulla terra e sui mari, le nuove flotte imperiali permanenti garantirono stabilmente la sicurezza ed il rispetto della legalità su tutte le acque del mondo romano.
Il ruolo determinante delle forze navali romane nella conquista dell’impero e nel successivo mantenimento della pace è stato correttamente interpretato come sintomo di un “pensiero navale romano” [6]. Peraltro, una certa attenzione agli insegnamenti di strategia navale desumibili dalla storia romana era già sorta nell’800 presso studiosi del calibro di Domenico Bonamico ed Augusto Vittorio Vecchj [7]. Non va nemmeno dimenticato che perfino Alfred Thayer Mahan, il venerato “evangelista” del sea power, ha introdotto le proprie riflessioni con una lucida analisi della strategia navale vincente adottata dai Romani per battere Annibale [8] nonostante le disastrose sconfitte subite dalle legioni; merita citare l’ineccepibile spiegazione fornita dallo stesso autore a conclusione della sua analisi, per indicare le cause della generale sottovalutazione del fondamentale ruolo svolto dalla marina romana in quell’immane conflitto: “as it acts on an element strange to most writers, as its members have been from time immemorial a strange race apart, without prophets of their own, neither themselves nor their calling understood, its immense determining influence upon the history of that era, and consequently upon the history of the world, has been overlooked.”
Una sensibile difficoltà nell’individuare il “pensiero navale” all’origine degli eventi storici deriva proprio dalla limitata conoscenza delle cose di mare. Per un marinaio che ha trascorso lunghissime ore, giorno e notte, per anni ed anni, a scrutare l’orizzonte e a dirigere ed osservare la propria e le altre navi operare per mare, è impossibile non riconoscere a prima vista un altro marinaio e capire al volo il senso delle relative azioni, senza alcun bisogno di verbose spiegazioni. È probabilmente per questo motivo che gli autori precedentemente citati, ai quali aggiungo senz’altro un autorevole studioso di strategia navale come il compianto ammiraglio Antonio Flamigni [9], non hanno esitato a valutare molto appropriato l’uso del potere marittimo da parte degli antichi Romani. Per contro, ciò che appare di tutta evidenza agli occhi d’un esperto navale, non lo è affatto per molti altri studiosi che, pur essendosi diligentemente documentati ed avendo appreso a discettare abilmente di sea power e di fleet in beeing, muovono dei severi rimproveri alla condotta delle forze navali da parte dei Romani, giungendo fino a far perdere loro “sulla carta” delle guerre navali storicamente vinte [10]. Ciò ci induce ovviamente ad una più viva attenzione ed alla massima prudenza nei nostri tentativi di estrapolare il pensiero degli antichi dalle poche e frammentarie informazioni che da essi stessi ci sono pervenute.
Un’ulteriore difficoltà nella nostra ricerca di aforismi navali romani si incontra proprio nella individuazione delle pertinenti fonti antiche. Il nostro primo impulso sarebbe naturalmente quello di concentrare l’attenzione sui trattati di argomento navale e/o militare scritti in epoca romana. Anche se gli antichi Romani erano fondamentalmente dei pragmatici – più convinti della necessità dell’azione [11] e dei buoni esempi di virtù, che non di teorie astratte – essi ebbero comunque degli ottimi testi, redatti da Marco Porcio Catone il Censore (de disciplina militari, in quattro libri dedicato al figlio), Marco Terenzio Varrone (i vari libri navales, compilati per Pompeo Magno), Aulo Cornelio Celso (trattato sull’arte militare incluso nella sua opera enciclopedica Artes), Sesto Giulio Frontino (trattato De re militari, cui egli stesso accenna nella prefazione dei suoi Stratagemata), imperatori Augusto, Traiano ed Adriano (Constitutiones principis: decreti imperiali relativi alle forze armate) [12], Onasandro Platonico (Strategikòs: trattato di arte militare dell’epoca di Claudio e Nerone, basato sulle esperienze acquisite dai Romani [13]), Eliano (Taktike theoria: sintesi dell’epoca di Traiano ed Adriano di trattati tattici ellenistici), Lucio Flavio Arriano (Tactica, simile al precedente) e Polieno (Taktika, in tre libri [14] non pervenuti; Stratagemata).
Queste sono le principali fonti, in ordine cronologico, fino al II sec. a.C.; di esse ci sono pervenuti solo gli Stratagemmi di Frontino e qualcosa degli ultimi quattro autori. Di tali testi mancano tuttavia le parti specificamente navali, ad eccezione di alcuni brevi stratagemmi di Frontino e Polieno, fonti comunque interessanti perché venivano utilizzate, unitamente alla storia vera e propria, per la formazione dei giovani destinati alla carriera militare [15].
La carenza di trattati di arte militare a carattere navale o anche la loro semplice perdita potrebbero apparire come sintomi di un modesto interesse verso tali argomenti da parte della società romana [16]. Tale sospetto va tuttavia recisamente rimosso, poiché nessuno oserebbe mai dubitare che le questioni navali non rivestissero un elevato interesse nel mondo ellenistico: eppure non ci sono nemmeno pervenuti i trattati di tattica navale greci, ad iniziare da quelli di Enea Tattico [17] fino a quelli di Polibio e Pausania [18].
D’altronde i trattati disponibili all’epoca di Adriano erano ancora numerosissimi [19]. Le nostre difficoltà derivano quindi solo dalle enormi perdite verificatesi nel medioevo, com’è purtroppo accaduto a tutta la letteratura classica. Per nostra fortuna ci sono perlomeno giunti tre trattati di tattica navale di epoca più tarda: la seconda parte (Praecepta belli navalis) del libro IV della Epitoma rei militaris di Flavio Renato Vegezio [20], il testo pressoché intero dello Strategicon di Siriano Magistro [21] ed il capitolo XIX (De navali proelio) dei Tactica di Leone VI imperatore [22].
Il contenuto di questi tre testi concerne soprattutto alcuni aspetti organizzativi delle flotte e le relative istruzioni tattiche. Pertanto, per avere la percezione del “pensiero navale” dei Romani, per quanto attiene alla strategia ed alle attività delle forze marittime e del naviglio mercantile in guerra ed in pace, non sarà sufficiente limitarsi alle fonti fin qui considerate, ma ci si riferirà più in generale ad ogni altra fonte antica utile ai fini della ricostruzione della storia e dell’essenza della civiltà romana.
Il primo e più eloquente degli aforismi navali reperibili nella letteratura del mondo romano proviene da una lettera di Cicerone [23] che riferisce il pensiero di Pompeo Magno in questi termini:
Il convincimento che “chi è padrone del mare diviene padrone di tutto” è evidentemente stato uno dei più radicati principi ispiratori della grande strategia di Roma, perlomeno a partire dall’epica lotta per il dominio del mare durante la prima guerra punica, poi per tutta la successiva fase dell’espansione oltremare, ed infine in epoca imperiale, quando con la pace augustea l’intero Mediterraneo e le altre acque dell’impero furono sottoposti, per la prima ed unica volta nella storia, alla più assoluta forma di dominio del mare che si possa immaginare, ovvero alla legge di un solo stato: quella legge di Roma che, peraltro, garantì a tutti la libertà di navigazione, la libertà di pesca e la sicurezza contro la pirateria e contro ogni altro sopruso in mare.
L’implicito riferimento al principio del dominio del mare si ritrova costantemente in tutti i conflitti sostenuti dai Romani in epoca repubblicana fin dalla cattura delle navi di Anzio, non solo nelle azioni belliche direttamente compiute contro le forze navali nemiche, ma anche nella protezione delle proprie linee di comunicazione marittime, nella intercettazione di quelle di interesse nemico, nonché nella sistematica imposizione di clausole navali restrittive in tutti i trattati di pace [26].
Il più complesso ed articolato impegno bellico in cui i Romani dettero prova della loro costante attenzione all’importanza del dominio del mare fu proprio, come bene aveva intuito il Mahan, la seconda guerra punica. In questo conflitto, la risoluta ed ininterrotta attività svolta dalle flotte romane fra l’Italia, l’Africa e le penisole iberica e balcanica mostra chiaramente che il cosiddetto temporeggiamento adottato da Quinto Fabio Massimo [27] dopo il disastro del Trasimeno, e poi ripreso dopo la rotta di Canne, poggiava sulla fiduciosa attesa dei risultati – non immediati, ma inesorabili – della strategia navale, visto che questa era intesa a bloccare ovunque gli aiuti che avrebbero potuto essere inviati ad Annibale: dai suoi fratelli operanti in Spagna, dal governo di Cartagine e dal re Filippo V di Macedonia.
Il secondo aforisma che mi sembra opportuno accompagnare con un breve commento è l’universalmente nota esclamazione di Pompeo Magno [28]:
Della assoluta necessità della navigazione, anche a costo della vita, i Romani furono sempre perfettamente convinti, perché l’approvvigionamento alimentare dell’Urbe non poté mai fare a meno delle importazioni marittime: nei primi tempi tale esigenza vitale discendeva dalla scarsa affidabilità dei rifornimenti terrestri, dato l’atteggiamento ostile o infido degli Etruschi e delle altre popolazioni viciniore [29]; successivamente, il considerevole ampliamento della Città eterna ha richiesto l’afflusso di crescenti quantitativi di grano ed altre derrate dalle province d’oltremare, per insufficienza della produzione nella Penisola [30].
La dipendenza di Roma dalle importazioni marittime ha indotto i Romani a potenziare sempre più il naviglio da carico, giungendo a disporre, in epoca imperiale, di una flotta mercantile le cui enormi dimensioni ed il cui volume di carico sono rimasti insuperati fino al XIX secolo, quando fiorirono le grandi compagnie di navigazione dell’epoca moderna [31].
Avendo brevemente illustrato i due primi aforismi, rispettivamente relativi alle due essenziali componenti, militare e mercatile, del potere marittimo, segue ora la trascrizione, a titolo esemplificativo, di un limitato numero (per ovvi vincoli di spazio) di altri aforismi indicativi del pensiero navale romano.
La nave che viene giudicata buona non è quella dipinta con colori preziosi, o dal rostro argentato o dorato, né è quella con la divinità protettrice scolpita in avorio, o carica di tesori o di altre ricchezze regali, ma è la nave ben stabile e robusta, con giunture saldamente connesse ad impedire ogni penetrazione dell'acqua, tanto solida da resistere agli assalti del mare, docile al timone, veloce e non succube dei venti. (Sen. epist. 9, 2)
Nave grande, grande tenuta al mare. (Petron. 76)
Cosa potrebbe rendere, se manca il comandante, una nave ormeggiata in un porto sonnolente, quand’anche essa disponesse di tutta la sua attrezzatura e potesse sciogliere le sue vele? (Pis. 226-229)
Una nave robusta, costruita a regola d’arte … con tutta l’attrezzatura per la manovra … se il comandante non la governa e padroneggia nella tempesta, con quanta facilità, pur con il suo egregio armamento, la inghiottiranno gli abissi del mare o la faranno a pezzi gli scogli. (Apul. flor. 23)
Con la sapienza, e non con la forza, il comandante governa la nave. (Titin. Set. fr. 13)
È necessario essere marinaio prima di occuparsi del timone. (App. civ. 1, 94).
Si è forse buoni comandanti per governare una nave sotto un cielo sereno e quando il mare è di una calma assoluta? Si può forse far valere così la propria arte? Ma quanto maggiore è la superiorità del comandante che prevede ed intuisce la tempesta, che prende tutte le misure per evitarla, e che, se non può nonostante tutto sottrarvisi, conserva tuttavia integra la sua nave con il suo carico. (Iul. pan. Const. 20)
Anche nel momento del pericolo il comandante si serve della musica affinché l’equipaggio sostenga più facilmente la fatica. (Cens. 12, 3)
Il comandante non scioglie mai completamente le vele con tanta sicurezza da non tenere ben disposta e pronta l’attrezzatura per serrarle. (Sen. dial. ira 2, 31, 5)
Se uno dice che navigare è ottima cosa, ma poi aggiunge che non si deve navigare in un mare in cui si verificano dei naufragi e scoppiano frequenti tempeste improvvise che costringono il comandante in direzione opposta alla sua rotta, ebbene credo che quel tale mi proibisca di salpare l’ancora proprio mentre fa le lodi della navigazione. (Sen. dial. otio 8, 4)
È proprio da stolti aver paura del mare quando è risaputo che, per farci perire, basta un po’ d’acqua che cada a goccia a goccia! (Sen. nat. 6, 2, 5)
Non giovano alla nave nella burrasca le grida dei marinai, né i vili lamenti o le vane preghiere potrebbero mitigare i venti e le onde. Per la salvezza di tutti occorre impegnarsi al massimo e combattere con tutte le energie per regolare le vele, aspirare l’acqua, sistemare le diverse manovre, attenendosi a tutti gli ordini dell’esperto comandante. (Claud. b.Goth. 271-277)
Va lodato, anche in un naufragio, colui che viene inghiottito dal mare mentre stringe la barra del timone e permane risoluto. (Sen. cons. Marc. 6, 3)
Sbaglia ad accusare Nettuno chi fa naufragio la seconda volta! (Publ. 235)
Bisogna costruire le navi da guerra in numero sufficiente per una battaglia navale contro le navi nemiche che ci fronteggiano. Tenuto conto delle caratteristiche di queste ultime, la struttura delle nostre navi deve potersi confrontare in ogni combattimento con quelle avversarie. (Leo VI nav. 3)
Il comandante della flotta deve badare scrupolosamente, di persona, ai preparativi per la guerra (Syr. 9, 8)
Predisporrai ogni cosa nel modo che ti sembra più idoneo per la specifica missione: le navi, i combattenti in esse imbarcati, le armi, le vettovaglie ed il materiale di rispetto sulle navi da trasporto. (Leo VI nav. 22)
Qualora la forza degli schieramenti contrapposti si equivalga ..., se i nemici non procedono contro di noi, allora anche noi temporeggiamo. ... Se invece ci attaccano o saccheggiano la nostra terra, allora combattiamoli. [32] (Syr. 9, 11)
Se i nemici sono invece molto superiori a noi, ma un grande pericolo incombe sulle nostre città … dobbiamo combatterli più con l'intelligenza che con la forza, prendendo attentamente in considerazione altri fattori, quali il momento opportuno, il tempo e il luogo, fattori per mezzo dei quali spesso i più deboli hanno vinto i più forti. Circa il tempo, attaccando i nemici quando abbiamo i venti a favore ...; circa i luoghi, (scegliendo) o uno stretto o un fiume, dove la superiorità del nemico è vanificata dalla ristrettezza delle acque. (Syr. 9, 12)
Un comandante in capo deve possedere queste quattro doti: profonda conoscenza dell'arte militare, valore, prestigio, fortuna [33]. (Cic. Manil. 28)
L’arte militare … consta di armi e uomini. Queste forze sono suddivise in tre parti: la cavalleria, la fanteria e la flotta. (Veg. 2, 1)
Tutto ciò che si prepara per la guerra spetta al mare o alla terra. Infatti, i soldati combattono in terra ed altri militi combattono in mare. (Arr. tact. 3)
Le truppe di terra servono solo sul terreno; le altre, imbarcate sulle navi, combattono sul mare e sui grandi fiumi (Ael. tact. 2)
Quando le navi sono perfettamente equipaggiate, è impossibile aggiungere agli effettivi non dico parecchi uomini, ma nemmeno uno per nave. (Cic. Verr. 2, 5, 133)
Di ciascuno dei tuoi uomini devi conoscere a fondo l'indole, la disposizione mentale e ogni altra qualità concernente il valore (Leo VI nav. 21)
Per il trasporto di viveri farai anche costruire altre navi, che trasporteranno l'intero vettovagliamento degli uomini, onde evitare che le navi da guerra ne siano appesantite. (Leo VI nav. 11)
A tutte le altre contingenze si può rimediare, ma per evitare la penuria di rifornimenti non c’è altro mezzo che la previdenza. (Veg. 3, 3)
Occorre curare con ogni diligenza che le vettovaglie possano essere trasportate in sicurezza per mare ed a terra fino all’accampamento. Solo a tale condizione i fornitori saranno solerti a recapitare tutti i generi necessari. (Onas. 5, 12)
Si conducono degli assalti improvvisi contro gli equipaggi che non se l’aspettano, o si tendono degli agguati negli opportuni passaggi ristretti fra le isole. (Veg. 4, 45)
Una forza navale non ben schierata è più predisposta a sbandarsi. (Syr. 9, 1)
Manterremo la formazione … anche durante la navigazione prima dell'apparire del nemico, … perché, una volta abituate le nostre forze a disporsi anticipatamente in ordine di battaglia, possano mantenere la formazione anche al momento opportuno. (Syr. 9, 5)
Caio Duilio, vedendo che le sue navi, poco manovriere, erano facilmente schivate dall‘agilità delle navi puniche e che veniva perciò annullato il valore dei suoi uomini, inventò le “mani di ferro” [34]: non appena esse agganciavano una nave nemica, i Romani si lanciavano all’arrembaggio con l’ausilio di passerelle ed affrontavano corpo a corpo i nemici sulla stessa nave arrembata. (Frontin. strat. 2, 3, 24)
Coloro che sono resi temerari dal proprio coraggio, accostate le navi da guerra e gettate le passerelle, saltano sulle navi avversarie ed ivi, come suol dirsi, ai ferri corti, combattono corpo a corpo con le spade. (Veg. 4, 44)
I Romani non per vicende casuali, ... ma assolutamente a buon diritto, dopo essere stati messi alla prova in tante grandi e pericolose imprese, audacemente concepirono il disegno di conseguire il dominio del mare [35] e attuarono il loro proposito. (Polyb. 1, 63)
Il popolo romano, dalla nascita fino alla fine della sua fanciullezza, per un periodo di circa trecento anni sostenne guerre intorno alle sue mura. Poi, nel fiore dell’adolescenza, dopo difficili e frequenti guerre, oltrepassò le Alpi e il mare. (Amm. 14, 6, 4)
Questa fu la terza età del popolo romano, quella transmarina, nel corso della quale, osando uscire dall'Italia, esso portò le armi in tutto il mondo. (Flor. epit. 1, 47. 1)
[Durante lo sbarco navale] ogni ordine sia eseguito al segnale ed a tempo, come richiedono i canoni dell'arte militare, e soprattutto quelli della guerra marittima, soggetta ad improvvisi e rapidi mutamenti. (Caes. Gall. 4, 23)
Tutti raggiungono contemporaneamente la terra con la flotta, sbarcano dalle navi e dalle imbarcazioni e, stabilito l'accampamento, innalzano le insegne. [36] (Coel.Ant. 4 fr. 41)
Farai svolgere esercitazioni di vario genere agli equipaggi e alle stesse navi (Leo VI nav. 28)
Una nave dotata di decine di remi per parte andrà a fondo per un cavo mal sistemato. (Fronto epist. amic. 2, 13)
Agrippa, quando sopraggiungeva una tempesta, era solito ordinare ai suoi uomini di portare le sue navi fra i marosi allo scopo di agguerrirli con l’abitudine a non temere il pericolo. (Serv. Aen. 8, 682)
M. Porcio Catone, gettatosi in mezzo alla flotta mista dei nemici, dopo aver già prima vinta quella dei Punici e distribuito fra i suoi uomini le armi e le vesti puniche, affondò molte navi dei nemici, che aveva ingannati sotto le spoglie d'un alleato. (Frontin. strat. 4, 7, 12)
Gneo Scipione, in una battaglia navale, lanciò sulla flotta nemica anfore piene di pece e di legni resinosi, il cui getto mirava a recar danno, e per il peso e perché lo spargimento delle materie contenute porgeva esca all'incendio. (Frontin. strat. 4, 7, 9)
Alcuni privati Romani ottennero l’uso di navi a condizione di ripararle, ma con il diritto di trattenere per sé tutto il bottino catturato. Fra le varie offensive ch’essi condussero contro i nemici, essi navigarono fino al porto di Ippona, città africana, e vi diedero fuoco a tutte le navi e a gran parte delle installazioni portuali [37]. (Zon. 8, 16, 3-4)
Durante la navigazione invernale, [il giovane Giulio Cesare] fu catturato dai pirati … Pagati poi cinquanta talenti e liberato, non indugiò un istante: procuratesi delle navi, rincorse per mare i pirati mentre si allontanavano; catturatili, li punì col supplizio capitale che beffardamente aveva loro promesso [38]. (Suet. Iul. 4)
Il popolo romano, per il suo prestigio e per le esigenze della sua grandezza, pur non essendovi costretto da alcun imminente pericolo, in ogni tempo mantenne allestita la flotta, onde averla sempre pronta ad ogni necessità. Indubbiamente, nessuno osa sfidare o arrecare danno a quel regno o popolo, che sa essere pronto a combattere e risoluto a resistere ed a vendicarsi. (Veg. 4, 31)
Due flotte proteggevano l'Italia, l'una sul Tirreno presso il capo Miseno, l'altra sull'Adriatico presso Ravenna. (Tac. ann. 4, 5)
Con le flotte erano stanziate una legione presso Miseno ed una presso Ravenna, sia perché non si allontanassero eccessivamente dalla difesa di Roma, sia perché, all’insorgere di un’esigenza, potessero recarsi con le navi, senza indugio e senza dover aggirare la Penisola, in qualsiasi parte del mondo. (Veg. 4, 31)
Ogni nave da guerra aveva il proprio comandante, … il quale, oltre agli altri compiti nautici, curava l’addestramento quotidiano dei timonieri, dei rematori e dei militi navali. (Veg. 4, 32)
Un’immensa moltitudine naviga sul mare, aperto per tutta la sua estensione, e trova ospitali approdi su qualsiasi costa. (Plin. nat. 2, 118)
Vedi come i porti ed il mare pullulino di grandi navi! Quasi tutta la gente vive ormai sui flutti. Ovunque si presenti una speranza di guadagno, ivi una flotta accorrerà (Iuv. 14, 275-278)
Il mare Mediterraneo come una cintura cinge il centro del mondo [39] … Qui affluisce, da ogni parte della Terra e del mare, quello che producono le varie stagioni, le singole regioni … Partenze ed arrivi di navi si susseguono senza sosta; c’è da meravigliarsi che non nel porto ma nel mare ci sia abbastanza posto per tutte le navi mercantili. (Aris. enc. 11-12)
I vascelli corrono per tutti i mari, ... congiungendo le varie parti della Terra, e ci procacciano con l’aiuto dei venti tutti i beni che il mondo può fornire. (Manil. 5, 54-56)
Oggigiorno anche delle ampie flotte vengono inviate lontanissimo, fino a raggiungere l'India ed i limiti estremi dell'Etiopia (Strab. 17, 1, 13)
L’isola di Taprobane ... si protende verso l’India ... come hanno dimostrato le navi romane [40]. (Mart.Cap. 6, 696)
I
II
III
IV
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VI
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VIII
IX
X
[ 1] R. Luraghi, in Le opere di Raimondo Montecuccoli, vol. I, a cura di Raimondo Luraghi, Ufficio storico Stato Maggiore Esercito, Roma, 1988, p. 11
[ 2] Ibid, pp. 12-13, 71 e 82
[ 3] Le opere di Raimondo Montecuccoli, vol. III, Roma, 2000, pp. 261 e 267
[ 4] Ricostruzione organica in D. Carro, Classica (ovvero "Le cose della Flotta") - Storia della Marina di Roma - Testimonianze dall'antichità, Rivista Marittima, Roma, 1992-2003 (12 vol.); sintesi in D. Carro, Roma Navale, E.S.S., Roma, 2005-06 (10 tascabili)
[ 5] “Roma, è utile il dichiararlo subito, fu marinara sino dai suoi umili principi di porto fluviale e di mercato di scambio”: A. V. Vecchj, Storia generale della Marina Militare, vol. I, Tipografia di Raffaello Giusti, Livorno, 1895, p. 44
[ 6] “les Romains ont eu assez tôt conscience de l'importance stratégique de la mer …; par la suite une pensée navale relativement évoluée a pu naître, permettant l'organisation et la mise en œuvre des forces navales impériales”: J. Pagès, Y a-t-il eu une pensée navale romaine ?, in “L'évolution de la pensée navale. Tome III”, sous la direction de Hervé Coutau-Bégarie, Economica, Paris, 1993, p. 13
[ 7] “il mito di Roma antica sul mare offriva a personaggi della statura di un Bonamico o di un Vecchj la possibilità di riflettere criticamente sul passato, riservandosi di applicarne poi al presente la lezione strategica più valida”: E. Ferrante, L'eredità di Roma antica nel pensiero navale italiano, Rivista Marittima, novembre 1980, p. 31
[ 8] A. T. Mahan, The influence of sea power upon history, 1660-1783, Little, Brown and Company, Boston, 1890, pp. 14-22
[ 9] A. Flamigni, Il potere marittimo in Roma antica dalle origini alla guerra Siriaca, Rivista Marittima, Roma, 1995
[10] L. Loreto, La grande strategia di Roma nell'età della prima guerra punica (ca. 273 - ca. 229 a. C.): l'inizio di un paradosso, Jovene, Napoli, 2007, pp. 62-74
[11] Cicerone riflette bene la mentalità romana scrivendo: “tutto il pregio della virtù consiste nell’azione.” (Cic. off. 1, 19). Analoga preminenza dell’azione nel pensieri filosofici di Marco Aurelio (M.Aur. 9, 16)
[12] Le predette opere, tutte perdute, sono citate da Vegezio (Veg. 1, 8 e 4, 41)
[13] Onas. praef. 5-8; A. Galimberti, Lo Strategikòs di Onasandro, in "Guerra e diritto nel mondo greco e romano", a cura di Marta Sordi, Vita e Pensiero, Milano, 2002, p. 143
[14] Suda, Polyainos
[15] L. Ariel, Storia militare e cultura militare nei primi due secoli dell'impero, in “La cultura storica nei primi due secoli dell'impero romano. Milano, 3-5 giugno 2004”, a cura di Lucio Troiani e Giuseppe Zecchini, L'Erma di Bretschneider, Roma, 2005, p. 141
[16] In alternativa, potrebbe aver radicato “il pregiudizio che il combattimento navale non seguisse in fondo regole e forme sue, del tutto diverse da quelle del combattimento terrestre”: V. Ilari, Roman sea power. L’emersione di un tema storiografico, Rivista Marittima, Marzo 2012, p. 92
[17] Nella Poliorketika, unica sua opera pervenutaci, egli rinvia la trattazione della difesa dagli sbarchi navali e della protezione di porti al suo libro “Sui preparativi di guerra” (Aen. Tact. 8, 2)
[18] Ael. tact. 1; Arr. tact. 1
[19] Eliano afferma infatti: “Sarei troppo lungo se volessi elencare tutti quelli che hanno scritto sulla Tattica e di cui ho letto le opere.” (Ael. tact. 1)
[20] Epitome del IV-V sec., presumibilmente tratta dall’opera perduta di Frontino.
[21] Opera bizantina conosciuta anche sotto il titolo di Naumachica; è probabilmente il rifacimento di un trattato anteriore. “Non è nemmeno da escludere che tale perduto trattato sia stato scritto nel V secolo e poi rimaneggiato nel IX”: S. Cosentino, Siriano. La guerra navale (Naumachica), in "Storia della marineria bizantina", a cura di Antonio Carile e Salvatore Cosentino, Lo scarabeo, Bologna, 2004, p. 276
[22] Opera del IX sec., anch’essa ritenuta ampiamente influenzata da qualche testo tardo-romano.
[23] Cic. Att. 10, 8, 4 (lettera del 2 maggio 49 a.C.)
[24] G. Rocco, Riflessioni sul potere marittimo, Lega navale italiana, Roma, 1911 (ristampa dell'edizione di Napoli del 1814), p. 192
[25] “Il potere marittimo è nell'ordine politico una forza somma risultante di una ben ordinata Marina Militare e di una numerosa Marina di Commercio.” Vedasi in merito: A. Brauzzi, Un precursore italiano del Mahan?, Rivista Marittima, gennaio 1972, pp. 61-74
[26] Tale criterio venne applicato a partire dal 338 a.C., precludendo il mare agli Anziati (Liv. 8, 13-14)
[27] Come disse di lui il poeta Ennio: “Un uomo solo, temporeggiando, rialzò le nostre sorti” (Cic. Cato 4, 10). Per la paziente attesa: Sen. dial. ira 1, 11, 5 e 8
[28] Plut. Pomp. 50
[29] Dion. Hal. ant. 5, 26, 3-4; Liv. 2, 34. Plutarco spiega la presenza di una nave sulle più antiche monete romane con l’apprezzamento dei Romani per l’afflusso dei viveri imbarcati sulle navi (Plut. qu.R. 41).
[30] Varro rust. 2, proem., 3; O. Höckmann, La navigazione nel mondo antico, Garzanti, Milano, 1988, p. 112
[31] L. Casson, Navi e marinai dell'antichità, Mursia, Milano, 1976, p. 235
[32] Un analogo criterio venne attribuito a Scipione Africano: “bisogna affrontare in battaglia il nemico solo quando sia capitata l’occasione favorevole o non se ne possa fare a meno.” (Val.Max. 7, 2, 2)
[33] Il tema, riferito al comando di Pompeo Magno – che aveva appena concluso vittoriosamente la guerra marittima contro i pirati –, viene ulteriormente approfondito nel prosieguo della stessa orazione (Cic. Manil. 29, 36-38 e 43)
[34] Si tratta dei rampini d’arrembaggio, divenuti di uso comune fino all’epoca moderna.
[35] Dominatore del mare (possessor pelagi) venne infatti chiamato Gaio Lutazio Catulo, il vincitore della risolutiva battaglia navale delle Egadi (Sil. 6, 687)
[36] Asciutta ma efficacissima descrizione dello sbarco navale di Scipione in Africa con 440 navi, 16000 fanti e 1600 cavalieri: vi si ravvedono celerità e sincronismo, in linea con i canoni delle moderne operazioni anfibie.
[37] Queste inconsuete azioni corsare romane, iniziate forse con la partecipazione dell’ex console Caio Duilio (Frontin. strat. 1, 5, 6: evento erroneamente collocato a Siracusa, ma coincidente con quello di Ippona), proseguirono per cinque anni, dal 247 all'inizio del 242 a.C. (Zon. 8, 16, 8) e conseguirono anche un successo navale di grande rilievo all’imboccatura del golfo di Cartagine nel 245. (Flor. epit. 1, 18, 30).
[38] Celeberrimo episodio raccontato con maggiori dettagli da molte altre fonti (Vell. 2, 41-42; Plut. Caes. 1-2; Val.Max. 6, 9, 15; Polyaen. 8, 23, 1)
[39] Roma ed il suo grande porto marittimo imperiale, il Portus Augustus, costruito da Claudio e Traiano.
[40] Taprobane (Ceylon, od. Sri Lanka) venne raggiunta dai Romani all’epoca di Claudio, mentre a partire dal principato di Marco Aurelio le rotte romane si estesero fino alla Cina.
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