THE NEXT BOAT CONFERENCE |
|
|
L’arte dei fabri navales, i costruttori navali dell’antica Roma, si è alimentata grazie alla loro capacità di adottare sistematicamente le tecnologie più vantaggiose e rispondenti di cui venivano a conoscenza, adeguandole alle loro specifiche esigenze e migliorandole con la propria naturale attitudine a realizzare opere robuste e di elevata qualità. Procedendo in tal modo nel corso della maggior parte della loro storia ultramillenaria, i Romani fecero continuamente evolvere la produzione dei loro cantieri navali, ponendosi in condizione di affrontare al meglio le nuove sfide e portando l’architettura degli scafi in legno ad un livello di perfezione degno di ammirazione.
Il primo fondamentale salto di qualità nelle costruzioni navali romane avvenne con l’introduzione delle quinqueremi poco dopo l’inizio della prima guerra Punica, quando il possesso delle sole triremi e delle vecchie pentecontore ancora in uso in Italia sarebbe stato ampiamente insufficiente a fronte del potere marittimo cartaginese. In quel conflitto, le più avanzate tecnologie del nemico furono acquisite in seguito alla cattura di unità puniche, che vennero accuratamente studiate dagli architetti navali romani.
Dopo aver sottratto ai Cartaginesi il dominio del mare, i Romani dovettero contrastare le sfide provenienti dalla pirateria (ad iniziare da quella illirica) e da esperte ed agguerrite potenze navali mediterranee ed oceaniche. In tutti questi impegni essi non mancarono di adattare le proprie flotte alle contingenti e sempre diverse esigenze operative, ispirandosi alle novità che incontravano nei vari mari ed ideando a loro volta molteplici soluzioni originali vincenti. Fra gli esempi più notevoli, vanno ricordate le navi da sbarco di Cesare, le poliremi turrite di Marco Agrippa, le unità oceaniche e fluviali di Germanico, oltre alle navi per usi speciali e alle macchine ed attrezzature navali.
Nel periodo dell’impero, mentre si sviluppò enormemente la flotta mercantile e lusoria, assunsero un ruolo sempre maggiore le liburne, veloci unità navali che erano state originariamente utilizzate dai Liburni per condurre le loro incursioni navali nell’Adriatico. Queste navi, catturate da Agrippa durante la guerra Dalmatica, erano state immesse nella flotta romana che aveva poi vinto ad Azio. L’eccellente prova fornita dalle liburne ne fece confermare l’adozione e la successiva diffusione nelle flotte imperiali, tanto che il termine liburna finì col divenire sinonimo di nave da guerra romana.
Se si osserva la storia di Roma con un minimo di conoscenza delle cose marittime, è impossibile non percepire la straordinaria importanza che hanno rivestito le costruzioni navali nella progressiva affermazione dei Romani, sia per superare le sfide militari più impegnative con l’uso delle flotte – flotte senza le quali l’Impero non sarebbe mai nato, né avrebbe potuto prosperare –, sia per assicurare un sempre più intenso flusso dei traffici marittimi, tenuto conto che la navigazione è sempre stata, per gli stessi Romani, una vera e propria necessità: “navigare necesse est” [1].
Non si trattò di un’espressione di maniera né di uno slogan ingannevole. Il ruolo primario e vitale della navigazione permase un fattore determinante nelle scelte dei Romani fin dalle loro più antiche origini, com’è facile desumere dalla ricostruzione organica dell’intera storia navale e marittima di Roma, recentemente pubblicata in dodici volumi dalla Marina Militare italiana [2].
I Romani ebbero in effetti la necessità di dotarsi di natanti da quando fondarono il primo insediamento della Città eterna sulla riva sinistra del Tevere, nell’VIII sec. a.C., epoca in cui il Palatino, il Campidoglio e l’Aventino erano ancora lambiti dalla profonda insenatura formata dal fiume nell’area del Velabro. Quell’ancoraggio naturale immediatamente fruibile era destinato a divenire il primo ed attivissimo porto fluviale dell’Urbe, il Portus Tiberinus [3], stabilmente collegato al mare attraverso un breve tratto dello stesso fiume, alla cui foce venne molto presto fondata la colonia di Ostia (VII sec. a.C.). L’efficiente complesso portuale – fluviale e marittimo – che ne derivò, assicurò ai Romani l’afflusso dei rifornimenti vitali necessari alla loro città, per lungo tempo circondata dall’ostilità dei vicini, ma permise loro anche di espandere per mare una rete sempre più ampia di traffici commerciali, di scambi culturali e religiosi, di legami diplomatici e di alleanze politiche, cioè di quel complesso di connessioni che, unite all’esercizio oculato del potere marittimo ed all’efficienza militare, portarono all’aggregazione dell’Impero.
Infine, poiché quest’ultimo risultò disteso lungo tutte le sponde di un mare immenso, qual’era il Mediterraneo per gli antichi [4], gli stessi Romani con le loro navi garantirono a tutti l’utilizzo in sicurezza di quelle acque, per i collegamenti fra Roma e le province e per il benessere delle relative popolazioni.
Quali furono dunque le navi che i Romani utilizzarono così efficacemente?
È abbastanza noto che la maggior parte delle navi romane può essere classificata in due grandi tipologie: le navi onerarie (da carico), ben conosciute grazie al gran numero di relitti rinvenuti, e le navi lunghe (da guerra), sulle quali abbiamo più informazioni dalle antiche fonti letterarie ed iconografiche che non da riscontri archeologici.
In realtà il panorama delle varie categorie del naviglio operante nel mondo romano è notevolmente più complesso ed articolato. L’erudito filologo romano Aulo Gellio (II sec. d.C.) ci ha tramandato l’elenco di 27 diversi tipi di navi in uso alla sua epoca [5]. Il grande mosaico romano di Altiburo (III sec. d.C.), oltre ad illustrare circa la metà delle predette navi, mostra anche la forma e le denominazioni di altri 6 tipi di unità [6]. I nomi di un’ulteriore dozzina di tipi di navi ci sono stati tramandati da fonti più tarde [7]. Se poi aggiungiamo altri vari appellativi relativi al particolare impiego di certe navi [8] ed ai tipi delle unità da guerra [9], il nostro elenco finisce per includere una sessantina di categorie di natanti.
Occorre d’altra parte considerare che la storia della navigazione romana si è svolta nell’arco di oltre un millennio, periodo nel quale le costruzioni navali sono state oggetto di una costante e consistente evoluzione tecnologica. Nel periodo più arcaico, i Romani devono aver navigato sul fiume, e poi anche in mare, con dei natanti sostanzialmente analoghi a quelli usati alla stessa epoca dagli Etruschi [10]: scafi monossili ed altre imbarcazioni strutturalmente molto semplici nel secolo VIII; costruzioni più complesse fra il VII e gli inizi del VI sec., con impiego di legni di diverse varietà e la tecnica degli scafi cuciti [11]; successiva adozione della tecnica di costruzione a fasciame portante [12] che permarrà in uso fino al basso Impero. Dalle fonti letterarie sappiamo che sul finire del VI sec. a.C. le navi onerarie romane avevano già esteso le proprie rotte fino alla Sicilia ed al nord-Africa [13]. I Romani le proteggevano con navi da guerra di foggia simile a quelle degli Etruschi, che costituivano allora una potenza navale di prima grandezza. Si trattava verosimilmente di triacontore e pentecontore [14], cui furono successivamente aggiunte anche delle triremi, sicuramente già presenti all’inizio del IV sec. a.C.. Da quell’epoca in poi la storia navale romana è meglio documentata e ci mostra tutta l’abilità dei fabri navales romani [15] nell’acquisizione di tecnologie e nell’innovazione tecnologica, come vedremo da alcuni esempi emblematici che verranno ora brevemente illustrati.
[ 1] Plut., Pomp. 50. La frase completa esclamata da Pompeo Magno, “Navigare è necessario; vivere non lo è!”, servì a spronare i comandanti navali che erano restii a prendere il mare a causa del maltempo, mentre era urgente che essi portassero i loro carichi di grano a Roma, afflitta da una grave carestia.
[ 2] Domenico Carro, Classica (ovvero "Le cose della Flotta") - Storia della Marina di Roma - Testimonianze dall'antichità, Rivista Marittima, Roma, 1992-2003 (12 volumi).
[ 3] Filippo Coarelli, Il Foro Boario: dalle origini alla fine della repubblica, Edizioni Quasar, Roma, 1992
[ 4] Cic., De prov. cons., 12
[ 5] Gell., X, 25, 5. I tipi di navi elencate da Aulo Gellio sono, in ordine alfabetico, quelli delle: actuariae (unità veloci, a vela ed a remi), camarae (navi coperte del Ponto), catascopium (nave esploratrice), caudicae o codicariae (chiatte fluviali in servizio sul Tevere), caupuli (piccole battelli da pesca), celoces (unità sottili e veloci, a vela e remi), cercuri (navi sottili e veloci, d’origine asiatica), corbitae (navi da carico, onerarie), cydarum (barca da trasporto), gauli (navi da carico mercantili, di probabile origine fenicia), hippagines o hippagogoe (navi per il trasporto di cavalli), lembi (piccole unità molto veloci), lenunculi (piccoli lembi usati per la pesca), lintres (piccoli battelli fluviali), longae (navi da guerra), mydia (piccole imbarcazioni), myoparones (navi sottili da pirati), oriae o horiae (barche da pesca), parones (navi dei pirati), phaseli (navicelle della Campania), placidae (battelli a remi), pontones (chiatte da trasporto fluviale), prosumiae o geseoretae o oriolae (piccole unità da ricognizione), ratariae (battelli a remi), scaphae (imbarcazioni, scialuppe), stlattae (chiatte), vectoriae (navi da trasporto),
[ 6] Si tratta del grande mosaico policromo della fine del III sec. d.C. proveniente da Altiburo (Tunisia) e custodito dal Museo del Bardo, in Tunisi. Esso rappresenta un gran numero di tipi di unità navali, indicando altresì il nome di 21 di essi. Oltre a 14 denominazioni già incluse nell’elenco di Aulo Gallio (vedi nota precedente), vi sono i seguenti altri nomi: aperta, celes, celsa, cladivaca, musculus, tesseraria, vegeiia.
[ 7] Nonio Marcello (IV sec. d.C.), Flavio Renato Vegezio (IV-V sec. d.C.), Giovanni Lido (V-VI sec. d.C.) e Isidoro di Siviglia (VI-VII sec. d.C.). I nomi degli ulteriori tipi di navi da essi tramandati sono: ancyromagus, barca, bemplum, carabus, carpasia, cymba (o cumba), litoraria, lusoria, portemia, pristis, sarcinaria, trabaria.
[ 8] Ad esempio, frumentariae, lapidariae, speculatoriae, tabellariae, ecc..
[ 9] I tipi conosciuti di unità navali combattenti impiegate dai Romani nelle varie epoche sono: triacontore, pentecontore, biremi e bicrote, triremi, quadriremi, quinqueremi, esaremi o exere, liburne, dromoni.
[10] Maurizio Martinelli, La più antica marineria etrusca, Rivista Marittima, Roma, maggio 2006, pagg. 73-85
[11] I corsi del fasciame erano uniti fra di loro da cavi passanti attraverso lo spessore delle tavole stesse, opportunamente scavate per tale esigenza, secondo una tecnica già conosciuta nell’Egitto faraonico e tuttora visibile nella barca solare di Cheope, esposta al Cairo.
[12] Il collegamento tra i vari corsi del fasciame era assicurato da un raffinato sistema di incastri, detto “a mortase e tenoni”: delle linguette in legno duro (tenoni) venivano infisse negli incassi (mortase) appositamente scavati nello spessore delle tavole. I tenoni venivano a loro volta bloccati con degli spinotti.
[13] Polyb., III, 22-26
[14] Le triacontore e le pentecontore erano delle navi rostrate di 18 e 30 metri, rispettivamente dotate di 30 e 50 remi (15 e 25 remi per lato), su di un solo ordine e con un solo vogatore per ogni remo. Le pentecontore, in particolare, ebbero una larga diffusione presso molte marine fra il VI ed il V secolo a.C..
[15] I fabri navales, cioè i costruttori navali dell’antica Roma, costituivano una potente corporazione di cui sono rimaste ampie tracce nei maggiori porti romani, come Ostia, Porto e Pisa. Ad Ostia, in particolare, essi possedevano una splendida sede sociale (la Schola di Traiano) ed un tempio dedicato al loro culto (il Tempio dei Fabri Navales).