Tratto da:
|
Avvertenza
Lo scritto che segue è tratto dall'ultimo capitolo, conclusivo, del libro ORBIS MARITIMVS La geografia imperiale e la grande strategia marittima di Roma. Per una migliore comprensione, potrebbe essere utile iniziarne la lettura solo dopo aver preso visione del Capitolo I (qui disponibile in formato pdf) dello stesso libro. In tale capitolo introduttivo, intitolato "Pax Augusta e costruzione dell'Impero", sono infatti presentate le finalità dello studio sulla geopolitica e sulla strategia marittima dell'Impero romano, ed è anche indicata la metodologia adottata per il reperimento di tutti i dati pertinenti, attraverso le analisi particolareggiate illustrate nei capitoli da II a IX. In questa pagina viene riprodotto il contenuto del Capitolo X con diversi adattamenti formali (rinumerazione delle note, rimozione dei rinvii ai capitoli da II a IX, esplicitazione dei riferimenti bibliografici di tutti i testi citati) intesi a consentirne la lettura come un testo a sé stante. Va comunque tenuto presente che qui sono state tratte le conclusioni dall'analisi di tutti gli elementi raccolti (fonti storiche ed evidenze archeologiche) ed illustrati nei capitoli precedenti: per un eventuale approfondimento, si renderebbe ovviamente necessaria la lettura dell'intero volume.
Prima di trarre le conclusioni da quanto è stato fatto nel campo navale e marittimo in epoca alto-imperiale, va ricordato che gli orientamenti assunti dai vari Cesari, dai loro fiduciari e dai maggiori imprenditori coevi non scaturirono da un atteggiamento mentale del tutto nuovo, ma furono ampiamente influenzati dalla ricca mole di esperienze storiche maturate nei secoli precedenti. Essi rappresentarono dunque la logica evoluzione di concetti strategici pregressi, che si sono affinati nel tempo: esistevano probabilmente già, allo stato embrionale, quando la prima Roma, in età regia, dominava dall’alto del Palatino l’ancoraggio del futuro Portus Tiberinus e la relativa area di mercato ove si incrociavano importanti traffici commerciali terrestri e fluviali, a breve distanza dal mare [1]; erano poi stati condizionati della necessità di navigare fin dai primi anni della repubblica, quando i rifornimenti navali si erano resi indispensabili per la sopravvivenza della città [2]; avevano iniziato a prendere forma circa tre secoli prima dell’avvento dell’impero, con le operazioni alquanto diversificate effettuate in mare dalla piccola flotta da guerra romana comandata dai duumviri navali [3]; avevano compiuto un gigantesco salto di qualità, due secoli prima dell’impero, quando si trattò di misurarsi con la maggiore potenza navale dell’epoca, nel bellum Poenicum [4]; avevano infine raggiunto la piena maturità nel vasto scenario della guerra Annibalica, dalle acque oceaniche davanti a Cadice fino all’Egeo, vanificando, con il dominio del mare, la spaventosa serie di schiaccianti vittorie terrestri conseguite in Italia dall’esercito invasore. Poiché l’oculata strategia marittima adottata dal Senato e tenacemente sostenuta da Quinto Fabio Massimo poteva risultare vincente solo con il trascorrere del tempo, i più avevano badato soprattutto a quest’ultimo aspetto, parlando di temporeggiamento [5]. Ma le misure messe in atto nel campo navale e marittimo erano state ben più concrete, complesse ed efficaci del mero prendere tempo nei confronti di Annibale [6].
Dopo aver sconfitto quest’ultimo in Africa ed aver incendiato le 500 navi della flotta punica al largo di Cartagine [7], i Romani avevano potuto riprendere la loro irresistibile espansione trasmarina (già avviata nella prima Guerra Punica sulle tre isole maggiori), con la proiezione di forze dal mare su tutte le sponde del Mediterraneo. In quei due secoli di operazioni navali e marittime, che avevano concorso in modo risolutivo ad estendere il dominio o il protettorato di Roma alla parte più consistente dell’impero, si erano affinati e consolidati i maggiori concetti strategici pregressi. Questi sono di particolare interesse ai fini del presente studio, essendo essi destinati ad influenzare profondamente la strategia imperiale.
Una delle preoccupazioni costanti evidenziate dal Senato dopo la vittoria navale romana sui Cartaginesi nelle acque delle Egadi era stata quella di mantenere la superiorità navale, dotandosi di flotte in grado di sconfiggere quelle dei potenziali nemici [8] e vietando ai popoli vinti di possedere navi da guerra in numero tale da costituire una sia pur minima minaccia [9]. La superiorità navale romana non era dovuta alla sola importanza quantitativa e qualitativa delle proprie navi da guerra. Ad essa contribuiva infatti in modo determinante la fanteria navale, una componente cui i Romani avevano conferito, fin dalle origini della loro marina, un ruolo ben più ampio di quello assolvibile dai pochi opliti imbarcati sulle navi greche: i classiari dovevano infatti provvedere agli arrembaggi in mare ed agli sbarchi anfibi sulla costa. Si era trattato di un’innovazione che, pur essendo coerente con l’evoluzione tendenziale delle marine ellenistiche, aveva assunto un carattere prettamente romano. Lo si era visto fin dalle grandi battaglie navali della prima Guerra Punica, vinte dai Romani proprio grazie agli arrembaggi effettuati in alto mare, non per merito dei mitici ed ininfluenti “corvi” [10], ma con l’utilizzo di rampini d'abbordaggio ed arpagoni, chiamati manus ferreae e harpagones [11]. L’oculata organizzazione romana per le operazioni anfibie aveva fornito un primo riuscito saggio in occasione dello sbarco di Scipione in Africa [12], seguito da molti altri sbarchi minori, per poi raggiungere la piena maturità con la seconda spedizione di Cesare in Britannia [13].
La superiorità navale aveva consentito di utilizzare le forze marittime (navi e classiari) in un’ampia gamma di attività intese soprattutto a: proteggere le proprie coste ed il naviglio mercantile, dando priorità ai rifornimenti vitali e alla logistica; sconfiggere per mare i potenziali nemici (flotte da guerra o piratesche); esercitare la sorveglianza di determinate acque litoranee nell’ambito di operazioni di interdizione navale, assedio navale, blocco navale o embargo; effettuare azioni offensive su coste nemiche (incursioni navali, tiro delle artiglierie imbarcate, sbarchi anfibi); condurre delle spedizioni navali quale concorso alla proiezione di forze terrestri oltremare.
L’elevata efficacia di tali forme d’impiego delle navi da guerra aveva fatto esprimere a Pompeo Magno la sua totale fiducia nella valenza assoluta del dominio del mare [14], che egli stesso aveva “restituito al popolo romano” concludendo vittoriosamente la sua folgorante guerra piratica e l’annoso conflitto contro Mitridate [15]. Più tardi lo stesso Pompeo aveva anche avuto l’occasione di affermare perentoriamente, con una formulazione sconcertante, la necessità di navigare nonostante il rischio di perdere la vita a causa del mare in burrasca [16]. Quel concetto non era certamente nuovo ai Romani, pienamente consapevoli dell’esigenza vitale di far affluire all’Urbe cospicui rifornimenti alimentari via mare, data l’insufficienza della produzione nella Penisola [17]. D’altronde era anche noto che un analogo bisogno accomunava, in epoca antica, la maggior parte delle città marittime, la cui vitalità dipendeva strettamente dal commercio navale. Pertanto i Romani avevano spesso sfruttato la necessità di navigare del nemico come una vulnerabilità utilissima, poiché esaltava l’effetto delle missioni di interdizione del traffico marittimo e conferiva un’incisività risolutiva alle operazioni di blocco navale, come si era visto nel celebre assedio di Siracusa – nonostante le ingegnose difese escogitate da Archimede –, così come in quelli di Taranto, Cartagine, Eraclea Pontica, Marsiglia e molte altre città costiere. In definitiva il dominio del mare e la necessità di navigare erano stati due nozioni cardine della strategia marittima di Roma in epoca repubblicana: entrambe erano destinate a rimanere centrali.
Abbiamo visto che l’età imperiale si è aperta con una serie di operazioni belliche volute da Augusto per garantire un adeguato livello di sicurezza all’impero, conferendo la necessaria continuità al relativo territorio e portandone i confini fin dove conveniente e sostenibile [18]. Ciò ha assicurato al dominio terrestre di Roma un assetto sostanzialmente stabile, mentre il Mediterraneo è realmente divenuto il vasto mare interno dei Romani, solcato da una fitta rete di linee di comunicazione marittime necessarie per assicurare la governabilità, la coesione ed il benessere dell’Impero. Quest’ultimo ha pertanto potuto fruire di una situazione di continuativa pace interna, interrotta solo da qualche episodica sedizione, mentre nelle aree periferiche si sono alternati dei conflitti locali, che hanno talvolta richiesto un notevole impegno di forze terrestri e navali. L’Impero si è comunque trovato in una situazione ben differente da quanto era accaduto in modo continuativo nei cinque secoli della repubblica, poiché dopo la vittoria navale di Azio e la conseguente fine del regno dei Tolomei, Roma non è mai più stata aggredita da una potenza in grado di sopraffarla [19].
La pax Augusta sulla terra e sui mari ha pertanto posto lo stesso Augusto ed i suoi successori in condizione di elaborare la propria strategia, non più in funzione delle urgenti necessità dettate da qualche improvvisa aggressione potenzialmente mortale, ma sulla base di un’attenta analisi dei rischi e delle opportunità esistenti nei mari e al di là dei confini terrestri, sotto un’ottica che possiamo certamente definire geopolitica [20]. Abbiamo peraltro visto che le lacunose fonti antiche di cui disponiamo non ci hanno fornito alcuna esplicita illustrazione delle strategie imperiali, né delle relative analisi geopolitiche. Abbiamo tuttavia avuto modo di esaminare le azioni che dalle riflessioni strategiche sono direttamente scaturite [21], nonché i molti altri eventi significativi che hanno interessato lo spazio marittimo nel rispetto delle direttive imperiali o comunque con il beneplacito dell’imperatore.
Tale esame è stato condotto nei capitoli precedenti, verificando quanto avvenuto nel Mediterraneo e nelle altre aree marittime avvolte attorno all’Impero romano ed estese fino a sfiorare i limiti del mondo fino allora conosciuto. Tutte queste acque collegate in qualche modo con il Mare nostrum costituivano quell’insieme concettualmente unito dall’interesse ch’esse suscitavano presso i Romani: quello stesso insieme che, andando oltre l’Orbis Romanus, è stato qui chiamato Orbis maritimus. È peraltro singolare osservare che un insieme non molto dissimile viene oggigiorno definito, nella nostra visione geopolitica nazionale, “Mediterraneo allargato” [22]: rispetto a quest’ultimo, l’Orbis maritimus dell’Impero romano ha avuto un’estensione leggermente inferiore a ponente dell’Africa, ma alquanto superiore nelle acque orientali dello stesso continente e soprattutto sulle rotte verso l’estremo Oriente. È altresì significativo constatare che, anche nella concezione odierna, il riferimento ad un’area marittima ben più estesa del Mediterraneo non risponde solo alle esigenze geostrategiche navali e militari, ma tiene anche conto di molteplici altri interessi nazionali afferenti alla geopolitica ed alla geoeconomia [23].
Ai fini di questo studio, la rassegna dei fatti brevemente illustrati nei capitoli precedenti è stata intesa a verificare la sostanziale continuità d’indirizzo delle azioni intraprese in epoca altoimperiale nel campo navale e marittimo. Più in particolare, potendoci basare solo sull’esame dei comportamenti, si era prestabilito di verificare se questi abbiano potuto essere il riflesso di criteri costanti nell’impiego delle risorse militari, diplomatiche ed economiche nelle aree marittime. Ciò nell’intesa che quegli stessi criteri stabili dovrebbero rappresentare, ai nostri occhi, la grande strategia [24]. È peraltro noto che le precedenti dissertazioni sulla grande strategia dell’Impero romano, esaminata limitatamente alla difesa dei confini terrestri [25], hanno suscitato qualche scetticismo [26], anche se è stata valutata plausibile l’esistenza di una certa “razionalità strategica” alla base delle scelte operate dai pertinenti decisori politici e militari [27]. Nel campo marittimo questa stessa razionalità strategica ha certamente avuto maggiori possibilità di ispirare dei criteri più stabili e longevi di quelli relativi al settore terrestre, per due ordini di motivi: da un lato, la natura propria dell’ambiente marittimo, che tende a conservare a lungo le proprie caratteristiche fondamentali – prescindendo dalla passeggera mutevolezza delle condizioni meteomarine – e che impone a tutti gli stessi vincoli, consentendo per contro delle azioni di grande efficacia secondo delle logiche perenni; dall’altro, i tempi lunghi della strategia marittima, che, pur non compiacendo gli ignari con successi visibili nel breve termine, consegue inevitabilmente dei risultati risolutivi quando gli effetti attesi giungono a maturazione [28].
In ogni caso, senza lasciarci trascinare in astruse formulazioni dei pur elementari concetti della strategia [29], ripercorreremo brevemente quanto indicato nei precedenti capitoli circa le azioni compiute in epoca imperiale per garantire la sicurezza degli spazi marittimi e per allargare l’orizzonte geografico, l’area di controllo, la zona d’influenza ed i traffici marittimi di Roma. Seguiremo dunque tale ordine, verificando, per ciascuno dei predetti obiettivi, quali siano stati gli orientamenti strategici del governo imperiale nel campo marittimo, da Augusto in poi, e se dalla successione degli eventi sia rilevabile una sostanziale continuità di indirizzo nonostante l’avvicendamento dei vari principi al timone dell’Impero.
Al fine di garantire la sicurezza di Roma, dell’Impero e dei relativi spazi marittimi d’interesse, la fondamentale innovazione concepita da Augusto è stata l’istituzione delle flotte imperiali permanenti. Queste sono state inizialmente poste a protezione dell’Italia e del Mediterraneo, e sono state successivamente moltiplicate dallo stesso Augusto e dai suoi successori, realizzando in tal modo un dispositivo navale schierato su scala “globale”, rispetto all’Orbis Romanus, a presidio dei mari e dei grandi fiumi. Tale impostazione, dovuta alla lungimiranza strategica del fondatore dell’Impero [30] – opportunamente consigliato da Marco Agrippa [31] – è stata rafforzata fino all’epoca degli Antonini, venendo in seguito accuratamente preservata per tutta l’epoca altoimperiale [32].
Le forze marittime imperiali furono tutte costituite da un elevato numero di navi e di militi navali, come si desume, soprattutto per le due flotte pretorie, dal reperimento di una grande mole di epigrafi recanti i nomi delle unità navali e dall’evidente sovrabbondanza di classiari che consentì la costituzione, in epoca neroniana e flavia, di due legioni di marina (I Adiutrix e II Adiutrix Pia Fidelis) tratte dal personale combattente rispettivamente presente a Miseno ed a Ravenna. La consistenza delle forze navali venne mantenuta costantemente elevata da parte di tutti gli imperatori, visto che nei primi decenni del IV secolo, nonostante la sopravvenuta frammentazione delle flotte, Licinio riuscì a farsi mandare ben ottanta triremi dalla classis Alexandrina, oltre a quelle fornite da altre formazioni presenti del Mediterraneo orientale, per combattere contro Costantino [33].
Le flotte imperiali furono l’efficiente e silenzioso custode della pax Augusta, nonché l’indispensabile strumento della strategia marittima in epoca imperiale: un’inedita strategia “del tempo di pace” che, come abbiamo visto, ha comportato l’assolvimento di missioni concettualmente coincidenti con quelle che si prefiggono oggigiorno le maggiori potenze navali, in una situazione che presenta qualche singolare analogia con il passato, pur in un contesto geopolitico e tecnologico del tutto diverso.
Data l’importanza e la delicatezza dei compiti assegnati alle flotte, tutti gli imperatori hanno voluto scegliere i praefecti classis fra le persone che riscuotevano la loro piena fiducia, quasi sempre [34] di rango equestre (come Plinio il Vecchio, il più celebre dei comandanti in capo navali). La continuità della strategia navale ai fini della sicurezza marittima si riflette anche nella regolare prosecuzione delle missioni permanenti assolte dalle flotte – quali la difesa delle coste [35] e le attività di presenza dissuasiva [36], sorveglianza e dominio del mare, oltre all’addestramento al combattimento navale – e nella frequente ripetizione nel tempo delle principali missioni occasionali, come le spedizioni navali oltremare o lungo l’Eufrate, la proiezione di forza dal mare o dalle navi sui grandi fiumi [37], l’interdizione o il blocco navale, le operazioni a carattere bellico nelle aree di confine o contro la pirateria, la protezione di convogli, il sostegno tattico e logistico a forze terrestri, gli interventi di soccorso e di diplomazia navale.
Il dominio del mare e le altre missioni ed attività navali sopraelencate hanno avuto quale permanente teatro operativo sia il Mediterraneo che tutte le altre acque – inclusi i grandi fiumi – dell’Impero, dall’Oceano Atlantico ai mari settentrionali, al Mar Nero ed al Mar Rosso, ed hanno sempre avuto le stesse finalità: tutelare il rispetto della legge [38] sui mari, a garanzia dei diritti di tutti, della libertà della navigazione e della sicurezza delle aree marittime, oltre a contribuire alla stabilità dell’Impero ed al successo delle operazioni belliche eventualmente necessarie.
La durevole efficacia delle operazioni di sicurezza marittima, mantenutasi fino agli inizi del secondo millennio di Roma [39], va anch’essa considerata un eccellente successo, indice della costante determinazione del potere imperiale in favore dell’efficienza e dell’operatività delle flotte. Tale aspetto può meglio essere apprezzato con un riferimento alla realtà odierna, naturalmente entro i limiti di validità di ogni raffronto fra epoche e situazioni totalmente diverse. In ambito NATO il primo dei compiti delle maritime security operations (MSO) consiste nel sostegno alla maritime situational awareness (MSA [40]), cioè alla consapevolezza della situazione marittima, conseguibile attraverso lo scambio di informazioni fra gli alleati e le agenzie civili. Le procedure piuttosto complesse per conseguire tale risultato sono considerate indispensabili per fronteggiare minacce insidiose come quelle della pirateria o del terrorismo nel teatro marittimo. Questo accade dunque in questo nostro terzo millennio, con marine militari che possono fruire di tecnologie e sistemi avanzatissimi per la scoperta, la localizzazione e l’identificazione di ogni natante, l’elaborazione e lo scambio dati in tempo reale, nonché per il contrasto a distanza di qualsiasi minaccia. Eppure ancora oggi, nonostante tali possibilità e sebbene i mezzi della paventata minaccia permangano piuttosto primitivi, si valuta che il problema sia tutt’altro che semplice [41].
Rimane ora da riesaminare brevemente le azioni compiute in epoca imperiale per allargare l’orizzonte geografico, l’area di controllo, la zona d’influenza ed i traffici marittimi di Roma. Abbiamo visto che l’orizzonte geografico dei Romani si è sensibilmente allargato al di là dei confini dell’orbis Romanus a partire dal principato di Augusto, per volontà dello stesso imperatore, la cui costante preoccupazione è stata quella di acquisire una cognizione più precisa delle regioni e delle popolazioni lontane ma raggiungibili: questo era infatti stato il senso della spedizione della flotta nel Mare del Nord fino agli accessi del Mar Baltico, della ricognizione navale di Giuba II alle Canarie, delle operazioni di Lucio Cornelio Balbo nel Fezzan e della risalita del Nilo oltre la prima cateratta da parte di Gaio Cornelio Gallo, così come la finalità primaria della spedizione di Gaio Elio Gallo nel Mar Rosso e lungo la sua sponda orientale in direzione dell’Arabia Felice. I successivi principi sono evidentemente stati animati da un’analoga volontà, come si vede dai dati frammentari che ci sono pervenuti: spedizione militare di Gaio Svetonio Paolino lungo la fascia marittima occidentale dell’Africa oltre l’Atlante, all’inizio del principato di Claudio, periodo entro il quale venne anche raggiunta casualmente l’isola di Taprobane; esplorazioni geografiche effettuate su mandato di Nerone verso il Mar Caspio ed alla ricerca delle fonti del Nilo; osservazione dell’Irlanda e verifica dell’insularità della Britannia effettuate da Agricola in epoca Flavia; ricognizione navale condotta in prima persona da Traiano nel Golfo Persico; progressivo arricchimento delle conoscenze geografiche romane acquisite tramite i comandanti delle onerarie inviate lungo la costa orientale dell’Africa e verso l’India e l’estremo Oriente, a partire dal secolo di Augusto fino a raggiungere la massime distanze all’epoca degli Antonini.
I dati acquisiti sono stati valorizzati attraverso la diffusione di testi di geografia e storia naturale, di corografie, di rappresentazioni grafiche (su planisferi, carte geografiche e topografiche, itineraria picta, mappe stilizzate), guide per i viaggiatori (itinerari) e documenti nautici (itinerari marittimi e peripli [42]), fino pervenire all’opera geografica più ricca di dati di tutta l’antichità, quella di Claudio Tolomeo. Questo trattato, oltre a rappresentare la migliore testimonianza della straordinaria estensione geografica delle conoscenze ottenute dai Romani grazie alle più remote navigazioni del loro naviglio militare e mercantile, era destinata a permanere, nel suo campo, il testo di riferimento più importante per la cultura europea fino agli albori dell’epoca moderna [43].
Tutte le nuove informazioni sulle città portuali, le coste e le regioni lontane erano di spiccato interesse strategico per il potere imperiale, non per timore di aggressioni o per smania di conquiste territoriali, ma per la continua ricerca di nuove opportunità politiche, commerciali e culturali [44], secondo una mentalità romana che tendeva sempre più verso un universalismo saldamente incentrato su Roma, come venne efficacemente espresso dall’imperatore Marco Aurelio [45]. La geografia imperiale, che è stata definita “culturale” per la sua presunta incompatibilità con quella “scientifica”, è in effetti stata considerata, fin dall’epoca di Augusto, un insieme di informazioni indispensabili ad ogni statista per le proprie valutazioni geostrategiche [46] e, più in generale, geopolitiche. Secondo Strabone, infatti, la conoscenza della geografia è necessaria ai governanti ed agli uomini d’affari, soprattutto in vista di grandi imprese. Per tale motivo il geografo non scrive per dilettare il lettore, ma per fornirgli dati utili, quali ad esempio: la posizione reciproca delle varie regioni, i luoghi più o meno favoriti dalla natura e dal clima, le loro caratteristiche temporanee o permanenti, le località che vantano una certa celebrità, le tradizioni locali circa azioni memorabili, costituzioni politiche ed arti, il tipo di governo e l’eventuale opportunità di allacciare con esso delle relazioni politiche o commerciali [47].
L’allargamento dell’orizzonte geografico dei Romani è stato allo stesso tempo causa e conseguenza di altri tre fenomeni che, a loro volta, si sono reciprocamente condizionati ed incentivati: l’estensione della zona d’influenza, dell’area di controllo e dei traffici commerciali di Roma. Anche in queste tre direzioni è stato possibile rilevare la coerenza dei progressi verificatisi, scaturiti dalle scelte operate dai vari principi, o comunque agevolati o assecondati dalla politica imperiale.
Tutto ha avuto inizio, anche per questi progressi, dalla vittoria navale di Azio, che non ha solo determinato le condizioni per instaurare la pax Augusta nel Mediterraneo, ma ha anche consentito all’Impero romano di rafforzare ed estendere la propria influenza sugli altri mari, in ogni direzione ma soprattutto verso l’Oriente. Le flotte militari dislocate nei vari bacini hanno consentito ad Augusto di acquisire il controllo della fascia costiera della Germania fino all’Elba, di ripristinare o di stabilire ex novo dei patti di amicitia con i reguli in Britannia, con i monarchi del Bosforo Cimmerio e con il re degli Omeriti e dei Sabei, nonché di allacciare delle relazioni amichevoli con i Cimbri e gli altri popoli germani dello Jutland, con gli Aduliti e con il regno di Meroe, mentre l’avvio di un intenso traffico mercantile verso l’India ha determinato la stipula di accordi di amicizia con il regno IndoGreco e con quello della dinastia Pandya, a garanzia della sicurezza delle onerarie romane e degli agenti marittimi distaccati nei porti indiani. In tali condizioni gli armatori romani poterono commerciare proficuamente dal Mediterraneo al Mare del Nord, nonché, a ponente, dalla Britannia alle Canarie e, a levante, dal Mar Rosso fino all’India, dando già la sensazione che tutto il mondo abitabile fosse raggiungibile ed utile al benessere dell’Impero [48].
L’impostazione augustea è stata seguita dai successivi Cesari, con maggiore o minore enfasi a seconda delle opportunità o delle difficoltà contingenti. In particolare, Tiberio ha fatto proseguire a Germanico le azioni navali e terrestri dal Mare del Nord verso la Germania e sembra aver investito ingenti risorse finanziarie per il traffico marittimo nel Mar Rosso. Gaio Caligola ha emulato Augusto nell’uso della flotta quale strumento di “persuasione” verso la Britannia, nel riprendere – con due eccellenti comandanti – le vittoriose operazioni terrestri e navali in Germania, nell’incentivare le costruzioni navali ed il commercio con l’India (che sotto il suo principato, o subito dopo, ha adottato la rotta diretta, in alto mare). Claudio ha provveduto all’invasione della Britannia, ha inviato in Germania Corbulone, autore di vari successi terrestri e navali prima di essere fermato, ed ha concesso l’amicizia al regno di Taprobane. Nerone ha inviato una spedizione militare sul Nilo, per rafforzare i legami di amicizia con il regno di Meroe; ha istituito una nuova flotta imperiale permanente nel Mar Nero (classis Pontica) e l’ha subito utilizzata per prendere possesso della fascia costiera del Ponto e della Colchide; nel periodo neroniano anche le cittàstato di Olbia e Tira sono state attirate nell’orbita romana; le rotte marittime sono state estese sia verso nord, nell’area baltica (ove è anche iniziato il reclutamento di combattenti, con una conseguente penetrazione della cultura romana), sia verso sud, lungo la costa orientale dell’Africa equatoriale. Sotto il principato dei Flavi, Agricola ha utilizzato la classis Britannica per assumere il controllo della parte settentrionale della Britannia, incluse la Caledonia e le isole Orcadi, e per attrarre l’Ibernia nella sfera d’influenza dell’Impero, determinando un ulteriore prolungamento delle rotte romane verso quelle acque; nello stesso periodo il traffico marittimo romano verso oriente aveva già raggiunto stabilmente le foci del Gange.
Con Traiano l’impulso imperiale per il miglior controllo e per il massimo sfruttamento degli spazi marittimi è risultato ancor più riconoscibile, grazie ai molti dati significativi di cui siamo venuti a conoscenza. Oltre all’oculato utilizzo delle due flotte danubiane per la guerra Dacica, di altre due flotte sull’Eufrate e sul Tigri per la guerra Partica, e delle due flotte pretorie per entrambi i predetti conflitti di elevata valenza strategica, spiccano particolarmente, per la loro evidente complementarietà, i provvedimenti ch’egli ha assunto per il Mar Rosso: potenziamento della flotta militare in questo bacino, scavo dell’Amnis Traiani per collegare questo stesso mare con il Mediterraneo, annessione dell’Arabia Nabatea e insediamento di un contingente navale e di un presidio nel Ferresani portus. La scelta della maggiore delle isole Farasan risulta strategicamente felicissima, essendo una soluzione ottimale per rispondere a due diverse esigenze: da un lato, il controllo del traffico navale in transito nello stretto di Bab elMandeb, l’unico choke point [49] (punto di strozzatura, d’ingorgo) delle linee di comunicazione marittime fra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano; dall’altro, l’ostentazione di una presenza navale dissuasiva nei confronti delle due sole altre potenze affacciate sul Mar Rosso: il regno degli Axumiti e quello degli Omeriti e dei Sabei. In tal modo, oltre ad assicurarsi uno stretto controllo del Mar Rosso [50], i Romani si mostravano come i detentori del dominio del mare e come imprescindibili arbitri nelle controversie fra i due regni.
I vari provvedimenti innovativi decisi da Traiano sono stati a giusto titolo considerati come parti di un unico piano ideato dall’imperatore [51]. Va tuttavia sottolineato che questo piano non si presenta come una nuova strategia, ma come un complesso di azioni che risultano del tutto coerenti con la strategia seguita dai precedenti Cesari, anche se esse hanno visibilmente risentito del maggior vigore impresso dall’Optimus princeps alle proprie mosse. Ne sono scaturiti un sicuro beneficio, in termini di sicurezza, per il traffico marittimo diretto nell’Oceano Indiano ed un incremento del peso politico e del prestigio di Roma, sia nell’area del Mar Rosso, sia, di riflesso, anche in India. Della prima conseguenza vi è un riscontro nell’intensificazione del traffico mercantile romano al di là dello stretto di Bab elMandeb, traffico che aveva già raggiunto dei livelli molto elevati sotto i Flavi [52] e che ha subito un ulteriore incremento in epoca traianea [53]. Del rinvigorito prestigio di Roma si ha un riflesso nella ripresa delle ambascerie inviate dall’India, che hanno raggiunto sia lo stesso Traiano, che i suoi due immediati successori, Adriano e Antonino Pio.
La politica degli Antonini nel campo marittimo non si è discostata da quella traianea, ed è stata accompagnata dal prolungamento delle rotte marittime nel golfo del Bengala, fino alla penisola malese, per poi affacciarsi nel Mar Cinese Meridionale, verso i porti della costa dell’odierno Vietnam e del golfo del Tonchino, in acque cinesi [54]. Tale tendenza si è perfezionata sotto il principato di Marco Aurelio, con l’invio per via marittima della prima ambasciata romana in Cina [55]. La continuità della politica marittima imperiale e dell’attenzione di Roma verso l’estremo Oriente, è confermata dalla perdurante operatività della via della seta marittima, dal protrarsi del successo delle importazioni dalla Cina e dall’invio di ulteriori ambascerie romane presso i re e gli imperatori cinesi, sempre con viaggio per mare, come è accaduto sotto il principato di Alessandro Severo e durante quello di Caro.
Per completare il riepilogo relativo all’espansione dei traffici marittimi, mantenendo una maggiore attenzione verso quelli più redditizi in direzione dell’Oriente, occorre ricordare anche le azioni che, essendo state compiute dal potere imperiale in modo pressoché continuativo, non hanno potuto essere incluse fra i provvedimenti finora richiamati in ordine cronologico. Per le costruzioni navali, vi è stato il contributo degli imperatori alla prosperità dei cantieri navali mediante le stesse commesse imperiali: a partire dalle gigantesche navi progettate espressamente per il trasporto degli obelischi [56] o di altri carichi eccezionali [57], alle grandi naves lapidariae concepite per caricarvi i marmi [58] necessari per le continuative esigenze di costruzioni pubbliche e private dei principi, alle navi da guerra ed onerarie delle flotte militari, anche nel Mar Rosso. Vi sono altresì stati degli importanti incentivi decretati dagli imperatori a beneficio dei costruttori navali e degli appartenenti alla corporazione degli armatori, il corpore naviculariorum [59]. Per migliorare la portualità, vi sono stati i lavori edilizi e le opere marittime per la costruzione, il potenziamento e la manutenzione di porti e basi navali; nel Mar Rosso, in particolare, delle ingenti risorse dello Stato sono state impiegate per ricostruire ex novo i porti di Clisma, Myos Hormos e Berenice, necessari per accogliere un traffico navale in crescita esponenziale. Per la sicurezza della navigazione commerciale, vi è stata innanzi tutto la presenza dissuasiva e l’attiva vigilanza delle flotte imperiali, in tutte le acque ove esse erano dislocate. Per l’Oceano Indiano, invece, sono state adottate delle misure diplomatiche [60] intese a garantire l’incolumità dei naviganti approdati nei porti indiani e degli agenti marittimi operanti oltremare; inoltre, per scongiurare gli attacchi dei pirati in mare, le navi sono state difese dai classiari imbarcati come nuclei di protezione di arcieri. Questi ultimi e gli equipaggi delle onerarie romane – uomini provenienti dalle varie marinerie dell’Impero, incluse quelle italiche [61] –, che sostavano parecchi mesi in India, unitamente agli agenti marittimi ed alle loro famiglie, ivi residenti per più tempo, avevano costituito delle colonie romane nei porti indiani più frequentati [62], godendo di un’ottima reputazione (come Yavana [63]) e di vari privilegi, a riprova della buona tenuta degli accordi stipulati fra i re locali e l’imperatore di Roma.
La politica imperiale costantemente favorevole al traffico marittimo con l’Oriente lascia presumere che tale attività sia sempre apparsa conveniente; ed essa lo era certamente per la casse dello Stato, abbondantemente rimpinguate dai proventi del portorium, il pesante dazio d’importazione delle merci. Molti hanno tuttavia imputato a quel commercio un’emorragia di valuta pregiata, rovinosa per l’Impero, interpretando in senso finanziario le considerazioni moralistiche delle fonti antiche [64]. È stato perfino immaginato che il portorium fosse stato reso esoso per scoraggiare le importazioni dall’Oriente [65]. In realtà i dati forniti da Plinio, oltre a confermare lo straordinario sviluppo raggiunto dal traffico marittimo con l’Oriente [66], già in epoca Flavia, mostrano anche quanto redditizi fossero quegli scambi commerciali [67], per gli armatori [68] e pertanto anche per i crescenti investimenti di capitale a beneficio della marina mercantile. Lo stesso pagamento delle spezie indiane con monete d’oro [69] non va considerato un fenomeno anomalo, né tale da apportare un pericoloso squilibrio alla bilancia commerciale [70]. In definitiva tutto lascia pensare che il traffico navale con l’India e l’estremo Oriente sia stato per i Romani comunque benefico, come lo fu poi, in epoca moderna, per le nazioni europee.
Volendo concludere con qualche ulteriore considerazione a completamento di quanto detto fin qui, occorre innanzi tutto riconoscere che, dal quadro generale di ciò che venne effettuato in epoca altoimperiale nell’utilizzo del mare e dei grandi fiumi, emerge piuttosto nettamente la capacità dei Romani di condurre delle oculate analisi geopolitiche e geostrategiche [71] e di saper individuare, su quelle basi, delle strategie marittime rispondenti e di lunga durata, vista la concettuale stabilità degli scopi perseguiti dal potere imperiale sotto il principato dei vari Cesari. Un esempio emblematico di tale continuità viene dato dalla perdurante attenzione di tutti gli imperatori verso le varie possibilità di collegarsi con la via della seta, le cui diramazioni terrestri potevano raggiungere l’Armenia o il Mar Nero, passando dal Mar Caspio, mentre le alternative marittime raggiungevano il Golfo Persico ed il Mar Rosso [72]: tutte regioni che sono state oggetto di reiterate iniziative di Augusto e dei suoi successori, sia pure con linee d’azione diverse a seconda delle circostanze e delle possibilità del momento. La progressiva evoluzione di tale processo ha portato al controllo del Mar Nero e del Mar Rosso, al protettorato dei regni caucasici e della Mesene ed all’allungamento delle rotte fino all’estremo Oriente.
Le proiezioni navali romane verso Levante sono evidentemente quelle che colpiscono di più per la precoce estensione – nell’antichità – delle linee di comunicazione marittime fino a distanze difficilmente immaginabili [73], e per l’eccezionale collegamento per mare fra Roma ed il Celeste Impero: all’epoca, due galassie lontanissime, ciascuna delle quali aveva appena una vaga conoscenza dell’esistenza dell’altra.
Le grandi vie dell’efficiente rete stradale romana, di cui possiamo tuttora vedere tratti dell’antico selciato e varie colonne miliari, vennero costruite, una dopo l’altra, per iniziativa dei più alti magistrati della Repubblica e dell’Impero, quale espressione di un comune orientamento mentale – pragmatico e razionale – di tutti i governanti romani: un comune criterio per facilitare le comunicazioni ed i trasporti terrestri maggiormente necessari per scopi civili e militari. Data la primaria importanza strategica delle linee di comunicazione marittime, analoghe preoccupazioni hanno accomunato, in epoca altoimperiale, i Cesari ed i loro collaboratori, tutti interessati preservare o incrementare la sicurezza dei mari e delle coste, la fruibilità delle vie d’acqua – sia per le esigenze militari, che per quelle civili – e l’efficienza dei traffici sulle rotte della marina mercantile, componente essenziale del potere marittimo.
Anche in mancanza di tracce lasciate dalle effimere scie delle navi [74], e nonostante la scarsità di dati pervenuti dall’antichità, ci è stato possibile ottenere una discreta percezione dei risultati conseguiti dalle direttive relative alle forze marittime e dalla gestione operativa di queste ultime, nonché dall’assommarsi dei provvedimenti imperiali con gli investimenti privati, con l’intraprendenza degli armatori e con la professionalità dei comandanti e degli equipaggi che hanno condotto le onerarie fino a navigare in acque marine distendentesi ben al di là dei limiti del mondo conosciuto da tutte le precedenti civiltà marittime del Mediterraneo.
Ne sono scaturiti indubbi benefici – in termini strategici, economici e di benessere – ed una più ampia conoscenza geografica del mondo antico. I primi sono apparsi di tutta evidenza agli occhi dei Romani, visto che anche Plinio il Vecchio non ha mancato di apprezzare i vantaggi derivanti dai commerci marittimi con lidi remoti [75], malgrado le sue perplessità sul diffondersi dei costosi prodotti esotici. Quanto alla geografia, conclude bene questo studio uno sprazzo di visione “satellitare” nelle seguenti poche righe in cui Seneca immagina di osservare il nostro pianeta, “guardando dall’alto questo globo angusto, in gran parte coperto dai mari, con vaste regioni incolte pur nelle terre emerse e con zone torride o glaciali” [76]. Questo Romano colto dell’epoca neroniana aveva dunque un’apprezzabile consapevolezza dell’aspetto complessivo dell’Orbis maritimus, come se avesse potuto ammirare il fresco ed incantevole azzurro degli oceani osservando la Terra, come gli astronauti, dalla cupola trasparente dell’odierna Stazione Spaziale Internazionale.
[1] Sulla posizione strategica dell’Urbe delle origini e sul suo carattere marittimo, cfr. Domenico Carro, «Marittimità romana», StrennaRom, 2013, pp. 137-140.
[2] Negli anni 508-491 a.C. (Dion. Hal. ant. 5, 26, 3-4; Liv. 2, 34)..
[3] Liv. 9, 30 e 38; Theophr. h. plant. 5, 8; Val. Max. 1, 8, 2; App. Samn. 7.
[4] “Nel corso della prima Guerra Punica combattemmo ventiquattro anni di battaglie navali contro i Cartaginesi” (Liv. 9, 18, 12). Cfr. Domenico Carro, «La vittoria navale delle Egadi nella grande strategia di Roma», in Sebastiano Tusa e Cecilia Albana Buccellato (eds.), La Battaglia delle Egadi. Atti del convegno. Favignana, ex Stabilimento Florio, 20-21 novembre 2015, Palermo, 2017, pp. 103-106.
[5] Fu la linea d’azione seguita da Quinto Fabio Massimo (detto, appunto, Cunctator: il Temporeggiatore) che il poeta Ennio elogiò con queste parole: “Un uomo solo, temporeggiando, rialzò le nostre sorti. Non anteponeva le chiacchiere alla salvezza della Patria.” (Cic. Cato 4, 10)..
[6] Non è certamente casuale che il comandante Mahan abbia voluto introdurre il suo trattato sul potere marittimo evidenziando il ruolo determinante assolto dalle flotte di Roma ai fini della vittoria contro i Cartaginesi nella seconda Guerra Punica (Alfred Thayer Mahan, The influence of sea power upon history, 1660-1783, Little, Brown and Company, Boston, 1890, pp. 14-21).
[7] Liv. 30, 43.
[8] Soluzione attuata nell’imminenza di ogni conflitto, tranne che in qualche raro e limitato periodo di estrema difficoltà causata da guerre interne o civili.
[9] Questa misura era stata inclusa nelle clausole della pace al termine di vari conflitti, come quelli contro gli Anziati (Liv. 8, 14) e i Cartaginesi (nota 7).
[10] Dei cosiddetti “corvi” parla solo Polibio, e solo per due battaglie navali: Milazzo ed Ecnomo. Un’analisi filologica è pervenuta alla conclusione che questi “corvi” non siano mai esistiti, ma siano stati un’invenzione punica accolta da Filino di Agrigento, una delle fonti di Polibio (Marta Sordi, «I ‘corvi’ di Duilio e la giustificazione cartaginese della battaglia di Milazzo», in Id., Scritti di storia romana, V&P Università, Milano, 2002, pp. 198-201).
[11] Frontin. strat. 2, 3, 24; Flor. epit. 1, 18, 9; Vir. ill. 38, 1; Zon. 8, 11, 2. “Coloro che sono resi temerari dal proprio coraggio, accostate le navi da guerra e gettate le passerelle, saltano sulle navi avversarie ed ivi, come suol dirsi, ai ferri corti, combattono corpo a corpo con le spade.” (Veg. mil. 4, 44).
[12] Ne abbiamo una descrizione pressoché coeva nel seguente breve frammento del libro IV degli Annali di Lucio Celio Antipatro, che rende ben l’idea di celerità e sincronismo: “Tutti raggiungono contemporaneamente la terra con la flotta, sbarcano dalle navi e dalle imbarcazioni e, stabilito l'accampamento, innalzano le insegne” [Non. 2, voce “metari”].
[13] Il criterio generale durante lo sbarco navale permaneva comunque immutato: “ogni ordine sia eseguito al segnale ed a tempo, come richiedono i canoni dell'arte militare, e soprattutto quelli della guerra marittima, soggetta ad improvvisi e rapidi mutamenti.” (Caes. Gall. 4, 23).
[14] Vedi Cap. I, note 56 e 57.
[15] Plin. nat. 7, 97-98; App. Mithr. 116-117; Plut. Pomp. 45.
[16] Navigare necesse est, vivere non est necesse (Plut. Pomp. 50).
[17] Varro rust. 2, proem. 3.
[18] La sostenibilità di un impero sconfinato era oggetto delle preoccupazioni di quell’epoca: “Quante volte si giunse quasi alla catastrofe, perché si conseguisse questa vastità di dominio che appena si sorregge!” (Liv. 7, 29, 2).
[19] Nemmeno il perenne avversario al confine orientale – il potente ed ambizioso regno dei Parti (e poi dei Persiani) – ha mai avuto tale possibilità.
[20] “Geopolitics constitutes the study of the outside environment faced by every state when determining its own strategy: that environment being the presence of other states also struggling for survival and advantage.” (Robert D. Kaplan, The revenge of geography: What the map tells us about coming conflicts and the battle against fate, Random House, New York, 2012, p. 60).
[21] “Non esistono ‘principi’, né ‘leggi geopolitiche’ oggettivi. Esistono solo soggettivamente ... Essi dipendono dagli interessi, dalla tecnologia disponibile e dal sistema di valori propri della cultura di chi li elabora. La geopolitica non è una scienza. È la riflessione che precede l’azione politica.” (Carlo Jean, Geopolitica, Laterza, Roma, Bari, 1995, p. 9).
[22] “è geopolitica … l’idea di un mare considerato nella sua dimensione allargata che lo metta a sistema con altri bacini tra loro connessi da rotte marittime commerciali. I limiti geopolitici del Mediterraneo sono in effetti molto più ampi di quelli reali. Ragionando in termini di Mediterraneo allargato il suo limes occidentale può essere identificato, al di là delle Colonne d’Ercole di Gibilterra, nel meridiano passante per le Canarie; il che porta ad includere sia l’area strategica del Golfo di Guinea, sia le rotte del Nord Europa. Ad est i confini geopolitici del Mediterraneo sono ancora più estesi e giungono sino al Mar Nero ed al Mar Caspio e, verso sud, al Mar Rosso, al Corno d’Africa, al Golfo di Aden ed al Golfo Persico.” (Fabio Caffio, «Geopolitica degli spazi marittimi», in Fabio Caffio, Nicolò Carnimeo, Antonio Leandro, Elementi di diritto e geopolitica degli spazi marittimi, Cacucci Editore, Bari, 2013, pp. 106-107).
[23] “La nozione di Mediterraneo allargato è stata inizialmente elaborata proprio dalla Marina Militare Italiana nel tentativo di definire l’area di possibile intervento militare in scenari di crisi. … La visione italiana del Mediterraneo allargato non è però solo di natura militare. Gli interessi militari italiani nell’area si interfacciano difatti con gli altri interessi nazionali che sono di natura prevalentemente economica oltre che politica.” (Ibid. p. 107).
[24] V. cap. I, nota 66.
[25] Lo studio più noto è evidentemente quello di Luttwak (v. cap. I, nota 48).
[26] “Isaac ha avuto probabilmente ragione nel negare la possibilità di una grand strategy romana, nei termini in cui è stata supposta e interpretata da Luttwak; ma l’ha avuta soprattutto perché è astratto e illusorio in linea di principio qualsiasi tentativo di considerare la storia politica e militare con gli stessi criteri della lunga durata che risultano invece efficaci per la storia sociale. Le decisioni strategiche sono prese anche oggi su scala temporale molto limitata, in riferimento a congiunture economiche, a emergenze sociali, a mandati politici, a interessi e pressioni che si modificano con estrema rapidità, tanto da dare l’impressione di riscontrarvi più ‘analogie’ e ‘ripetizioni’ (tra l’altro assai spesso inconsapevoli) che veri e propri ‘modelli’ e ‘costanti’.” (Virgilio Ilari, «Il Limes dei Romani», in Id., Debellare superbos. Taccuino 2003-2014, p. 168.
[27] “dai contraddittori risultati dei Roman Frontier Studies ... non si può desumere nessuna interpretazione generale, neanche opposta a quelle di Luttwak, come ad esempio quella di negare in linea di principio che l’azione politico-militare dei singoli decisori si sia potuta comunque ispirare a una razionalità strategica, e tanto più che il problema della difesa dell’Impero si sia posto chiaramente nella coscienza storico-politica del mondo romano.” (Ibid. pp. 168-169).
[28] Questo è il senso del già citato “temporeggiamento” di Quinto Fabio Massimo.
[29] “les conceptions stratégiques s’entourent d’une auréole mystérieuse aux yeux de beaucoup de gens ; le stratège est pour eux un initié dans le domaine le plus ésotérique des choses militaires, et ses vues confinent à l’inspiration. La réalité est autre. Les principes de la stratégie sont simples et logiques, fondés sur des faits concrets et des lois naturelles. Ils sont à la portée de tous.” (Pierre Célérier, Géopolitique et géostratégie, PUF, Paris, 1995, p. 63).
[30] “Auguste le premier eut l’intuition d’une stratégie navale à l’échelle de l’empire.” (Jean Pagès, «Y a-t-il eu une pensée navale romaine?», in H. Coutau-Bégarie (ed.), L’évolution de la pensée navale. Tome III, Institut de Stratégie Comparée, Paris, 1993, p. 1).
[31] Più di ogni altro dotato di robusta competenza e vivida genialità nel campo navale.
[32] “Dominare il Mediterraneo fu il primo passo di Augusto; il successivo fu altrettanto importante. Per conservare ciò che aveva conquistato creò una complessa flotta, bene organizzata. E per due secoli ancora i suoi successori mantennero o migliorarono ciò che egli aveva fondato.” (Lionel Casson, Navi e marinai dell’antichità, Mursia, Milano, 1976, p. 206).
[33] “In gran fretta gli Egiziani mandarono ottanta triremi, altrettante i Fenici, sessanta gli Ioni e i Dori d’Asia, trenta i Cipri, venti i Cari, trenta i Bitini e cinquanta gli Africani.” (Zos. 2, 22, 2).
[34] Tranne che durante il principato di Claudio (e, di conseguenza, nei primi anni di quello di Nerone), poiché questo imperatore si fidava solo dei liberti.
[35] “The system of coastal defense devised by the Early Empire represented the most highly developed form of protection which the ancient world achieved. That age-old insecurity of the coasts, which had once impelled the Greek city-states such as Athens to build some distance away from the sea, vanished, for piracy was almost entirely exterminated. For two hundred years and more this state of peace continued” (Chester G. Starr, «Coastal Defense in the Roman World», AJPh, 64-1, 1943, p. 69).
[36] La funzione dissuasiva delle flotte imperiali era ancora chiara nel basso Impero (cfr. Vegezio: cap. I, nota 55).
[37] “Cette capacité de la marine à débarquer rapidement des troupes sur les arrières de l’ennemi était particulièrement précieuse sur les fleuves... Les flottes représentaient donc, grâce à leur mobilité, un excellent instrument militaire, tant pour la conquête que pour la defense du limes.” (Michel Reddé, Mare Nostrum - Les infrastructures, le dispositif et l’histoire de la Marine Militaire sous l’Empire Romain, École Française de Rome, Roma, 1986, p. 356).
[38] È in proposito emblematica la seguente precisazione formulata da Marco Aurelio: “Ego quidem mundi dominus, lex autem maris” ovvero “Io sono certamente il padrone del mondo, ma la legge lo è del mare.” (Dig. 14,2,9).
[39] Nel 253, ovvero cinque anni dopo la solenne celebrazione del primo millenario di Roma, iniziarono le prime incursioni navali barbariche nel Mar Nero. (Zos. 1,32).
[40] Definita dalla UE semplicemente come “the management of information related to the maritime domain that can have an impact on maritime security”, mentre l’ONU ha adottato la più elaborata definizione NATO: “the understanding of military and non-military events, activities and circumstances within and associated with the maritime environment that are relevant for current and future NATO operations and exercises where the maritime environment (ME) is the oceans, seas, bays, estuaries, waterways, coastal regions and ports” (NATO-EU-UN glossary on DCB and CP, p. 118).
[41] “Organizations in the maritime safety and security domain have to cope with complex situations at sea, harbors, and rivers to maintain acceptable levels for safety and security. ... Today’s maritime safety and security systems do not provide the mechanisms to handle the amount and diversity of information that is available.” (Maurice Glandrup, «Improving situation awareness in the maritime domain», in Piërre van de Laar, Jan Tretmans, Michael Borth (eds.), Situation awareness with systems of systems, Springer, New York, 2013, p. 21). “The maritime safety and security systems that are available at this moment are quite limited in alerting operators on critical situations.” (Ibid., p. 23).
[42] L’età di Augusto: “un periodo di grande sviluppo e di organizzazione sistematica della navigazione romana, tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., sia nel Mediterraneo che nei mari esterni, all’interno di un ampio progetto politico e commerciale che si riflette anche sul piano degli studi geografici, delle realizzazioni cartografiche e dell’arte nautica; ne sono testimonianza eloquente, nel I sec. d.C., documenti tecnici come lo Stadiasmo o Periplo del Mare Grande e il Periplo del Mare Eritreo” (Stefano Medas, «La navigazione antica lungo le coste atlantiche dell’Africa e verso le Isole Canarie», in Rafael González Antón, Fernando López Pardo, Victoria Peña (eds.), Los fenicios y el Atlántico. IV Coloquio del CEFYP, Centro de Estudios Fenicios y Púnicos, Madrid, 2008, p. 152).
[43] “Le conoscenze dell’Orbe, di tanto ampliatesi sotto Augusto ed i suoi successori per le spedizioni militari, per l’espansione politica, per i traffici allargati e intensificati, saranno fissate, verso la metà del II secolo, nella ‘Geografia’ di Claudio Tolomeo e per questo tramite tramandate integre al Rinascimento.” (Roberto Almagià, L’orizzonte geografico nell’epoca di Augusto e gli studi geografici in Roma, Istituto di studi romani, Roma, 1938, p. 20).
[44] “Il frequente partire in cerca di lidi lontani, di merci preziose e di terre remote a cui si assiste in età giulio-claudia non è solo il mero prodotto dell’iniziativa di qualche avventuroso pioniere. ... L’inevitabile anelito a ulteriori conquiste e l’irrefrenabile bisogno di superare i confini del proprio territorio – atteggiamenti sorti in seguito alle necessità dettate dal nuovo assetto romano –, governano il procedere della politica imperiale.” (Federico Squarcini, Ex Oriente Lux, Luxus, Luxuria, Società editrice fiorentina, Firenze, 2006, p. 71).
[45] “In quanto Antonino, la mia città e la mia patria è Roma; in quanto uomo, è il mondo.” (M. Aur. 6, 44).
[46] “The form of Greek geography developed in Roman times likewise largely rejected scientific geography in favour of cultural geography. Authors such as Strabo saw the main functions of geographical information in providing the political leadership with a good basis for its decisions and avoiding errors on account of deficient topographical knowledge.” (Anne Kolb, «The Romans and the World’s Measure», in Serena Bianchetti, Michele R. Cataudella, Hans-Joachim Gehrke (eds.), Brill’s Companion to Ancient Geography. The Inhabited World in Greek and Roman Tradition, Brill, Leiden - Boston, 2016, p. 224).
[47] Strab. 1, 1, 16-19 e 2, 5, 17-18.
[48] “I bastimenti corrono per tutti i mari, ... congiungendo le varie parti della Terra, e con l’aiuto dei venti ci procacciano tutti i beni che il mondo può fornire. (Manil. 5, 54-56).
[49] “Alla geopolitica marittima appartiene anche il termine choke points … In sostanza la storia insegna che il controllo dei choke points consente anche un controllo dei mari al cui interno, come nel caso del Mediterraneo e del Mar Rosso, devono necessariamente passare le rotte commerciali.” (Fabio Caffio, «Geopolitica degli spazi marittimi», in Fabio Caffio, Nicolò Carnimeo, Antonio Leandro, Elementi di diritto e geopolitica degli spazi marittimi, Cacucci Editore, Bari, 2013, p. 108).
[50] “the policy inaugurated by Trajan was designed to make the Red Sea a mare internum in some way — a sea completely controlled (though not completely ruled) by the Romans.” (Dario Nappo, «Roman Policy on the Red Sea in the Second Century CE», in F. De Romanis and M. Maiuro (eds.), Across the ocean, Brill, Leiden - Boston, 2015, p. 71). Cfr. Tac. ann. 2, 61: “Tacitus … claimed … that the limits of the Roman Empire (claustra Romani imperii) were now beginning to extend to the Red Sea (nunc rubrum ad mare patescit).” (Michael A. Speidel, «Wars, trade and treaties: new, revised, and neglected sources for the political, diplomatic, and military aspects of Imperial Rome’s relations with the Red Sea basin and India», in K. S. Mathew (ed.), Imperial Rome, Indian Ocean regions and Muziris: new perspectives on maritime trade, Manohar, New Dehli, 2015, p. 99).
[51] “l’annessione del Regno di Nabatea e la sua integrazione nel sistema viario romano, la restaurazione del canale dal Nilo al Mar Rosso, e l’occupazione delle isole Farasan non sarebbero da interpretarsi come azioni indipendenti, ma come singole parti di un piano complessivo di riorganizzazione dell’area eritrea.” (Dario Nappo, I porti romani nel Mar Rosso da Augusto al Tardoantico, Federico II University Press, Napoli, 2018, p. 83).
[52] “Un’immensa moltitudine naviga sul mare, aperto per tutta la sua estensione, e trova ospitali approdi su qualsiasi costa.” (Plin. nat. 2, 118).
[53] “Vedi come i porti ed il mare pullulino di grandi navi! Quasi tutta la gente vive ormai sui flutti. Ovunque si presenti una speranza di guadagno, ivi una flotta accorrerà.” (Iuv. 14, 275-278).
[54] “La politique des Antonins ... On a de bonnes raisons de croire qu’ils attachèrent un grand prix au contrôle de la mer Rouge, qui leur permettait de maintenir les relations avec l’Inde et d’en nouer de plus directes qu’auparavant avec la Chine” (Jehan Desanges, Recherches sur l’activité des Méditerranéens aux confins de l’Afrique (VIe siècle avant J.-C. - IVe siècle après J.-C.), École Française de Rome, Roma, 1978, p. 337).
[55] “Trajan initiated a period of Roman expansion in the Red Sea that had important commercial consequences. This policy was also consistently pursued by his successors, probably reaching its peak under Marcus Aurelius; it provided the right context for Roman commercial expansion in the East, which culminated with the Roman embassy to China.” (Nappo, «Roman Policy on the Red Sea ...», cit., p. 71).
[56] Augusto (Plin. nat. 36, 70), Gaio (Plin. nat. 16, 202-203 e 36, 70; Suet. Claud. 20; Cass. Dio 60, 11) e Costanzo II (Amm. 16, 10, 17 e 17, 4, 1-14).
[57] Cass. Dio 59 ,28.
[58] Plin. nat. 36, 2.
[59] Rispettivamente Suet. Claud. 18-19; Gai. inst. 1, 32c; e Dig. 1,6,6.
[60] “Security along the relevant trade routes … was therefore an element Rome attempted to control and increase. In order to achieve this goal in the Red Sea basin, Rome relied both on its military power and on a network of allies it called ‘friends’ (amici). … By enforcing, accepting, or instigating amicitia on both sides of the Bab el Mandeb, Roman imperial governments can therefore be understood to have attempted to promote the maritime long-distance trade through the Red Sea.” (Speidel, «Wars, trade and treaties… », cit., p. 119).
[61] “Opsii, Numidii, Annii, Calpumii: il contributo delle grandi gentes mercantili campane al commercio ‘erythraeo’ d’età giulio-claudia comincia a essere visibile. … Sullo sfondo di questi rapporti con l’Oriente, … vanno considerati in primo luogo i Munatii campani: gli ercolanesi, i capuani, i puteolani e i pompeiani.” (Federico De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana: uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, L’Erma di Bretschneider, Roma, 1996, p. 254).
[62] Le colonie romane note erano a Muziris (od. Pattanam), nel regno Chera, a Becare (Vaikkarai), nel regno Pandya, ed a Camara (Puhar) e Poduca (Arikamedu), nel regno Chola.
[63] “The Sangam works refer to all foreign traders-Greek, Roman, West Asian and others-as yavanas. But the reference to the yavanas bringing wine (Purananuru 56, 17-20) and gold (Ahananuru 149, 7-11) to the Tamil country undoubtedly indicates that the yavanas were largely Romans because wine and gold were the chief commodities exported from Rome to India.” (S. Suresh, Symbols of trade: Roman and pseudo-Roman objects found in India, Manohar, New Delhi, 2004, p. 23).
[64] Plinio il Vecchio riferisce che, “secondo la valutazione più bassa, ogni anno gli Indiani, i Seri e gli abitanti della penisola d’Arabia tolgono al nostro Impero cento milioni di sesterzi; tanto ci costano il lusso e le donne” (Plin. nat. 12, 84), mentre Tacito attribuisce a Tiberio il seguente commento sulle “pietre preziose, grazie alla quale il nostro denaro finisce in mano a genti straniere o a noi nemiche.” (Tac. ann. 3, 53).
[65] “il semble, en effet, indéniable que les tarifs les plus élevés établis aux frontières de l’Empire et, par exemple, les droits quasi prohibitifs imposés aux importations en Egypte et en Syrie, avaient pour ambition de freiner le commerce des marchandises de luxe achetées en Orient et par là de prévenir une hémorragie monétaire.” (Michel Labrousse, «Siegfried J. De Laet, Portorium. Étude sur l’organisation douanière chez les Romains, surtout à l’époque du Haut-Empire, 1949», REA, 52, 1-2, 1950, p. 177).
[66] “the statements demonstrate that eastern exotic goods from India and China were being introduced into the Roman world in fairly large quantities.” (David F. Graf, «The Silk Road between Syria and China», in A. Wilson, A.K. Bowman (eds.), Trade, commerce, and the State in the Roman world, Oxford University Press, Oxford, 2018, p. 445).
[67] “l’India non fa mai spendere al nostro Impero meno di 50 milioni di sesterzi all’anno in cambio di merci che vengono poi vendute da noi a un prezzo cento volte superiore.” (Plin. nat. 6, 101).
[68] In epoca imperiale i guadagni per gli armatori erano tali da compensare ampiamente qualsiasi perdita per naufragio (Petron. 76).
[69] Cfr. nota 63; “fragments, which probably date from the first century AD, mention Yavanas arriving at the south-western shore of India. … It is thus reasonable to assume that the Yavanas operating in these fragments were really Roman traders” (Bram Fauconnier, «Graeco-Roman merchants in the Indian Ocean. Revealing a multicultural trade», Topoi, supp. 11, 2012, pp. 95-96); “a passage descriptive of Muziris in one of the ancient classics of Tamil literature: ‘Musiri to which come the well-rigged ships of the Yavanas bringing gold and taking away spices in exchange’.” (S. Krishnaswami Aiyangar, Some contributions of South India to Indian culture, Asian Educational Services, New Delhi, 1923, p. 360).
[70] “Nella prima età imperiale si preferisce la moneta di argento e solo successivamente cominciano ad affluire anche monete di oro. ... Ovviamente queste monete venivano valutate a peso, come metallo prezioso (e per questo non si ritrovano in India le scadenti monete di Alessandria d’Egitto)” (Daniele Foraboschi, «Vicino ed estremo oriente: forme dello scambio monetale», in Gianpaolo Urso (ed.), Moneta, mercanti, banchieri: i precedenti greci e romani dell’euro, ETS, Pisa, 2003, p. 141); “quando una moneta ha un valore corrispondente a quello intrinseco diviene una merce: l’oro è stato la moneta-merce per lunghi secoli. I Romani, insomma, scambiavano oro, argento, rame, coralli, vetri, ceramiche con le merci preziose indiane, cinesi, cingalesi. Merci ritenute così preziose da trovare un mercato malgrado gli alti costi di trasporto. … Il commercio orientale era quindi una forma di baratto che pone sotto un’altra luce il problema della bilancia commerciale.” (Ibid. p. 145).
[71] “Romans, in fact, did think in geo-strategic terms.” (Wheeler, «Methodological limits and the mirage of Roman strategy», cit., p. 239). “Strategy evolved as an art and as a concept of written military theory. We should not be too quick to deny its ancient forms because they do not exactly correspond to modern expectations ... Much remains unknown about Roman strategic thinking and administration of the Empire, but too much evidence has survived to deny the Romans an understanding of strategy.” (Ibid. pp. 239-240).
[72] “la via della seta, che partendo dalla lontana Cina finiva con l’inoltrarsi attraverso l’altopiano iranico, fino alla regione babilonese, ... aveva delle varianti lungo itinerari terrestri che deviavano a nord ed evitavano il controllo dei Parti, convergendo o nell’Armenia o nella Colchide, alla foce del Fasi, così come aveva delle rotte alternative marittime, che si incrociavano con le vie del pepe dall’India e dell’incenso dall’Arabia meridionale e che affluivano nel Golfo Persico e nel Mar Rosso. Questo può contribuire a spiegare dunque il forte interesse romano sia innanzitutto per l’Armenia sia anche per le zone confinarie della frontiera orientale, a nord, il Caucaso fra il Mar Nero e il Mar Caspio, e a sud l’Arabia sul Mar Rosso, così come l’offensiva di Traiano spinta fino all’area del Golfo Persico.” (Maria Gabriella Angeli Bertinelli, «Traiano in oriente: la conquista dell’Armenia, della Mesopotamia e dell’Assiria», in Julian Gonzàlez (ed.), Trajano emperador de Roma. Actas del Congreso Internacional 14-17 Septiembre 1998, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2000, pp. 36-37).
[73] Nonostante i progressi tecnologici di cui hanno fruito in epoca imperiale le costruzioni navali, conseguendo un’ottima tenuta al mare, le prestazioni nautiche delle onerarie permanevano ancora decisamente limitate.
[74] “les fastes de la mer ne hantent point la mémoire des hommes. L'historien, même scrupuleux, ne sait rien reconstruire sur cet élément où s'engloutissent tous souvenirs et toutes ruines. Aucun ne peut recréer, plume en main, ni même sur place, les humeurs, l'atmosphère, les vents et les vagues que l'onde fantasque choisit pour quelques heures de bataille, et effaça presque aussitôt.” (René Milan, Les vagabonds de la gloire. III, Matelots aériens : (printemps 1916-automne 1917), Plon-Nourrit et Cie, Paris, 1919, p. 3).
[75] “Chi potrebbe negare che, grazie alla maestà dell’Impero romano che ha riunito sotto di sé l’orbe terracqueo, si è avuto un progresso della vita civile, favorito dagli scambi commerciali e dai benefici della pace comune, e che innumerevoli prodotti un tempo sconosciuti sono ora divenuti di uso comune?” (Plin. nat. 14, 2).
[76] Sen. nat., praef. 8.