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DOMENICO CARROORBIS MARITIMUSLa geografia imperiale e la grande strategia marittima di RomaRECENSIONEdi Tommaso Pistoni
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Testo di pregio, Orbis Maritimus. La geografia storica e la grande strategia marittima di Roma (Collana SISM, ACIES Edizioni, Milano 2019) è il libro più recente dell’Ammiraglio Domenico Carro, già consulente dell’Ufficio Storico della Marina e affermato specialista della storia navale e marittima di Roma antica [1], a tal motivo cooptato tra i cento membri del Gruppo dei Romanisti: alla passione dello studioso, dell’attento scrutatore di tracce – qualità indubbie da viaggiatore nel tempo – si intrecciano sia l’esperienza tecnica del manovratore di navi da guerra, sia, e non di meno, gli occhi tattili [2] del perito marinaio – capaci di catturare i reconditi dettagli della forma, dello spazio marittimo, inteso come insieme di acque e terre ad esse limitrofe.
L’immagine sulla copertina di Orbis Maritimus comunica immediatamente lo scopo del libro: sottolineare la proiezione marittima di un impero che la cultura classica ci ha abituato a pensare ‘continentale’. Le linee bianche che accennano al doppio periplo dell’Africa, dalle Colonne d’Ercole e dal Mar Rosso, e si spingono ai due estremi della Tabula Peutingeriana (l’Atlantico, il Mare del Nord e il Baltico a NE, l’Oceano Indiano a SE) danno l’idea della dimensione globale dall’impero.
Fin dal titolo il volume si colloca fra quelli che applicano allo studio del mondo antico, e in particolare dell’impero romano, il concetto liddellhartiano di «grande strategia» [3], che Carro individua in particolare nella lungimiranza e coerenza della «geopolitica» augustea (pp. 12-15) e dei «piani, principi, comportamenti» testimoniato da «Cicerone, Livio, Tacito e Frontone», richiamandosi alle considerazioni di Nina Silove sul consilium principis [4]: questa, la “triade teoretica” fungente da trampolino di lancio dello sforzo intellettuale del Nostro, il quale, proprio sui grandi comportamenti dei romani in materia di Sea Power e Sea Control, imbastisce un dialogo incalzante con le ‘tracce’ letterarie, epigrafiche o archeologiche che siano.
E qui sta a mio avviso l’importanza del saggio, perché, malgrado il tema del Seapower romano sia ormai solidamente affermato [5], è ancora insufficiente, a mio avviso, la sua connessione interdisciplinare con la geocartografia e la storia economica del mondo antico, connessione che l’Autore tiene costantemente presente. Del resto lo sviluppo dell’archeologia subacquea e delle tecniche di indagine sui reperti dei naufragi stanno straordinariamente arricchendo le nostre conoscenze in tutte queste aree di ricerca, che appaiono sempre più strettamente interconnesse. Carro affronta anche, dalla particolare prospettiva marittima, la difficoltà comune con cui debbono confrontarsi tutti coloro che applicano ad élite politiche del passato «a vision they never had and in language they would not have used» [6].
E dunque cerca nelle fonti letterarie ed epigrafiche come nelle evidenze archeologiche non solo le prove della proiezione marittima dell’impero, ma anche gli elementi indiziari di costanti geopolitiche coscienti (pp. 20-23). Il II capitolo («Conoscenze geografiche, cartografia e documenti nautici») ricostruisce misurazioni, censimenti ed esplorazioni geografiche dell’Impero e delle altre regioni raggiungibili effettuate dal I al III secolo, non solo perle esigenze amministrative delle province e per il controllo dei regni tributari, ma anche di intelligence per individuare minacce potenziali e opportunità commerciali. La gran mole di dati raccolti è stata utilizzata per la compilazione di vari tipi di testi scritti e di rappresentazioni cartografiche, inclusi pregevoli esempi di documenti di ausilio ai naviganti.
Articolato in dieci capitoli, Orbis Maritimus organizza la trattazione in modo ciclico, basandola su quasi milleduecento note, ricchissimo apparato critico, denso capitale di contributi aggiuntivi resi così disponibili al lettore interessato ad addentrarsi nei dettagli della ricerca.
Alla condizione di esistenza di una visione strategica, animante lo spirito romano nel rapporto plurisecolare di questo popolo con il mare - che C. avvalora nei bei saggi sull’età repubblicana [7], precedenti Orbis Maritimus -, si lega a stretto giro la permanenza di un “pensiero geopolitico, sia pure ante litteram”: consapevolezza il cui sostrato imprescindibile è dato dalle “conoscenze geografiche”, oggetto di analisi, insieme alla “cartografia” e ai “documenti nautici” del secondo capitolo (pag. 25-39). E’ qui che l’autore propone un quadro completo degli strumenti elaborati dall’antichità di cui ci sia pervenuta notizia: sono peripli, Tabulae depictae, itinerari marittimi, insomma, oggetti riflettenti la concezione dello spazio, delle distanze tra siti di interesse strategico (cfr. i paragrafi sullo Scudo di Dura e sulla Tabula Peutingeriana pag. 35 e 36).
Marco Vipsanio Agrippa è, nell’economia di questo capitolo, figura apicale: delle sue rilevazioni geografiche C. parla diffusamente, riconoscendone il fondamentale contributo nell’aver implementato l’intelligenza dell’orbis terrarum marique dei suoi contemporanei e posteri. Marinaio professionista, trionfatore al largo di Aktion, amico - meglio, congiunto – del Princeps, fu autore dei Commentarii che ispirarono la famosa Corografia, il planisfero murale su cui erano rappresentate le terre note al tempo di Augusto. Nel suo complesso «Conoscenze geografiche, cartografia e documenti nautici» assolve – come «Pax Augusta e costruzione dell’Impero» – funzione di struttura, trattando questioni ricorrentemente presenti nei sette capitoli successivi (cap. III-1X, pag. 41-266), i quali, pur nella varietà degli scenari geografici descritti, costituiscono, come vedremo a breve, un blocco tematico unitario.
Ad aprire la sezione più corposa del testo di C. è «Presenza navale nel Mediterraneo e ruolo strategico delle flotte imperiali», capitolo cerniera (si tratta del terzo) dove, partendo dalla precisa enumerazione e collocazione delle forze navali romane in stanza nel Mediterraneo nei secoli dell’Alto Impero nonché proponendo un raffronto con la strategia marittima statunitense – analogia «talassocratica», l’autore, procede isolando le sette «funzioni basilari» a suo giudizio attribuibili alla forze navali dispiegate dai Quiriti nel corso dei secoli che li videro signori dei mari, ovverosia: sorveglianza e difesa diretta delle coste e dei traffici, presenza navale avanzata, dissuasione, dominio del mare, proiezione di forza e assistenza umanitaria. Il paragone con le funzioni dell’U. S, Navy, corroborato da esempi storici per ciascuna delle sette funzioni di volta in volta descritte, rende immediatamente comprensibile l’importanza vitale delle cose della flotta (le classica [8]coltivate dall’Autore) sul palcoscenico geopolitico dell’Ecumene parlante latino e greco.
Al terzo capitolo, focalizzato sul Mediterraneo – cuore salato del mondo antico – e sul rapporto nevralgico che i romani vollero stabilire e conservare col suddetto mare, segue il blocco critico dei capitoli afferenti le presenze navali capitoline in acque ‘altre’ con correlate ‘proiezioni’: l’Autore parla di «presenza», e presenza militare, - dunque di controllo diretto del mare e dei corsi d’acqua - , nei capitoli IV, V, VI e VII (Oceano Atlantico, Mare del nord e mari ‘anglosassoni’, Mar Nero e Mar Rosso). Accanto alle tante ‘presenze’ riconoscibili, Carro colloca le cosiddette «proiezioni», raccogliendo sotto questo termine l’insieme delle attività esplorative firmate da Roma, degli sporadici contatti che, a posteriori (seguendo la pista), possiamo ricostruire, anche solo per ipotesi. E se è vero che il nostro autore inizia a trattare di proiezioni, di ‘slanci al largo’ già dal capitolo IV - citando l’impresa esplorativa di Giuba II oltre le Colonne d’Ercole – , è altrettanto vero che, alla navigazione verso lidi remoti, Carro dedica integralmente i capitoli ottavo («Proiezioni verso l’Oceano Meridionale». pp. 179-204) e nono (l’affascinante «Proiezioni verso l’Oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale», pp. 209-266). Tengo molto a segnalare la suddetta coppia come non plus ultra dell’opera: per la qualità oleografica delle descrizioni dei luoghi, per i ricchissimi spunti bibliografici, per la precisione delle note, assurgono al livello di monografie specialistiche e costituiscono per il lettore, semplice curioso o studente che sia, una bussola utile all’approfondimento dei contatti remotissimi – e alimentati con persistenza dai romani – con realtà organizzate popolanti le coste del subcontinente indiano (cfr. il caso di Arikamedu p. 246 e ss.), della penisola malese (il Chersoneso Aureo), fino all’odierno Vietnam.
«Strategia marittima dell’alto Impero» chiude Orbis Maritimus. Il capitolo
– e si tratta del decimo – ribadisce l’indefessa attitudine geostrategica dimostrata dai Romani nel rapportarsi con tutte le acque che si trovarono a solcare. Carro, con saggezza e precisione ci ricorda come «le cose della flotta» furono lontanissime dall’essere considerate marginali o ininfluenti dagli imperatori: presenza costante e silenziosa, cemento mai obsoleto dell’autorità dei Cesari, carta strategica sempre giocata, navi, marinai, esploratori, furono protagonisti e araldi della grandezza di Roma. Protagonisti il cui copione, grazie all’impegno dell'Ammiraglio Carro, da oggi conosciamo meglio.
[1] V. la bibliografia aggiornata al 2014 al sito societaitalianastoriamilitare.org, bibliografie dei Soci. Per la SISM ha pubblicato «Aforismi Navali Romani», Quaderno Sism 2013 American Legacy, pp. 113-131. «Vessillo Azzurro. Agrippa ammiraglio di Augusto», Quaderno Sism 2014 Naval History pp. 121-144 e ora «Transilire armati in hostium navem», Nuova Antologia Militare, vol. I, N. 2, giugno 2020, pp. 5-30.
[2] Sinestesia utilizzata in La piazza di Marianna Bettinelli (Marianna Bettinelli, Primaverili parti bolognesi, Aletti Editore, 2019, p. 33) e posta in schietto contrasto con «[...] fumi grigi/ velano gli occhi spettrali» della stanza precedente. Seguendo la medesima logica - e fuor di metafora poetica - la concreta conoscenza della ars maritima del comandante Carro funge da ausilio prezioso allo sguardo del lettore “tecnicamente” inesperto di guerra e operazioni sul mare.
[3] Edward Luttwak, The grand strategy of the Roman Empire: from the first century a. d. to the Third, Johns Hopkins U. P., Baltimora, 1976; Arther Ferril, Roman imperial grand strategy, University Press of America, Lanham, 1991; Everett L. Wheeler, «Methodological limits and the mirage of Roman strategy», The Journal of Military History, 57 (1993), pp. 7-41 e 215-240. Luigi Loreto, La grande strategia di Roma nell’età della prima guerra punica (Ca. 273-229 a. C.), Napoli, Jovene, 2007. Cfr. Id., Per la storia militare del mondo antico, Jovene, Napoli, 2006, pp. 62-66. Kimberly Kagan, «Redefining Roman Grand Strategy», The Journal of Military History, 70 (2006), No. 2 (April), pp. 333-362. V. pure i lavori di Claudio Vacanti. Il concetto è usato anche da Gastone Breccia, I Figli di Marte. L’arte della guerra nell’antica Roma, Mondadori, Milano, 2012. Per una critica a Luttwak, v. Duncan B. Campbell, «Did Rome have a Grand Strategy?», Ancient Warfare, vol. 4, No. 1, 2010, pp. 44-49. Il termine furoreggia nei war game e perfino in una sconclusionata voce («Strategy of the Roman military») della edizione inglese di wikipedia, anomala rispetto al livello mediamente serio delle altre voci storico-militari.
[4] Cfr. p. 23 ntt. 64-66, sui tre concetti di grand plans, grand principles, grand behavior, su cui poggia la nozione di grand strategy (Nina silove, «Beyond the buzzword: the three meanings of "grand strategy"», Security Studies, 2017, p.19 e s.).
[5] Virgilio Ilari, «Roman Seapower. L’emersione di un tema storiografico», in Quaderno Sism 2014 Naval History, pp. 145-168, ora in Id., Clausewitz in Italia e altri scritti militari, Roma, Aracne, 2019, pp. 163-180.
[6] Jeremy Black, Military Strategy: A Global History, Indiana U. P., 2017, p. 15.
[7] A titolo di esempio, e per taluni aspetti antesignano di Orbis Maritimus: Domenico Carro, La vittoria navale delle Egadi nella grande strategia di Roma, in La battaglia delle Egadi, Atti del convegno di Favignana, 20-21 novembre 2015).
[8] Meritano una menzione speciale per la ricchezza di spunti i 12 libri di Classica (ovvero “le cose della flotta”) - Storia della Marina di Roma - Testimonianze dall’Antichità, impresa decennale del nostro autore nonché prezioso fertilizzante per chiunque desideri coltivare lo studio della “storia marina” di Roma congiuntamente con la più lisciata storia “terrestre” (separazione del tutto arbitraria ma radicata nel senso comune).