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DOMENICO CARROQUADRIREMI vs. VESUVIOL'operazione navale di soccorso condotta da Plinio nel 79 d.C.RECENSIONEdi Piero Pastoretto
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Si ripete spesso che chi è stato alpino lo rimane per tutta la vita. Ciò è vero, a patto che si convenga che anche chi è stato marinaio lo rimane per tutta la vita. L’Autore del presente volume è Ammiraglio della Marina Militare: e infatti, non soltanto da riconosciuto storico navale, ma da esperto comandante in mare, ricostruisce i disgraziati avvenimenti dell’anno 79.
Lo si arguisce, non dovendo neppure far ricorso a eccessiva perspicacia, scorrendo le pagine dedicate al regime dei venti e delle correnti nel Golfo di Napoli, alle condizioni meteo locali della stagione del disastro, al calcolo, fondato sulla consumata esperienza marittima dell’Autore, delle manovre effettuate dalle quadriremi misenati sotto il comando del loro ammiraglio Plinio il Vecchio.
Come anticipato eloquentemente dal titolo, l’oggetto dello studio di Domenico Carro è tanto l’eruzione dell’allora Monte Somma che distrusse Ercolano, Oplonti e Pompei, quanto soprattutto la straordinaria spedizione di soccorso marittimo per l’evacuazione della popolazione, portata a termine dalle navi prontamente salpate dalla base militare di Capo Miseno: il tutto descritto molti anni dopo nelle due celebri lettere indirizzate da Plinio il Giovane a Tacito, nelle quali è narrata anche la morte dello zio durante la spedizione.
Lo studio dell’ammiraglio Carro si può dividere in una pars destruens e in una pars construens.
La prima è indirizzata a demolire le tesi di quanti hanno messo in dubbio la testimonianza di Plinio il Giovane - al tempo dei fatti appena diciottenne, e invece uomo maturo quando li ripercorre - sospettando persino, con vera maldicenza svetoniana, una mistificazione dei fatti a scopo utilitaristico personale, od opportunisticamente tesa a far passare alla storia la figura dello zio materno come quella di un eroe.
Contro questi storici, e a favore della veridicità della testimonianza di Plinio il Giovane sull’operazione di soccorso organizzata in pochissime ore dall’ammiraglio Plinio il Vecchio, l’Autore adotta tutta una serie di argomenti che spaziano dagli apporti della psicologia e della neurologia allo studio clinico della memoria a lungo termine alla documentazione ricavabile da altre fonti contemporanee o storiche, all’accurata analisi degli ultimi ritrovamenti archeologici.
Naturalmente, i dubbi avanzati da taluni sulla testimonianza di Plinio riguardano soltanto la ricostruzione della missione di soccorso della flotta di Miseno, e non certo la celebre descrizione dell’eruzione del 79, dal momento che essa è stata accertata e accettata dagli stessi vulcanologi, al punto che sono addirittura definiti pliniani certi tipi di violente eruzioni con caratteristiche simili a quella vesuviana.
Ma è proprio nell’esame di tutti i possibili dati scientifici e archeologici sul disastro che seppellì sotto la cenere o sotto la colata piroclastica tre cittadine e decine di ville romane, che inizia la pars construens del libo di Domenico Carro. Poiché la parte senza dubbio più avvincente di tutta l’opera riguarda lo studio minuzioso della rotta tenuta dalle navi misenati, di tutte le loro manovre nautiche in un mare spaventoso e sotto una fitta pioggia di ceneri roventi e delle diverse operazioni di soccorso avvenute contemporaneamente a Ercolano e Pompei.
Operazioni che, constatato che l’unica via di salvezza per gli abitanti di Ercolano era il mare infuriato, e l’esiguo numero di scheletri rinvenuti in riva al mare compreso quello di un probabile classiario, dovettero avere un notevole successo nonostante il brevissimo tempo di allertamento.
Una ricostruzione, quella del libro, senz’altro affascinante: per la quale non basta la penna e la scienza di uno storico, ma occorre tutta l’esperienza di un uomo di mare come l’Autore, di un militare come militari erano i rematori e i classiari del Miseno, e soprattutto di un comandante che conosce la psicologia degli equipaggi guidati nelle missioni rischiose. Poiché obiettivamente si deve riconoscere che l’operazione di salvataggio delle quadriremi di Plinio il Vecchio dovette apparire, agli impavidi marinai che la portarono a termine, come una corsa verso la morte e verso la bocca stessa dell’inferno. Una missione che solo contando sull’assoluta dedizione al dovere e sull’incondizionata obbedienza degli equipaggi romani poteva essere portata a termine.
In conclusione, il libro dell’ammiraglio Carro si legge scorrevolmente, né appare mai stucchevole nonostante la sua meticolosa austerità scientifica e mostra precisamente tutti i pregi che si richiedono a un testo di storia navale della Roma antica.