MARITIMALa Marina di Roma |
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Siamo agli inizi del 56 a.C., terzo anno della Guerra Gallica condotta dal proconsole Giulio Cesare (era stato console nel 59), a cui erano state assegnate le provincie della Gallia e dell'Illirico per un quinquennio, a partire dal 58.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 7.
Cesare, considerando con tutte le ragioni che la Gallia fosse pacificata,
essendo stati vinti i Belgi, cacciati i Germani, sconfitti nelle Alpi i
Seduni, al principio dell'inverno partì per l'Illirico, ... quando
scoppiò improvvisa la guerra in Gallia. Di tale guerra questa fu
la causa: il giovane Publio Crasso aveva posto il quartiere d'inverno con
la settima legione nel paese degli Andi vicinissimo all'Oceano. Poiché
in quei luoghi vi era scarsità di frumento, mandò presso
le popolazioni confinanti parecchi prefetti e tribuni militari a cercare
frumento e vettovaglie; tra i quali ... Quinto Velanio con Tito Silio presso
i Veneti.
La regione degli Andi (odierno Anjou), ov'era il campo di Publio Licinio Crasso, era bagnata dalla Loira, non lontano dal suo profondo estuario. I Veneti della Gallia transalpina risiedevano lungo la costa meridionale della penisola bretone. La loro principale città era Dariorito (odierna Vannes), in fondo all'ampia e frastagliata rada di Morbihan.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 8.
Questa nazione è di gran lunga la più autorevole di tutta
la parte costiera di quelle regioni; infatti i Veneti possiedono moltissime
navi, con le quali sono soliti navigare in Britannia, e sono superiori
agli altri nella scienza e nella pratica della navigazione; infine, poiché
in un ampio tratto di mare e sull'Oceano aperto battuto dalle burrasche
essi tengono i pochi porti che vi sono disseminati, percepiscono tributi
da quasi tutti quelli che in quel mare navigano.
Essi per primi trattennero Silio e Velanio ... ; sollecitano le altre nazioni
affinché preferiscano conservare la libertà ricevuta dagli
avi piuttosto che sopportare di essere schiavi dei Romani. Guadagnata rapidamente
alla propria idea tutta la parte costiera, mandano un'ambasceria comune
a Publio Crasso, a comunicargli che, se vuole riavere i suoi, rimandi loro
gli ostaggi.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 9.
Cesare, informato di queste cose da Crasso, poiché si trovava
alquanto lontano, comanda che intanto si fabbrichino navi da guerra sulla
Loira, fiume che si getta nell'Oceano, si addestrino rematori chiamati
dalla provincia, si procurino marinai e piloti. Eseguite rapidamente queste
cose, non appena la stagione lo consentì, egli stesso si recò
presso l'esercito.
La costruzione della flotta romana e la preparazione degli equipaggi vennero subito avviate presso il campo di Crasso, sulle sponde della Loira. Cesare raggiunse le proprie forze nel maggio 56 a.C..
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 9.
I Veneti e parimenti le altre nazioni, conosciuto l'arrivo di Cesare,
... decidono di fare preparativi di guerra proporzionati alla grandezza
del pericolo e soprattutto di provvedere agli armamenti delle navi, con
speranza di tanto maggiore per questo, che molto confidavano nella natura
dei luoghi. Sapevano che le vie di terra erano interrotte dalle lagune,
la navigazione impedita dall'ignoranza dei luoghi e dalla rarità
dei porti; confidavano che i nostri eserciti non potessero soggiornare
a lungo tra loro per la scarsità di frumento; e poi che andasse
pure ogni cosa contro l'aspettativa, essi tuttavia avevano grandissima
potenza navale, mentre i Romani non avevano disponibilità alcuna
di navi e non conoscevano quei luoghi, dove stavano per condurre la guerra,
i bassifondi, i porti e le isole; e vedevano bene che la navigazione in
un mare interno è di gran lunga diversa da quella che richiede il
vastissimo e apertissimo Oceano.
Fatti questi piani, fortificano le città, dai campi ammassano nelle
città i frumenti, radunano il maggior numero possibile di navi nel
paese dei Veneti, dove si sapeva che Cesare avrebbe dato inizio alla guerra.
Si presero come alleati per questa guerra gli Osismi, i Lessovi, i Namneti,
gli Ambiliati, i Morini, i Diablinti e i Menapi; chiamano truppe ausiliarie
dalla Britannia, che si trova di fronte a tali regioni.
La coalizione organizzata e pilotata dai Veneti, includeva praticamente
tutti i popoli abitanti le regioni costiere della Gallia settentrionale,
dal Reno alla Loira. In particolare, da nord: i Menapi (sul mare del Nord),
i Morini (sul passo di Calais), gli Ambiani (sulla Manica, a nord della
Senna), i Lessovi (fra la Senna e la penisola del Cotentin), gli Aulerci
Diablinti (fra le penisole del Cotentin e della Bretagna), i Corioliti,
gli Osimi ed i Veneti (rispettivamente sui lati nord, ovest e sud della
penisola bretone), ed infine i Namneti (sulla riva destra dell'estuario
della Loira).
Poiché, ai tempi di Cesare, tutte quelle popolazioni della costa
oceanica si autodefinivano "Armoriche", parleremo di coalizione
"armoricana".
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 11.
[Cesare] Mette al comando della flotta e delle navi galliche, che aveva
ordinato di raccogliere dai Pittoni e dai Santoni e dalle altre regioni
pacificate, il giovane Decimo Bruto e comanda che appena può parta
per il paese dei Veneti. Quanto a lui, si dirige là con le truppe
di terra.
I Pittoni ed i Santoni abitavano (nell'ordine da nord a sud) nella regione atlantica compresa fra la Loira e la Garonna.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 12.
Le città dei Veneti in generale erano poste sull'estremità
di piccole lingue di terra e di promontori, in posizione tale da essere
inaccessibili sia per via di terra, quando dal largo l'alta marea si è
sollevata, cosa che accade sempre ogni dodici ore, sia per nave, perché
quando la marea torna a scendere le navi si incaglierebbero nei bassifondi.
Così per entrambe queste cause non si potavano assediare; e se talvolta,
vinti per avventura dalla grandezza delle opere, essendo respinto il mare
con un terrapieno e una diga ed essendo questi eguagliati alle mura della
città, cominciavano a disperare della fortuna, facendo accostare
un gran numero di navi, cosa che potevano fare con somma facilità,
vi portavano ogni loro cosa e si ritiravano nelle città più
vicine: ivi di nuovo si avvalevano delle medesime risorse di difesa.
Questo facevano per gran parte dell'estate tanto più facilmente
in quanto le nostre navi erano tenute lontane dalle burrasche e somma era
la difficoltà di navigare in un mare vasto e aperto dove grandi
sono le maree, i porti rari e quasi assenti.
Cesare aveva assegnato parte delle sue forze terrestri ai luogotenenti
inviati a controllare le altre regioni della Gallia per evitare un ulteriore
allargamento della ribellione. Con le quattro legioni mantenute per sé,
egli si impegnò invano contro le città costiere dei Veneti
nei mesi di giugno e luglio 56 a.C..
Decimo Giunio Bruto Albino, comandante della flotta, aveva portato le sue
navi nell'estuario della Loira, ad una quarantina di miglia nautiche dalla
zona di operazioni, in attesa del miglioramento delle condizioni del mare.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 14.
Espugnate parecchie città, Cesare, quando comprese che di tanta
fatica sostenuta non vi era frutto e che prendendo le città non
si poteva impedire ai nemici di fuggire né nuocer loro, decise di
attendere la flotta.
E quando essa giunse, non appena fu vista dai nemici, circa duecentoventi
navi completamente allestite e fornite di ogni genere di armi, partite
dal porto si arrestarono di fronte alle nostre.
Secondo il parere della maggior parte degli studiosi, la flotta della coalizione "armoricana" uscì dalla rada di Morbihan. La battaglia navale della Bretagna, di seguito descritta, venne combattuta nell'agosto 56 a.C., probabilmente nelle acque antistanti la penisola di Quiberon, a sud-ovest dell'imboccatura della predetta rada.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XXXIX, 7.
Le navi dei Romani erano state costruite, secondo lo stile delle nostra
navigazione, in modo che fossero leggere e veloci; quelle dei barbari erano
di maggior mole e più robuste ... Avvenne pertanto che i barbari,
... dopo aver osservato le navi dei Romani, a prima vista ne disprezzarono
le capacità ed immediatamente si diressero allo scontro, giudicando
estremamente facile affondarle a colpi di pertiche ferrate.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 13.
... le loro navi erano costruite e armate in questo modo: le carene
erano alquanto più piatte che quelle delle nostre navi, per poter
più facilmente affrontare i bassifondi e il riflusso della marea;
le prue e le poppe assai alte, adatte alla grandezza dei flutti e delle
burrasche; le navi interamente fatte di legno di quercia per resistere
a qualsiasi sforzo e colpo; le traverse [cioè i bagli] fatte
di travi alte un piede [~29,6 cm], fissate
con chiodi di ferro spessi un pollice [più di 2 cm]; ancore
legate da catene di ferro in luogo di funi; in luogo di vele, pelli e cuoi
sottili lavorati finemente, sia perché il lino mancava e non se
ne conosceva l'uso, sia perché - ed è più verosimile
- pensavano che con le vele non fosse possibile resistere alle burrasche
così grosse dell'Oceano e ai venti tanto impetuosi e governare agevolmente
navi così pesanti.
Alcune peculiari caratteristiche costruttive delle navi galliche saranno più tardi imitate da Giulio Cesare, quando volle realizzare delle più idonee unità da sbarco per la sua seconda spedizione in Britannia.
Strabone - Geografia IV, 4.
Oltre a ciò, le navi di quei popoli avevano il fondo assai largo
... Essi, peraltro, non usavano connetterne le tavole le une con le altre,
ma vi lasciavano degli interstizi che poi calafatavano con alghe marine;
in tal modo, quando le navi erano tratte all'asciutto non inaridivano,
poiché l'alga è naturalmente più umida della quercia,
che è secca e priva di umori.
Le navi da guerra romane, come quelle di tutti gli altri popoli marittimi del Mediterraneo, usavano normalmente ammainare le vele prima d'ingaggiare una battaglia navale, poiché sola la propulsione dei remi - finalizzata proprio alle esigenze di combattimento - poteva assicurare alle unità le prestazioni cinematiche ottimali (capacità di repentine accelerazioni e di strettissime evoluzioni) per effettuare, o eludere, l'attacco con il rostro e per portarsi all'arrembaggio.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 13.
Con queste navi la nostra flotta si scontrava in tali condizioni, che
riusciva superiore solo nella velocità e nella forza dei remi, mentre
in tutte le altre caratteristiche le navi dei Veneti, relativamente alla
natura del luogo e alla violenza delle burrasche, erano più adatte
e più idonee. E infatti le nostre navi non potevano recare loro
danno col rostro (tanta era la loro solidità), e non era facile
per l'altezza farvi entrare un'arma da getto, e per la stessa causa non
era agevole trattenerle con gli arpioni. Si aggiungeva che, avendo cominciato
il vento a soffiare con violenza e prendendo le navi il vento in poppa,
resistevano più facilmente alla burrasca e con maggior sicurezza
si arrestavano nei bassifondi e, lasciate dalla marea, non temevano affatto
sassi e pietre; tutti casi, questi, che le nostre navi dovevano temere.
Le navi galliche, quindi, pur essendo prive di remi, erano ampiamente superiori alle romane per robustezza, tenuta al mare e capacità di sfruttare il particolare ambiente oceanico. Ma Decimo Bruto, con pragmatismo tutto romano, individuò felicemente l'artificio per rendere vincenti le pur meno idonee sue navi, facendo leva sulle loro peculiarità: propulsione a remi e capacità di arrembaggio.
Paolo Orosio - Storie VI, 8, 12-13.
Bruto, studiando la situazione, si rese conto che lo scontro tra le
navi era di gran lunga impari ... e ricorse per prima cosa a questo stratagemma.
Aveva preparato delle falci taglientissime (non rigidamente fissate a pertiche,
ma ad esse legate con funi) per mezzo delle quali, all'occorrenza potevano
tagliare le gomene [cioè le sartie] delle navi nemiche agganciandole
di lontano col lancio delle aste e tirando poi la falce a mezzo di funi.
Fattele celermente approntare, ordinò di spezzare l'attrezzatura
delle antenne nemiche.
Il comandante della flotta romana riuscì, quindi, ad imporre la tattica "mediterranea" dell'arrembaggio (visto che il rostro rimaneva comunque inefficace), storicamente prediletta dalla Marina di Roma fin dai tempi di Caio Duilio.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 14.
Una volta che per mezzo di queste falci erano state prese e tirate le
sartie, ... impressa coi remi velocità alla nave, esse venivano
spezzate. Tagliate le sartie, le antenne per forza cadevano, sicché,
consistendo ogni risorsa delle navi galliche nelle vele e nell'armamento,
col togliere le sartie si toglieva contemporaneamente ogni possibilità
di manovrare le navi.
Il seguito del combattimento dipendeva dal valore, nel quale i nostri soldati
facilmente erano superiori, e tanto più in quanto si combatteva
sotto lo sguardo di Cesare e di tutto l'esercito, sicché nessun
atto di qualche coraggio poteva rimanere celato; infatti tutti i colli
e le alture, donde si vedeva il mare da vicino, erano occupati dall'esercito.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 15.
Abbattute, come dicemmo, le antenne, quando ciascuna nave nemica era
circondata da due o tre navi nostre, i soldati con la più grande
energia si sforzavano di salire sulle navi nemiche. I barbari, dopo che
si accorsero di quel che stava accadendo, essendo state conquistate parecchie
navi, non trovando rimedio alcuno a tale manovra, si misero a cercare salvezza
nella fuga.
E quando già tutte le navi avevano fatto una conversione nella direzione
verso la quale portava il vento, improvvisamente sopravvenne una così
grande bonaccia e calma, che non poterono più muoversi di là.
Questa circostanza invero riuscì opportunissima alla conclusione
dell'operazione; infatti i nostri inseguirono e presero le navi nemiche
una per una, sicché dell'intera flotta pochissime, sopraggiunta
la notte, toccarono terra, dopo una battaglia durata all'incirca dall'ora
quarta [intorno alle nove del mattino] fino al calar del sole.
In assenza di qualsiasi indicazione sull'effettiva consistenza della flotta romana, si ha qui la sensazione ch'essa includesse un numero di navi maggiore di quelle della coalizione "armoricana" (220 unità).
Paolo Orosio - Storie VI, 8, 16.
Così, dopo che tutte le navi furono incendiate e uccisi i Galli
che avevano opposto resistenza, tutti gli altri si arresero.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica III, 16.
Con questa battaglia fu posta fine alla guerra dei Veneti e di tutta
la regione costiera ["totiusque orae maritimae"].
Infatti da una parte tutta la gioventù e anche tutti gli uomini
di età più avanzata segnalati per senno o autorevolezza si
erano radunati là, dall'altra avevano raccolto in un sol luogo tutte
le navi che in ogni parte avevano; una volta prese le navi i superstiti
non sapevano né dove né come difendere le città. E
così si consegnarono con tutte le loro cose a Cesare.
La guerra appena conclusa - normalmente indicata come "guerra contro
i Veneti" o, secondo l'uso romano, "guerra Venetica" - conseguì
un risultato definitivo sotto il profilo marittimo, poiché nessuna
popolazione della Gallia riprovò a sfidare i Romani sul mare. L'efficacia
dell'operazione risultò del tutto soddisfacente anche nel più
ampio contesto della pacificazione della Gallia: prescindendo da sporadiche
e prontamente domate ribellioni di qualche singolo popolo (in particolare,
i Morini), le popolazioni marittime "armoricane" rimasero sostanzialmente
tranquille per quattro anni; poi, esse vennero inevitabilmente coinvolte
nella rivolta generale capeggiata da Vercingetorige (a cui dovettero collettivamente
inviare diecimila uomini per la difesa di Alesia), nel periodo (52 a.C.)
dell'ultimo atto della guerra prima della romanizzazione della Gallia.
Un anno dopo la guerra Venetica, Cesare ebbe il tempo di occuparsi anche
dei Britanni, che avevano, fra l'altro, inviato delle forze ausiliarie
alla coalizione "armoricana" in occasione del predetto conflitto
(capitolo precedente).
Si era poco oltre la metà di settembre 55 a.C., secondo il calendario
ufficiale; in quell'anno, tuttavia, tale calendario era sfasato, rispetto
alle stagioni, di circa un mese e dieci giorni in avanti (l'errore verrà
parzialmente corretto nel 54 a.C., con una "intercalazione",
e definitivamente corretto nel 45 a.C. da Giulio Cesare, con l'introduzione
del calendario giuliano): secondo il calendario astronomico, pertanto,
si era ancora nella prima decade di agosto.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 20.
Rimanendo un'esigua parte dell'estate, anche se in quei luoghi gli inverni
sono precoci, perché tutta la Gallia è volta verso settentrione,
tuttavia Cesare decise di partire per la Britannia, perché comprendeva
che in quasi tutte le guerre galliche di là erano stati inviati
aiuti ai nostri nemici; se non fosse bastata la buona stagione per condurre
la guerra, tuttavia pensava che avrebbe tratto grande utilità anche
solo da una visita all'isola, da una esplorazione degli abitanti e da una
ricognizione dei luoghi, dei porti e degli accessi; tutte cose che erano
sconosciute ai Galli. Nessuno infatti, eccetto i mercanti, si perita di
andarvi e anche la conoscenza, che essi stessi ne hanno, non va oltre la
costa e le regioni che sono di fronte alla Gallia. Pertanto, chiamati a
sé da ogni parte i mercanti, non poteva trovare né quale
fosse la grandezza dell'isola, né quali nazioni vi abitassero e
di quali dimensioni fossero. né quale pratica di guerra avessero
o quali sistemi usassero, né quali porti fossero idonei ad accogliere
un ingente numero di grandi navi.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 21.
Per ottenere queste informazioni prima di tentare l'impresa, manda innanzi
con una nave da guerra Gaio Voluseno ... Gli dà disposizioni di
ritornare il più presto possibile da lui dopo aver esplorato ogni
cosa. Egli poi con tutte le truppe parte alla volta dei Morini, poiché
da quella regione la traversata in Britannia è la più breve.
Ordina che lì si riuniscano da ogni parte delle regioni finitime
le navi e la flotta che nell'estate precedente aveva costruito per la guerra
contro i Veneti. ...
Voluseno, esplorate tutte le regioni per quanto poté fare un uomo
che non osava uscire dalla nave e affidarsi ai barbari, dopo quattro giorni
ritorna da Cesare e riferisce i risultati della esplorazione.
Per navigare dalla regione dei Veneti (Bretagna meridionale) a quella
dei Morini (sul passo di Calais), la flotta romana compì un percorso
di oltre 600 miglia nautiche.
Il tono usato da Cesare nel riferire brevemente lo svolgimento della missione
di Voluseno lascia chiaramente intendere ch'egli avrebbe auspicato una
ricognizione più approfondita.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 22.
Fatte venire e radunate circa ottanta navi da carico, che stimava numero
sufficiente a trasportare due legioni, distribuì le navi da guerra,
che aveva in più, al questore, ai legati e ai prefetti. A questo
si aggiungevano diciotto navi da carico, che, distanti otto miglia
[~6,4 miglia nautiche] da quel luogo, a causa del
vento non potevano raggiungere il medesimo porto; queste distribuì
ai cavalieri.
Si presume che il porto di raduno della flotta fosse quel "Portus
Itius" che venne utilizzato dallo stesso Cesare l'anno seguente,
per la seconda spedizione navale in Britannia (se ne parla più avanti).
Il 5 ottobre 55 a.C., Cesare effettuò la prima navigazione per la
Britannia, approdando inizialmente alle scogliere di Dover.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 23.
Presi questi provvedimenti, approfittando di un tempo favorevole alla
navigazione, intorno alla terza vigilia [verso mezzanotte] sciolse
le ancore; ordinò ai cavalieri di spostarsi al porto più
avanti, imbarcarsi e seguirlo.
Avendo questo proceduto con qualche lentezza, egli toccò con le
prime navi la Britannia circa alla quarta ora del dì [intorno
alla nove del mattino] ed ivi scorse su tutte le alture schierate in
armi le truppe dei nemici. La natura del luogo era tale, e tanto i monti
chiudevano da vicino il mare, che dall'alto si potevano lanciare proiettili
sulla spiaggia.
Pensando che quello non fosse in alcun modo adatto allo sbarco, attese
sull'ancora fino all'ora nona [verso le due e mezza pomeridiane]
che le altre navi si riunissero colà. Intanto, convocati i legati
e i tribuni militari, comunicò sia le notizie avute da Voluseno
sia i suoi ordini; ammonì che ogni cosa fosse da loro eseguita al
segnale e a tempo, come esigono l'arte e la disciplina militare, e soprattutto
il regime del mare, instabile e soggetto a rapidi mutamenti.
Congedatili, approfittò del favore congiunto del vento e della marea
e dato il segnale, fatte salpare le ancore, procedette di là per
circa sette miglia [~6 miglia nautiche] fino
ad una costa aperta e piana, dove arrestò le navi.
In tal modo Cesare portò la flotta a levante dell'odierna Dover.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 24.
Ma i barbari, conosciuto il progetto dei Romani, ... impedivano ai nostri
di uscire dalle navi. Difficoltà somma vi era per queste cause,
che le navi per la grandezza non potevano arrestarsi se non al largo, i
soldati poi dovevano insieme saltare giù dalle navi, rimanere in
piedi nell'acqua, combattere con i nemici in luoghi sconosciuti, con le
mani ingombre, oppressi dal grave peso delle armi; mentre i nemici, o dal
suolo asciutto o di poco avanzatisi in acqua, con tutte le membra libere,
in luoghi notissimi, spavaldi scagliavano proiettili e spronavano i cavalli
addestrati. I nostri, atterriti da tale situazione e completamente inesperti
di questo genere di combattimento, non impiegavano la medesima alacrità
e ardore con i quali erano soliti combattere nelle battaglie di terra.
L'esperienza di tali difficoltà, tipiche di uno sbarco anfibio svolto in presenza di contrasto nemico, sarà opportunamente valorizzata da Cesare nell'impostare le navi per la sua seconda spedizione in Britannia.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 25.
Quando si avvide di questo, Cesare ordinò che le navi da guerra,
il cui aspetto era sconosciuto ai barbari e che erano più maneggevoli,
si scostassero un poco da quelle da carico, prendessero velocità
coi remi e si arrestassero davanti al fianco scoperto dei nemici; di là
con fionde, archi, balestre investissero e costringessero i nemici a ritirarsi;
cosa che riuscì da grande utilità ai nostri. Infatti i barbari,
colpiti dall'aspetto delle navi, dal movimento dei remi e dalle macchine
da getto di genere inconsueto, si arrestarono e si ritirarono seppur di
poco. Ed esitando i nostri soldati soprattutto per la profondità
del mare, colui che portava l'aquila della decima legione, dopo aver invocato
gli dèi affinché il suo atto portasse fortuna alla legione:
"Saltate giù - disse - commilitoni, se non volete consegnare
l'aquila ai nemici: io, per quanto mi riguarda, assolverò al mio
dovere verso lo Stato e verso il comandante". Detto ciò a gran
voce, si gettò dalla nave e cominciò a portare l'aquila verso
i nemici. Allora i nostri, incoraggiatisi tra loro a non tollerare così
grande vergogna, tutti quanti saltarono giù dalla nave. Dalle navi
vicine, avendoli visti, li seguirono e si avvicinarono ai nemici.
Il compito che Cesare, in quella circostanza, assegnò alle navi
da guerra corrisponde perfettamente, nell'epoca moderna, al bombardamento
contro costa effettuato dalle unità cannoniere nell'ambito di operazioni
anfibie: tecnicamente, si tratta del tiro navale d'appoggio con finalità
di "interdizione", inteso, cioè, a precludere temporaneamente
al nemico la possibilità di offendere le forze da sbarco.
L'ardimento dell'aquilifero della X Legione è quello a cui idealmente
si ispirano le odierne fanterie di Marina, dal nostro Battaglione San Marco
ai "marines" del mondo anglosassone.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 26.
Si combatté duramente da entrambe le parti. Tuttavia i nostri,
poiché non potevano conservare lo schieramento né appoggiare
i piedi sul solido né seguire le proprie insegne e ciascuno scendendo
chi da una nave chi da un'altra si aggregava a qualunque insegna incontrasse,
si trovarono in una situazione di grande confusione; i nemici, per parte
loro, conoscendo tutti i bassifondi, quando dalla spiaggia scorgevano qualche
soldato isolato scendere da una nave, spronati i cavalli lo assalivano
mentre era impacciato, in parecchi ne circondavano pochi, altri dal fianco
scoperto scagliavano proiettili contro tutti i nostri.
Accortosi di ciò, Cesare ordinò che si riempissero di soldati
le scialuppe delle navi da guerra e i battelli da ricognizione; così
mandava soccorsi a quelli che scorgeva in difficoltà. I nostri,
appena posero piede sull'asciutto, tutti quanti insieme andarono all'attacco
e gettarono in fuga i nemici; ma non poterono inseguirli più lontano
perché i cavalieri non avevano potuto tenere la rotta e raggiungere
l'isola. Solo questo mancò alla consueta fortuna di Cesare.
Anche l'uso dei mezzi navali per la protezione delle forze durante la
fase dello sbarco trova una sostanziale analogia nelle moderne operazioni
anfibie.
I barbari vennero poi sconfitti in battaglia da Cesare che, il 9 ottobre
55 a.C., accolse le loro richieste di pace ed ordinò la consegna
di ostaggi.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 28.
Stabilita così la pace, quattro giorno dopo lo sbarco in Britannia
le diciotto navi, di cui sopra si è detto, che avevano preso a bordo
i cavalieri, con vento leggero salparono dal porto più settentrionale.
Allorché esse si approssimavano alla Britannia e si vedevano dal
campo, si levò una burrasca così grande, che di esse nessuna
poté tenere la rotta, ma alcune furono riportate là donde
erano partite, altre con grande loro pericolo furono gettate nella parte
meridionale dell'isola, che è volta verso occidente; ivi gettarono
le ancore: tuttavia, essendo coperte dalle onde, furono costrette pur nello
sfavore della notte a spingersi verso il largo e a dirigere sul continente.
Le difficoltà meteorologiche incontrate dalle navi da trasporto della cavalleria non sono anomale per quella stagione; esse fanno ben comprendere la trepidazione che suscitava la navigazione nell'Oceano e la traversata della Manica.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 29-31.
Quella medesima notte fu luna piena, circostanza che provoca nell'Oceano
le più grandi maree, cosa che i nostri ignoravano. Così contemporaneamente
da una parte la marea aveva riempito le navi da guerra sulle quali Cesare
aveva fatto trasportare l'esercito e che aveva fatto tirare in secco, dall'altra
la burrasca sbatteva quelle da carico, che stavano all'ancora, né
i nostri avevano possibilità alcuna o di governare o di portare
aiuto.
Rotte parecchie navi, non essendo le altre in condizioni di navigare per
la perdita delle gomene, delle ancore e degli altri armamenti, tutto l'esercito,
com'era naturale, fu gravemente turbato. Infatti non vi erano altre navi
sulle quali potessero ritornare e mancava ogni cosa necessaria a riparare
le navi e, poiché a tutti era chiaro che si doveva svernare in Gallia,
non erano state fatte provviste di frumento in Britannia per l'inverno.
Conosciuti questi avvenimenti, i capi della Britannia ... ebbero un colloquio
tra loro e stimarono ottima cosa di ribellarsi, impedire ai nostri la raccolta
del frumento e il vettovagliamento e trascinare la cosa fino all'inverno,
poiché vinti i Romani o impedito il loro ritorno confidavano che
nessuno dopo sarebbe passato in Britannia per portare la guerra. ...
Ma Cesare, anche se non aveva ancora conosciuto i loro progetti, tuttavia
sospettava che sarebbe accaduto ciò che effettivamente accadde,
argomentando da quanto era capitato alle navi e dal fatto che avevano sospeso
la consegna degli ostaggi. Pertanto procurava di provvedere ad ogni evenienza.
Infatti ogni giorno faceva portare al campo il frumento delle campagne,
con il legno e il bronzo delle navi che avevano subito gravissimi danni
faceva riparare le altre, ordinava che dal continente fossero portate le
cose necessarie a ciò.
Pertanto, impegnandosi i soldati con sommo zelo, perdute dodici navi, poté
mettere le altre in condizione di navigare abbastanza agevolmente.
Non è sorprendente che i Britanni abbiano voluto infrangere i
patti precedentemente ratificati, venendo meno alla parola data, pur di
sfruttare l'occasione per essi più favorevole, cioè le difficoltà
arrecate ai Romani proprio dall'Oceano che separava l'isola dal continente.
Va infatti tenuto presente che, secondo la perenne logica delle isole,
il mare deve costituire allo stesso tempo una via di comunicazione a favore
degli isolani ed una difesa contro gli intrusi.
Cesare, dopo essersi adeguatamente premunito, provvedendo ai rifornimenti
logistici ed al ripristino dell'efficienza di un sufficiente numero di
navi, ingaggiò battaglia contro i Britanni e li vinse nuovamente.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 36.
... giunsero ambasciatori mandati dai nemici a Cesare per trattare la
pace. Cesare chiese loro il doppio degli ostaggi che prima aveva ordinato
e comandò di condurli sul continente, perché essendo vicino
il giorno dell'equinozio stimava di non dover correre il rischio di una
navigazione invernale con navi malconce. Approfittando del tempo favorevole
salpò dopo mezzanotte: tutte le navi pervennero sul continente senza
danni; ma due da carico non poterono raggiungere i medesimi porti delle
altre e furono spinte un poco a sud.
La navigazione di ritorno avvenne ai primi di novembre 55 a.C. (ultima decade di settembre secondo il calendario astronomico).
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica IV, 38.
Due nazioni in tutto mandarono là dalla Britannia gli ostaggi,
le altre trascurarono di farlo.
Compiute queste imprese, sulla base del rapporto inviato da Cesare il senato
decretò un ringraziamento agli dèi della durata di venti
giorni.
Il mancato invio di gran parte degli ostaggi dovuti dai Britanni è indice del loro convincimento che, per parecchio tempo, i Romani non sarebbero ritornati nell'isola.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 1.
Cesare, lasciando i quartieri d'inverno per recarsi in Italia come faceva
d'abitudine ogni anno, ordina ai legati, ai quali aveva affidato il comando
delle legioni, di provvedere durante l'inverno alla costruzione del maggior
numero possibile di navi e alla riparazione di quelle vecchie. Per accelerare
l'operazione di carico e agevolare il sollevamento in secco le fa costruire
un poco più basse di quelle che di solito usiamo nel nostro mare,
tanto più che aveva osservato che per i frequenti mutamenti di marea,
le onde in quei mari sono meno grandi; e per trasportare carichi e gran
numero di bestie da soma le fa costruire un poco più larghe di quelle
che usiamo negli altri mari. Ordina che tutte siano navi leggere, cosa
che si ottiene molto bene limitando l'altezza dei bordi e delle fiancate.
Comanda di importare dalla Spagna il necessario per l'armamento delle navi.
Le navi di nuovo tipo di cui egli dispose la costruzione avevano le
caratteristiche salienti delle unità adibite, anche oggigiorno,
allo sbarco anfibio: larghe, basse e leggere, per potersi avvicinare quanto
più possibile alla riva della spiaggia prescelta per lo sbarco delle
forze trasportate.
Nei primi mesi del 54 a.C., Cesare sistemò alcune questioni nella
Gallia Cisalpina e poi nell'Illirico, provincia che rientrava nella sua
giurisdizione.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 2.
Portati a termine questi affari ... Cesare ritorna nella Gallia Cisalpina
e di lì parte per raggiungere l'esercito. Giunto colà fa
un giro per tutti i quartieri d'inverno e trova già armate circa
seicento navi leggere, del tipo che è stato sopra descritto, e ventotto
di grandi dimensioni, nonostante la gravissima carenza di ogni materiale
e grazie allo straordinario impegno dei soldati; entro pochi giorni avrebbero
potuto essere messe in mare.
Elogiati i soldati e coloro che avevano diretto i lavori, espone il suo
piano e ordina che tutti si raccolgano a Portus Itius: sapeva che da quel
porto si faceva la traversata più agevole per la Britannia, per
un tragitto di circa trenta miglia [~24 miglia
nautiche] a partire dal continente.
Il "Portus Itius" dovrebbe corrispondere a quello che venne poi chiamato Gesoriaco, quindi Bononia (odierna Boulogne).
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 5.
Cesare si recò con le legioni a Portus Itius. Lì viene
a sapere che sessanta navi, costruite nel paese dei Meldi, respinte dalla
tempesta non avevano potuto tenere la rotta ed erano ritornate donde erano
partite; trova le rimanenti armate di tutto punto e pronte per navigare.
La regione dei Meldi era sulla Marna: le navi raggiunsero quindi il
mare dall'estuario della Senna (dopo un percorso di navigazione fluviale)
ed incontrarono le tempesta nella Manica.
Verso i primi di luglio 54 a.C. (metà giugno del calendario astronomico),
venne avviata la seconda spedizione navale romana in Britannia.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 8.
Cesare, con cinque legioni e ... duemila cavalieri ..., salpò
al tramonto e profittando di un leggero vento di sud-ovest tenne la rotta
fino a mezzanotte circa, quando, caduto il vento, andò alla deriva
per la marea e all'alba si avvide di aver lasciato la Britannia alla sua
sinistra. Allora seguendo nuovamente la marea, che muoveva in direzione
contraria, si aiutò con i remi per prendere terra in quella parte
dell'isola dove, l'estate passata, aveva riconosciuto un ottimo punto di
sbarco.
E in tale circostanza l'abnegazione dei soldati fu oltremodo degna di lode:
riuscirono senza interrompere mai di remare ad eguagliare con le navi da
trasporto - appesantite dal carico - la corsa delle navi da guerra. Tutte
le navi toccarono la Britannia intorno a mezzogiorno: nel luogo dove presero
terra non si vide nemmeno un nemico; come Cesare più tardi venne
a sapere dai prigionieri, si era radunato colà gran numero di truppe,
ma, per lo spavento provocato dall'apparizione di un così gran numero
di navi - tutte in una volta, con quelle dell'anno precedente e con quelle
di proprietà privata, costruite per uso personale, ne comparvero
in un solo momento più di ottocento - si erano allontanate dalla
riva e si erano nascoste sulle alture.
Ultimato lo sbarco, Cesare si portò contro il nemico che, dopo uno scontro, fu volto in fuga.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 10-11.
... giunsero presso Cesare da parte di Quinto Atrio dei cavalieri ad
annunziare che nella notte passata si era levata una grandissima tempesta
e quasi tutte le navi erano state danneggiate e gettate sulla riva, perché
né le ancore né le gomene avevano resistito, né i
marinai e i piloti avevano potuto sostenere la violenza della tempesta:
sicché essendo le navi entrate in collisione tra loro avevano ricevuto
gravi danni.
Conosciuti questi fatti, Cesare ordina che le legioni e la cavalleria siano
richiamate e cessino di avanzare, mentre lui ritorna alle navi; contata
di persona che i danni sofferti dalla flotta corrispondono pressappoco
a quanto gli era stato comunicato dai messi e per lettera: perdute circa
quaranta navi, pareva che le rimanenti potessero essere riparate, sia pure
a costo di molto lavoro. Sicché sceglie dalle legioni dei carpentieri
e comanda che altri ne vengano fatti venire dal continente; scrive a Labieno
di iniziare la costruzione, ad opera dei legionari che ha con sé,
del maggior numero possibile di navi. Quanto a lui, decide che la cosa
più vantaggiosa, sebbene richiedesse molto lavoro e fatica, sia
di tirare in secco tutte le navi e di congiungerle all'accampamento mediante
una sola linea fortificata. In queste operazioni consuma circa dieci giorni,
facendo lavorare i soldati anche di notte. Tirate in secco le navi e fortificato
in maniera eccellente l'accampamento, lascia a guardia delle navi le medesime
truppe di prima e ritorna nel luogo donde era venuto.
Dalle decisioni assunte da Cesare, si vede ch'egli manteneva dei collegamenti
navali regolari con il continente, com'è peraltro confermato anche
dal puntuale recapito della corrispondenza citata nei tre successivi brani
di Cicerone.
Tito Labieno (con tre legioni e duemila cavalieri) era stato lasciato da
Cesare sul continente per controllare la situazione, custodire i porti
ed assicurare i rifornimenti necessari alle forze oltre Manica. Egli provvide
alla costruzione di sessanta nuove navi, che salparono per la Britannia
intorno alla metà di settembre (insieme a quelle del primo convoglio
di cui si parla nell'ultimo brano del capitolo).
All'operazione romana in Britannia partecipava, quale legato di Cesare,
anche Quinto Tullio Cicerone, fratello minore del celebre oratore filosofo.
Dalle lettere scritte da quest'ultimo in quel periodo, sono tratti i seguenti
tre brani, da cui si può percepire come fosse "vissuta",
a Roma, la spedizione in Britannia. I tre scritti sono rispettivamente
datati fine agosto, fine settembre e fine ottobre 54 a.C..
Marco Tullio Cicerone - A Quinto XX, 4.
Quanto piacere mi ha dato la tua lettera dalla Britannia! Temevo l'Oceano,
temevo le spiagge di quell'isola; non svaluto certo gli altri pericoli:
ma in essi vedo motivi più di speranza che non di timore ... Quali
località, quali paesaggi, e quali costumi e quali popolazioni e
quali battaglie, e, soprattutto, quale generale!
Marco Tullio Cicerone - A Quinto XXI, 25.
Dalla Britannia Cesare mi ha mandato una lettera in data primo settembre
con notizie abbastanza buone della Britannia.
Marco Tullio Cicerone - Ad Attico IV, 18, 5.
Il ventiquattro ottobre ebbi lettere da Quinto e da Cesare, spedite
dalle coste più vicine della Britannia il venticinque settembre.
La Britannia è vinta, sono stati ricevuti ostaggi; prede, niente,
ma imposto un tributo: ne riportano l'esercito.
Nei tre mesi di permanenza in Britannia, Cesare condusse le proprie legioni fino al Tamigi (che varcò anche, per un breve tratto), sconfiggendo le forze contrappostegli.
Caio Giulio Cesare - Guerra Gallica V, 23.
Ricevuti gli ostaggi riconduce al mare l'esercito e trova le navi riparate.
Dopo averle fatte mettere in acqua, poiché aveva un gran numero
di prigionieri ..., decise di riportare l'esercito con due convogli. E
il caso volle che di così gran numero di navi, sebbene impegnate
in così tante traversate, né in quell'anno né nell'anno
precedente ne andasse persa una sola carica di soldati, mentre quelle che
vuote venivano rimandate a Cesare dal continente, che fossero di quelle
del primo convoglio che avevano sbarcato i soldati, che fossero quelle
che dopo la tempesta Labieno aveva fatto costruire in numero di sessanta,
pochissime poterono prendere terra nel luogo stabilito, le altre quasi
tutte furono respinte.
Cesare, avendole aspettate invano per qualche tempo, perché la stagione
non gli impedisse la navigazione, poiché era prossimo l'equinozio,
fu costretto a stipare i soldati; calmatosi il tempo, essendo salpato al
principio della seconda vigilia, all'alba toccò terra con tutte
le navi indenni.
Cesare effettuò la navigazione di rientro, con il secondo convoglio,
verso fine settembre 54 a.C..
La spedizione di Giulio Cesare in Britannia conseguì un duplice
risultato: i Britanni si astennero, negli anni seguenti, dal fornire ulteriori
aiuti alle ribellioni dei Galli; inoltre, vennero allacciate le prime relazioni
di Roma con quelle popolazioni, ponendo le premesse allo sbarco che verrà
più tardi effettuato dall'imperatore Claudio ed alla successiva
romanizzazione.
Siamo nel mese di aprile 49 a.C., secondo anno della guerra civile contro
Pompeo, che era già fuggito da Roma e dall'Italia, attestandosi
in Epiro. Egli ancora disponeva, comunque, di un enorme vantaggio: grazie
agli ampi poteri di cui era stato investito negli anni precedenti, nonché
per l'autorità straordinaria a suo tempo esercitata soprattutto
nel campo marittimo (capitoli XII, XIII e XIV), egli poteva contare sulla
devozione pressoché assoluta dei comandanti delle varie flotte romane
che solcavano il Mediterraneo.
Cesare, invece, pur essendo stato legittimamente investito dell'autorità
dal Senato, non disponeva in quel periodo di alcuna flotta e, dovendosi
recare in Spagna, stava percorrendo la via terrestre, lungo la costa meridionale
della Gallia; egli era appena giunto alle porte di Marsiglia, ove si stava
anche recando, via mare, Lucio Domizio Enobarbo (un facoltoso pompeiano,
trisavolo di Nerone).
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile I, 34-36.
Domizio era partito ad occupare Marsiglia con sette navi celeri che
aveva requisite da privati nell'isoletta del Giglio e nel territorio di
Cosa ...
... i Marsigliesi avevano chiuso le porte a Cesare. Avevano ... ammassato
il grano in città, organizzato in città fabbriche di armi,
e ora riparavano mura, porte, flotta.
Cesare chiama a colloquio i quindici primati di Marsiglia. Con essi tratta
perché un'iniziativa dei Marsigliesi non determini lo scoppio della
guerra: è loro dovere seguire l'autorità dell'Italia intera
piuttosto che accondiscendere alla volontà di un solo uomo. ...
Durante queste trattative Domizio giunge a Marsiglia con la sua flotta:
gli abitanti, accoltolo, gli affidano il governo della città e il
comando supremo della guerra. ...
Cesare, sentendosi profondamente oltraggiato, conduce sotto Marsiglia tre
legioni; dispone la costruzione di torri e tettoie per l'assalto alla città
e di dodici navi da guerra ad Arles.
Quando queste navi, dopo trenta giorni dal taglio del legname furono finite
e attrezzate e quindi menate a Marsiglia, ne dà il comando a Decimo
Bruto e lascia per l'assedio della città il legato Gaio Trebonio.
Dopo aver impartito le sue disposizioni, Cesare lasciò la regione di Marsiglia (il 5 giugno) e proseguì per la Spagna. Mentre Trebonio avviava l'assedio terrestre, Decimo Giunio Bruto Albino (che aveva già comandato la flotta romana nella guerra Venetica) iniziava ad operare con le navi costruite ad Arles (avevano raggiunto il mare discendendo l'ultimo tratto, navigabile, del Rodano) in modo da assicurare il blocco navale della città.
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile I, 56-57.
... i Marsigliesi, dietro consiglio di Lucio Domizio, armano diciassette
navi da guerra, di cui undici con coperta. Vi aggiungono molti navigli
più leggeri per spaventare già colla moltitudine la nostra
flotta. Vi imbarcano una quantità di arcieri ...
Armata così completamente la flotta, s'avanzano pieni di fiducia
contro le nostre navi, le quali, al comando di Decimo Bruto, erano ancorate
presso l'isola ch'è di fronte a Marsiglia.
Bruto era di molto inferiore per numero di navi, ma nell'equipaggio Cesare
aveva messo uomini scelti da tutte le legioni per il loro grande coraggio
... Questi avevano preparato delle mani di ferro e degli arpioni e si erano
forniti di una grande quantità di giavellotti, tragule e altri proiettili.
Iniziò così la battaglia navale di Marsiglia, combattuta il 27 giugno 49 a.C. al largo della città, non lontano dall'antistante isoletta (odierna Ratonneau).
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 525-548.
Da un lato con pari forza di braccia uscirono i vascelli di Cesare,
dall'altro la flotta con ciurme greche: le carene vibrarono alla spinta
dei remi, e colpi frequenti spinsero le alte poppe.
Le ali della flotta romana, e le possenti triremi e le navi mosse da un
quadruplice ordine di vogatori e quelle che immergono in acqua un numero
maggiore di remi, si disposero intorno alla flotta. Un simile nerbo fronteggiava
il mare aperto. Nello schieramento ad arco le liburne tengono un posto
arretrato, paghe di levarsi in un duplice ordine di rematori. Più
alta di tutte, la nave ammiraglia di Bruto è spinta da sei ordini;
avanza immergendo la chiglia e tocca lontano la superficie delle acque
con l'estremità dei remi.
Quando lo spazio di mare tra le due flotte divenne tale, che potessero
percorrerlo con una sola spinta della voga, si mischiarono nel vasto cielo
innumerevoli voci; il clamore copriva lo scroscio dei remi, neanche le
trombe potevano udirsi. Battono la cerulea distesa, ricadono sui banchi
e coi remi percuotono i petti.
Quando i rostri crepitarono cozzando coi rostri, le navi si trassero indietro,
e i dardi scagliati offuscarono il cielo cadendo nel mare sgombro. Già
con le prue in direzioni opposte allargavano le ali, e navi in direzione
diversa filtravano nello schieramento diradato.
Riferendosi alla flotta ed agli equipaggi marsigliesi, Lucano, nel suo colorito racconto, usa indifferentemente gli aggettivi "greco" e "focese" per ricordare le origini della città di Marsiglia, colonia ellenica fondata - ai tempi del re Tarquinio - da esuli focesi.
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile I, 58.
I Marsigliesi, da parte loro, fiduciosi nella celerità delle
navi e nell'abilità dei piloti, sfuggivano agli attacchi dei nostri
ed evitavano i loro tentativi di arrembaggio; fin quando era possibile
disporre di uno spazio abbastanza ampio, si sforzavano, schierandosi su
di una linea piuttosto larga, di circondare i nostri oppure assalire con
parecchie navi ciascuna di quelle nemiche o ancora, rasentandole di corsa,
spazzarne via, se potevano, i remi ... I nostri, invece, non solo usavano
rematori meno esercitati e piloti meno esperti, passati d'un tratto dalle
navi da carico alle navi da guerra, senza aver nemmeno imparato i nomi
degli attrezzi, ma erano inoltre impacciati dalla lentezza e pesantezza
delle navi: costruite in fretta e furia con legname troppo verde, esse
non fornivano la stessa velocità. Quindi, pur di avere la possibilità
di combattere da vicino, senza timore si opponevano con ciascuna nave a
due avversarie e, dopo aver scagliato le mani di ferro e averle afferrate
tutte e due, combattevano da due lati e saltavano all'arrembaggio.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 567-570.
Ormai non si scagliano lance a forza di braccia, né s'infliggono
ferite col ferro saettato da lontano, ma si lotta corpo a corpo. In questa
battaglia navale agisce soprattutto la spada.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 583-602.
Una nave romana, stretta da legni focesi, divide le forze e difende
con uguale decisione il fianco destro e il sinistro. Mentre Cato combatte
dall'alto della poppa e agguanta audacemente un aplustre greco, è
trafitto nel medesimo istante da frecce nel petto e nel dorso ...
Qui dirige la nave anche lo sventurato Telone; nel mare in tempesta i battelli
non ubbidiscono a nessuna mano più che alla sua, e a nessuno è
più noto il tempo dell'indomani, scruti egli Febo o i corni della
luna per disporre sempre le vele ai venti che stanno per levarsi. Egli
aveva sfondato con lo sprone il fasciame d'una nave, ma dardi vennero a
trapassargli vibranti il petto, e la mano del timoniere morente deviò
il vascello.
Giareo, mentre tenta di arrampicarsi su una poppa alleata, riceve nei fianchi
a mezz'aria un colpo di dardo, e, trafitto dal ferro che lo inchioda allo
scafo, pendette nel vuoto.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 634-661.
Quel giorno offrì al mare molti straordinari spettacoli di morti
diverse. Un arpione, afferrando con rapaci uncini una poppa, agganciò
Licida ...
Una nave, mentre l'equipaggio per l'ardore della battaglia s'ammassava
su un fianco, inclinandolo, e lasciava vuota la parte opposta al nemico,
si rovesciò per il peso concentrato, e la cava chiglia ricoprì
le acque e i marinai: non poterono muovere le braccia sul vasto abisso;
perirono imprigionati dal mare.
Poi si vide un esempio unico di orribile morte, quando opposte carene trafissero
con i loro speroni un guerriero che nuotava ... Quando arrestano coi remi
le navi, e i rostri indietreggiano, il corpo, ricaduto in mare con il petto
squarciato, lasciò che l'acqua attraversasse le ferite.
Valerio Massimo - Fatti e Detti, III, 2, 22.
Non possiamo passare sotto silenzio nemmeno Acilio, il quale, ... vistasi
troncata la mano con la quale si era afferrato ad una nave nemica, si attaccò
con la sinistra alla poppa, né smise di combattere finché
la nave fu catturata ed affondata.
Svetonio e Plutarco dicono che Acilio saltò a bordo della nave marsigliese, che venne poi catturata dai Romani.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 670-686.
Ora, ad ogni soldato privo delle armi scagliate, il furore ne appronta
di nuove: uno scagliò sul nemico un remo, un altro con braccia possenti
un intero aplustre; scacciati i rematori, divelsero e rotearono i banchi,
ruppero le navi per combattere...
Nulla tuttavia produsse maggiori stragi sul mare del flagello dell'elemento
opposto. Divampa il fuoco, appiccato da torce resinose e avvivato dallo
zolfo che contengono; le carene offrirono una facile esca e gli incendi
le divorarono, con l'aiuto della pece e della cera liquefatta. Le onde
non domano le fiamme, e il fuoco si avventa selvaggio sui rottami delle
navi sparsi sulla distesa delle acque.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 690-707.
Né manca il valore dei naufraghi: raccolgono i dardi caduti in
mare, li porgono alle navi, e affaticano le mani malsicure tra i flutti
in deboli colpi. ... Il nemico afferra selvaggiamente il nemico ed esulta,
nell'intrico di braccia, di farlo affondare e morire sommerso insieme con
lui.
V'era in quella battaglia un focese, abilissimo nel trattenere il respiro
sott'acqua, scrutare il fondale se avesse trattenuto qualcosa nella sabbia,
e svellere la presa troppo tenace dell'arpione, tutte le volte che l'ancora
riluttava agli strappi della fune. Sommerso un nemico, e trascinatolo sul
fondo, egli tornava vincitore ed incolume alla superficie delle onde. Ma,
mentre credeva di risalire tra liberi flutti, gli accadde di urtare in
una chiglia e rimase sepolto nel mare.
Altri si aggrapparono con le braccia ai remi nemici e arrestarono la fuga
delle navi. Non spendere inutilmente la morte fu la massima cura.
Marco Anneo Lucano - Farsaglia III, 752-762.
Già il destino dei condottieri s'inclina, la sorte della guerra
non è più incerta.
Gran parte della flotta greca è sommersa; alcune navi, mutato equipaggio,
trasportano i vincitori, poche con fuga precipitosa riparano negli arsenali.
...
Bruto, vincitore sul mare, aggiunse alle armi di Cesare la prima vittoria
navale.
La vittoria navale di Marsiglia fu, in realtà, la seconda riportata da Decimo Bruto che aveva già vinto nelle acque oceaniche, al comando di una ben più ampia flotta, la battaglia navale della Bretagna (capitolo precedente).
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile I, 58.
Le navi perdute dai Marsigliesi, in quella giornata, tra affondate e
catturate furono nove.
In particolare, tre navi furono affondate e sei catturate dai Romani.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLI, 2.
Decimo Bruto, con le sue grandi navi e con la robustezza dei suoi fanti
di mare vinse il combattimento navale e rinchiuse completamente i Marsigliesi
nella loro città ...; se ciò non fosse avvenuto, non vi sarebbe
stato più rimedio per Cesare.
Per una città marittima come Marsiglia, infatti, l'assedio avrebbe perso qualsiasi efficacia qualora non si fosse mantenuto il blocco navale. La città stava tuttavia per ricevere il sostegno di un altro pompeiano.
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile II, 3-4.
Lucio Nasidio, mandato da Gneo Pompeo ... con una flotta di sedici navi,
fra cui alcune con la prua di bronzo, ... approda Messina: ... la gente
fugge; egli ne approfitta per portare via una nave dai cantieri. La unisce
alla flotta e prosegue la sua rotta verso Marsiglia; per mezzo di una barca
mandata avanti di nascosto, informa del suo arrivo Domizio e i Marsigliesi
e vivamente li esorta a scontrarsi di nuovo, approfittando dei suoi rinforzi,
con la flotta di Bruto.
I Marsigliesi, dopo la precedente sconfitta, avevano tirato fuori dai cantieri
vecchie navi, in numero uguale a quello delle navi perdute, le avevano
riparate ed equipaggiate con tutta cura (di rematori e di nocchieri vi
era grande abbondanza a loro disposizione), vi avevano aggiunto dei battelli
da pesca e li avevano forniti d'una coperta, per proteggere i rematori
contro i proiettili; tutte queste imbarcazioni riempirono di arcieri e
macchine da guerra. Una volta che la flotta fu così allestita, tutti,
vecchi, madri giovinette, con preghiere e con lacrime invitano gli uomini
in armi a soccorrere la città nell'estremo pericolo: essi s'imbarcano
con coraggio e fiducia non minore che prima della precedente battaglia.
...
Approfittando d'un vento favorevole, escono dal porto e a Tauroento, piccola
piazzaforte dei Marsigliesi, raggiungono Nasidio; ivi preparano le navi
allo scontro. ... L'ala destra è assegnata ai Marsigliesi, la sinistra
a Nasidio.
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile II, 5.
Verso quel luogo fa rotta anche Bruto, accresciuta la sua flotta: infatti,
alle navi fatte costruire da Cesare ad Arles, si erano aggiunte le sei
prese ai Marsigliesi, che egli aveva riparate e completamente attrezzate
nei giorni precedenti. Perciò, dopo aver esortato i suoi uomini
a non temere, ... muove all'attacco pieno di buona speranza e di coraggio.
Si avviò così la battaglia navale di Tauroento (località costiera levante di Marsiglia), combattuta il 31 luglio 49 a.C..
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile II, 6.
Nella battaglia il valore dei Marsigliesi fu perfetto ... Poiché
le nostre navi si erano a poco a poco scostate le une dalle altre, il nemico
aveva spazio per profittare dell'abilità dei suoi piloti e della
speditezza delle navi; se a volte i nostri, colto il destro, lanciavano
le mani di ferro e afferravano una nave, da ogni parte soccorrevano i compagni
in pericolo. ...
Contemporaneamente una forte quantità di proiettili, lanciati da
lontano, si abbattevano all'improvviso dalle imbarcazioni leggere sui nostri
... causando molte ferite.
Due triremi, scorta la nave di Decimo Bruto, facilmente riconoscibile dalle
insegne, si erano lanciate da due parti contro di essa. Ma Bruto previde
la manovra e fece accelerare la sua nave in modo da prevenirle per un momento.
Le navi avversarie, lanciate l'una contro l'altra, cozzarono così
fortemente che ambedue ne soffrirono molto gravemente, anzi una delle due
ebbe il rostro spezzato e si sfasciò completamente. Le navi della
flotta di Bruto notano l'incidente, assalgono le navi danneggiate e le
affondano rapidamente ambedue.
La nave ammiraglia romana era a quel tempo contraddistinta da un vessillo purpureo. La velocità relativa fra le due triremi marsigliesi che collisero di prora doveva essere dell'ordine dei venti nodi: si può quindi ben comprendere l'effetto disastroso dell'impatto.
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile II, 7.
Ma le navi di Nasidio non servirono a nulla e abbandonarono rapidamente
la battaglia ... Perciò di esse nessuna andò perduta; della
flotta marsigliese cinque navi furono affondate, quattro prese, una fuggi
con quelle di Nasidio, che fecero tutte rotta verso la Spagna Citeriore.
Questa seconda vittoria navale di Decimo Bruto sui Marsigliesi tolse a questi ultimi la possibilità di tentare ulteriori azioni in mare per infrangere il blocco navale. Dopo aver ancora resistito - per meno di tre mesi - in quelle condizioni disperate, la città si arrese ai Romani il 25 ottobre 49 a.C..
Caio Giulio Cesare - Guerra Civile II, 22.
I Marsigliesi, spossati da ogni sorta di mali, ridotti all'estrema carestia,
battuti due volte per mare, sgominati in parecchie sortite, ... decidono
di arrendersi, questa volta lealmente.
Ma alcuni giorni prima Lucio Domizio, sapute le intenzioni dei Marsigliesi,
procuratesi tre navi delle quali due assegnò ad amici intimi, si
era imbarcato egli stesso sulla terza e, approfittando d'una violenta tempesta
era partito. Lo scorsero le navi che, per ordine di Bruto, montavano quotidianamente
la guardia al porto: esse levarono l'ancora e presero ad inseguirlo. Ma
dei battelli inseguiti, uno, proprio quello di Domizio, accelerò,
persisté nella fuga e, col favore della tempesta, sparì all'orizzonte;
gli altri due, atterriti dagli attacchi convergenti delle nostre navi,
si ritirarono nel porto.
I Marsigliesi, eseguendo gli ordini, portano fuori dalla piazzaforte armi
e macchine da guerra, fanno uscire dal porto e dai cantieri le navi, consegnano
il denaro del pubblico tesoro.
Strabone - Geografia IV, 1.
... memori dell'antica amicizia, sia Cesare che gli altri imperatori
furono assai moderati nel punire le colpe di cui i Marsigliesi guerreggiando
si erano macchiati; e conservarono a quella città la primitiva sua
indipendenza.
Tuttavia, la maggior parte del territorio che era stato soggetto ai
Marsigliesi venne aggregato alla Provincia Narbonense, posta sotto l'amministrazione
di Roma.
Più tardi, nella vicina colonia romana di Arausio (odierna Orange)
fondata da Cesare nel territorio ex-marsigliese per sistemare suoi veterani
dopo la presa della città, venne eretto il più antico fra
gli archi di trionfo conservati fino ai nostri giorni; esso è tuttora
ornato da grandi bassorilievi con la riproduzione di prore, rostri navali
ed altri emblemi marittimi, che ricordano le vittoriose operazioni della
flotta di Decimo Bruto e la cattura delle navi di Marsiglia.
Nel 44 a.C., dopo l'uccisione di Giulio Cesare, Marco Antonio non ebbe difficoltà a suscitare l'ira popolare contro i congiurati, ma avvertì il bisogno di ammorbidire le diffidenze del Senato.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili III, 4.
Antonio propose di richiamare dalla Spagna, dove era tuttora braccato
dai generali di Cesare, Sesto Pompeo, figlio di quel Pompeo Magno che ancora
tutti vivamente rimpiangevano, ... e di nominarlo comandante supremo della
flotta, come era stato suo padre, autorizzandolo a servirsi delle navi
romane ovunque fossero, secondo necessità.
I senatori, pieni di ammirazione per ciascuna di queste proposte, le accettarono
con entusiasmo.
Nel 43 a.C. Sesto Pompeo, secondogenito di Pompeo Magno (il figlio maggiore, Gneo, era morto in Spagna nel 46 a.C. dopo essere stato sconfitto da Giulio Cesare a Tapso), fu nominato Comandante della flotta e della difesa delle acque costiere ("ora maritima").
Appiano di Alessandria - Guerre Civili IV, 84.
il Senato richiamò Pompeo. Questi, recatosi a Marsiglia, vi si
mantenne per osservare ciò che accadeva a Roma.
Nominato al comando dei mari, come li aveva comandati il padre, non andò
nemmeno allora a Roma, ma, dopo aver preso tutte le navi che erano nei
porti, andò navigando insieme con le altre che aveva portato dalla
Spagna.
Sesto Pompeo aveva raccolto in Spagna delle forze terrestri e navali costituite da elementi ribelli.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 73, 1.
Questo giovane non era colto, si esprimeva anzi scorrettamente, ma era
audace negli assalti, lesto nell'agire, di pronta intuizione, per niente
simile al padre quanto a lealtà, liberto dei suoi liberti, servo
dei suoi servi, invidioso di che deteneva posizioni di prestigio per poi
ubbidire a persone di infima importanza.
In quello stesso anno (43 a.C.), Caio Giulio Cesare Ottaviano (nome assunto nel 44 a.C. dal giovane Ottavio, che era stato adottato da Giulio Cesare) venne nominato, a soli 19 anni, propretore e senatore, poi console (in agosto), ed infine triumviro (a partire da novembre).
Tito Livio - Periochae CXX.
Cesare [Ottaviano] fece la pace con Antonio e con Lepido alla
condizione di far parte ciascuno di loro per cinque anni dei triumviri
incaricati di dare la costituzione allo stato e di proscrivere ognuno i
propri personali avversari.
L'istituzione del triumvirato, concertata fra i tre interessati, venne legittimata dal voto popolare che ne approvò il mandato per un quinquennio (fino al 38 a.C.). Le proscrizioni dei triumviri sconvolsero l'Italia soprattutto nel periodo da fine novembre 43 agli inizi del 42 a.C..
Tito Livio - Periochae CXXIII.
Ses. Pompeo, figlio del Magno, raccolti dall'Epiro proscritti e schiavi
fuggiti, con queste forze, senza disporre di alcuna stabile base, esercitò
lungamente sul mare la pirateria e dapprima occupò la città
di Messina in Sicilia e poi l'intera provincia.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili IV, 85.
Impadronitosi in tal modo della Sicilia, Pompeo manteneva in quell'isola
le navi ..., nonché milizie in gran quantità, fra le quali
vi erano, oltre a quelle che già possedeva, quelle che i profughi
da Roma gli portavano - come schiavi o uomini liberi - e quelle che dall'Italia
gli inviavano le città già promesse in premio ai soldati
vittoriosi dei triumviri. ... E con lui vi erano anche, per la flotta,
degli Africani e degli Spagnoli praticissimi di marineria; e Pompeo confidava
molto in essi, per le esigenze di comandanti, di navi, di militi navali
e di denaro.
In quella fase, Sesto Pompeo si avvaleva del comando dei mari per rafforzare la propria posizione.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili IV, 36.
Sesto Pompeo non solo accoglieva gli scampati con grande premura, ma
con altrettanta sollecitudine, mandava in giro i suoi emissari, per esortare
i fuggitivi a raggiungere la Sicilia ... Scialuppe e mercantili, da lui
inviati in alto mare, si facevano incontro alle barchette di fuggiaschi;
triremi lungo la costa lanciavano segnali a chi avesse perso l'orientamento
e facevano imbarcare i proscritti che fossero riusciti a raggiungere la
costa.
L'attività in mare svolta dalle forze navali di Sesto Pompeo si tramutò presto in pirateria vera e propria; questa veviva condotta avvalendosi, come ammiragli, di personaggi come Mena (diminutivo di Menodoro) che, secondo quanto si presume, era stato uno dei capi pirati catturati da Pompeo Magno.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 73, 3.
Si mise allora ad infestare il mare con azioni piratesche per mezzo
di Mena e Menecrate, liberti di suo padre, e si serviva del bottino per
provvedere alle necessità sue e dell'esercito. Non si vergognava
di infestare con eccessi degni di pirati quel mare che era stato reso libero
dalle armi e dal comando di suo padre.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili IV, 85.
Cesare Ottaviano, all'udir tali cose, inviò Salvidieno con una
flotta per sconfiggere Pompeo in mare - impresa certamente non agevole
- ed egli nel contempo muoveva lungo l'Italia per cooperare presso Reggio
con Salvidieno.
Uscito Pompeo con una poderosa flotta per incontrare quest'ultimo, ed avendo
ingaggiato una battaglia navale presso capo Scilleo, in prossimità
dell'imboccatura dello stretto, le navi di Pompeo, essendo più leggere
e dotate di provetti marinai, prevalevano per velocità e per qualità
nautiche, laddove le romane, essendo di maggior taglia e peso, ne soffrivano.
Sopravvenuta poi la consueta marea, per cui la corrente divideva il mare
a tratti alterni, i Pompeiani poco ne risentirono poiché vi erano
abituati, mentre gli uomini di Salvidieno, inesperti di quei fenomeni,
ne furono turbati, non potendo né stare in piedi, né sollevare
i remi, né reggere con facilità i timoni.
Quindi Salvidieno, verso il calare del giorno, diede il segno della ritirata,
e così si ritirò anche Pompeo. Vennero perdute da entrambi
un pari numero di navi; poi Salvidieno riparò le altre, rotte o
malconce, che si erano ritirate nel porto Balaro, davanti allo stretto.
Dopo la battaglia navale di capo Scilleo (42 a.C.), Quinto Salvidieno
Rufo Salvio continuò ad esercitare il comando della flotta di Ottaviano
(che era impegnato, insieme ad Antonio, contro Bruto e Cassio) con risultati
ben poco soddisfacenti. Più tardi, accusato di cospirare contro
Ottaviano, non poté sfuggire alla morte.
Nel 41 a.C., la flotta di Sesto Pompeo venne potenziata con ulteriori 80
navi portate da Lucio Staio Murco, ammiraglio dei recentemente sconfitti
Bruto e Cassio. La pirateria esercitata da Sesto Pompeo nei mari d'Italia
finì per recidere le linee di comunicazioni marittime utilizzate
per i rifornimenti di Roma: la grave carestia che ne conseguì suscitò,
nel 39 a.C. delle preoccupanti sommosse nell'Urbe.
Tito Livio - Periochae CXXVII.
Poiché Ses. Pompeo, nemico che agiva molto da vicino contro l'Italia,
occupava la Sicilia e bloccava traffici e rifornimenti, Cesare e Antonio
gli richiesero la pace.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 77, 1-2.
in seguito all'unanime richiesta del popolo, tormentato da una grave
carestia per l'insicurezza del mare, presso Miseno si avviarono trattative
di pace con Pompeo che, ricevendo a cena sulla propria nave Cesare ed Antonio,
con una certa arguzia fece notare che offriva loro una cena nelle sue carene
... In questo trattato di pace fu deciso di concedere a Pompeo la Sicilia
e l'Acaia; ma quell'animo irrequieto non ne fu soddisfatto.
Il "patto di Miseno", stretto all'inizio dell'estate 39 a.C.,
concedeva a Sesto Pompeo l'amministrazione delle tre isole maggiori (con
eventuale successiva estensione all'Acaia). L'osservazione ironica formulata
da Sesto Pompeo era basata su di un gioco di parole: "Carene"
era anche il nome dell'elegante quartiere di Roma ov'era la casa di Pompeo
Magno, abusivamente presa da Antonio.
Sesto Pompeo non mantenne a lungo gli impegni assunti a Miseno: già
nel 38 a.C., il suo ammiraglio Menecrate condusse delle incursioni sulle
coste della Campania.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 18, 2.
Saccheggiò Pozzuoli, Formia, Volturno, in una parola l'intera
Campania, le isole di Ponza e di Enaria, la stessa foce del fiume Tevere.
Tito Livio - Periochae CXXVIII.
Poiché Ses. Pompeo di nuovo infestava il mare con le sue azioni
di pirateria e non rispettava la pace, che pur aveva accettato, per forza
Cesare intraprese la guerra contro di lui.
Ottaviano assunse quella decisione nel 38 a.C. e la fece approvare, l'anno successivo, dai triumviri, che rinnovarono il loro mandato per un secondo quinquennio (37-33 a.C.).
Caio Svetonio Tranquillo - Vite, Augusto, 16.
La guerra sicula fu tra le prime ch'egli intraprese, ma la trasse in
lungo, interrompendola spesso ... per rifare le flotte, che in due naufragi
pur essendo d'estate aveva perdute ...
Nel 38 e nel 37 a.C., le flotte di Ottaviano subirono alcuni insuccessi e due naufragi disastrosi.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 118.
Pompeo non riteneva conveniente di approfittare della buona occasione
di tali naufragi, ma soltanto offriva sacrifici al mare e a Nettuno e si
faceva chiamare loro figlio ... Dicono che egli, gonfiato da questi avvenimenti,
abbia mutato il paludamento solito dei comandanti in capo da purpureo in
azzurro, proprio per indicare d'essere adottato da Nettuno.
Questa è la prima apparizione dell'azzurro, colore del mare,
quale distintivo dei comandanti navali; al termine della guerra contro
Sesto Pompeo, come vedremo più avanti, quello stesso colore verrà
adottato per l'insegna conferita da Ottaviano al suo ammiraglio Agrippa.
Nell'inverno 37-36 a.C., Ottaviano diede un nuovo e vigorosissimo impulso
ai preparativi della guerra navale contro Sesto Pompeo, facendo costruire
una nuova flotta ed un nuovo porto militare, nonché ponendo al comando
della sua Marina un uomo eccezionale, che si rivelerà il più
grande degli ammiragli.
Caio Svetonio Tranquillo - Vite, Augusto, 16.
... ricostruite da capo le navi e manomessi [cioè affrancati]
e posti al remo ventimila schiavi, aperse il porto Giulio, presso Baia.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 18, 6.
Tagliato ... un tratto della via Ercolana e scavati i lidi, il lago
Lucrino fu trasformato in porto e, aperta la parte intermedia, gli fu unito
l'Averno, di modo che quelle in acque tranquille la flotta si esercitasse
a imitazione di una guerra navale.
La via Ercolana è quella che da Pozzuoli porta a Baia, correndo
lungo la stretta striscia di terra che separa il Lucrino dal mare. Il nuovo
porto Giulio era costituito dall'unione dei due laghi.
Marco Vipsanio Agrippa, console nel 37 a.C., dopo aver felicemente combattuto
in Gallia era rientrato in Italia per assumere le nuove funzioni cui era
stato chiamato. Egli era uno dei più stretti amici di Ottaviano,
ne sposò poi la figlia Giulia, e ne rimase fino alla fine il più
valido collaboratore (insieme a Mecenate).
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 79, 1-2.
Alla costruzione delle navi, all'arruolamento dei soldati [cioè
dei militi navali] e dei rematori, al loro addestramento alle battaglie
navali e alle esercitazioni, fu preposto Marco Agrippa, uomo di straordinario
valore, che non si lasciava vincere dalle fatiche, dalle veglie e dai pericoli
... In ogni occasione egli non tollerava ritardi, ma faceva seguire alle
decisioni i fatti.
Fece costruire nei laghi Averno e Lucrino una flotta imponente e con esercizi
quotidiani portò i soldati [militi navali] e i rematori
alla perfetta conoscenza delle operazioni militari e navali. Con questa
flotta Cesare mosse guerra a Pompeo in Sicilia.
In aggiunta alla propria flotta, Ottaviano poteva anche utilizzare un centinaio di navi rese disponibili da Antonio (per intercessione della moglie Ottavia, sorella di Ottaviano) e che si trovavano a Taranto, dall'anno prima, sotto il comando di Tito Statilio Tauro.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Non appena la flotta fu pronta, all'inizio della primavera, Cesare Ottaviano
salpò da Baia e diresse lungo le coste d'Italia fiducioso di poter
circondare da ogni parte la Sicilia, poiché aveva con sé
moltissime navi; inoltre, quelle inviate da Antonio erano già giunte
..., mentre anche Lepido, sia pure di malavoglia, aveva promesso di venire
in aiuto.
Egli confidava molto, inoltre, nell'altezza delle sue navi e nello spessore
del legno con cui erano state costruite. Esse avevano anche una capienza
superiore al normale, ciò che consentiva di imbarcarvi un maggior
numero di militi navali; ed avevano sovrastrutture a foggia di torre, per
consentire ai predetti militi di combattere da una posizione sopraelevata
- come da una fortezza - e per resistere saldamente all'urto delle navi
nemiche: potendo scontrarsi con maggior veemenza, avrebbero mantenuto a
distanza i rostri di quelle.
Il triumviro Lepido mostrò di onorare il proprio impegno: passò dall'Africa nella Sicilia orientale con 70 navi da guerra e 1000 onerarie che trasportarono con dodici legioni.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
[Cesare Ottaviano] si portò all'isola di Lipari e, dopo avervi
lasciato Agrippa con la flotta, si recò nel continente per trasferire
in Sicilia anche le truppe terrestri. Essendone venuto a conoscenza, Pompeo
rimase ad attenderlo stando ancorato a Messina, dopo aver assegnato a Democare
il compito di sorvegliare Agrippa, permanendo con la flotta a Milazzo.
Le forze terrestri che dovevano essere prelevate da Ottaviano si trovavano a Vibo Valentia, pronte a portarsi sulla costa ionica (golfo di Squillace) ove si dovevano imbarcare sulle navi provenienti da Taranto al comando di Tauro.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Agrippa, ... portando con sé le navi migliori, si avvicinò
a Milazzo per accertare la consistenza delle navi nemiche; e, poiché
non poteva vederle tutte e nessuna uscì contro di lui, sottovalutò
il nemico e, rientrato a Lipari, si predispose a condurre ... la flotta
a Milazzo l'indomani.
Analogamente, Democare, ritenendo che Agrippa disponesse solo delle navi
che erano venute davanti a Milazzo, e valutando ch'esse, data la loro mole,
fossero eccessivamente lente, approntò ogni cosa e, avendo richiesto
a Pompeo di ricongiungersi nottetempo, decise di portarsi verso Lipari.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 105-106.
Agrippa ... intendeva affrontare a Mile [Milazzo] Democare, il
capo pompeiano, che aveva quaranta navi. Pompeo, prevedendo la minaccia
di Agrippa, mandò in rinforzo a Democare da Messina il liberto Apollofane
alla testa di altre quarantacinque navi ed egli stesso seguiva con altre
settanta.
Agrippa, nottetempo, si muoveva da Hiera [Vulcano] con metà
della flotta ... Come vide anche le navi di Apollofane e di poi, dall'altro
canto, anche le settanta, subito faceva sapere a Cesare che Pompeo era
davanti a Mile [Milazzo] con la maggior parte della flotta; guidava
egli stesso le navi pesanti al centro e in fretta richiamava da Hiera
[Vulcano] il restante della flotta.
La notizia della partenza da Messina delle flotte di Pompeo e di Apollofane
era utilissima ad Ottaviano, che doveva portare dal golfo di Squillace
alla costa orientale sicula, a sud dello stretto di Messina, il convoglio
navale utilizzato per il trasporto delle forze terrestri.
Agrippa si predispose quindi ad affrontare senza indugio la battaglia navale
di Milazzo (estate del 36 a.C.), confidando sul successivo ricongiungimento
dell'altra metà della sua flotta.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 106.
Da entrambe le parti ogni preparativo era stato condotto in modo splendido,
e si avevano torri sulle navi a prora e a poppa.
Dopo che furono fatte le esortazioni, solite in questi casi, e le insegne
furono innalzate sulle navi, le squadre mossero le une contro le altre,
gli uni in attacco frontale, altri con manovra aggirante, con grida e strepito
di remi e generale senso di sbigottimento.
Le navi di Pompeo erano più corte e più leggere e veloci
negli assalti e nelle manovre aggiranti, quelle di Cesare di maggior mole
e più pesanti e, quindi, più lente, ma tuttavia più
potenti nell'attacco e più difficilmente vulnerabili.
Agrippa si trovò a combattere disponendo di navi più grosse ma meno manovriere di quelle nemiche, sia in questa occasione, sia nella successiva battaglia navale di Nauloco; cinque anni dopo, egli disputò ad Azio una battaglia navale trovandosi in una situazione esattamente opposta: risultò comunque e sempre vincitore.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Avendo entrambi di che essere superiori ed inferiori ai nemici, si gettarono
nella mischia con pari impeto, e per parecchio tempo rimase incerto l'esito
della battaglia. Infatti, i militi di Pompeo con la loro furia impaurivano
gli avversari e con il maggior impulso impresso alle proprie navi si spingevano
contro le altre, danneggiandone quelle strutture esterne ove passano i
remi; ma, poiché nella fase calda del combattimento essi venivano
dardeggiati dalle torri ed affiancati alle navi avversarie dalle mani di
ferro, finivano per subire più danni di quanti ne arrecassero. D'altra
parte, sebbene i militi di Cesare superassero i nemici combattendo da distanza
ravvicinata ed arrembandone le navi, quelli di Pompeo si avvalevano del
vantaggio di poter facilmente saltare in mare quando le loro navi venivano
fermate, rifugiandosi poi su altre navi; e nel far questo essi erano molto
agevolati dalla loro abilità nel nuoto e dalla leggerezza della
loro tenuta.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 107-108.
Pompeo, osservando da un luogo elevato che le proprie navi avevano ottenuto
pochi successi e che erano troppo prive di truppe combattenti, quando si
veniva al confronto diretto, e che da Hiera [Vulcano] veniva in
aiuto di Agrippa un'altra flotta, diede il segnale di ripiegare ... E poiché
Agrippa li incalzava, si rifugiarono non sulle rive ma in quelle zone di
mare che i fiumi hanno reso poco profonde d'acqua. Agrippa, trattenendolo
i piloti dall'avventurarsi con navi di grosso tonnellaggio in poca acqua,
si ancorò in mare aperto per bloccare il nemico e pronto a combattere
di notte se necessario.
Ma, invitandolo i suoi amici a ... non logorare i soldati costringendoli
a star desti né a fidarsi di un mare tempestoso, di mala voglia,
verso sera, diede ordine di ripiegare. E i Pompeiani si ritirarono verso
i porti, avendo perso trenta delle loro navi ed avendone affondate cinque
dei nemici.
Era la prima volta che una flotta romana riusciva a sconfiggere in battaglia navale gli esperti marinai delle flotte piratiche insediate in Sicilia. Vi era quindi qualche benaugurante affinità fra questa seconda vittoria navale di Milazzo e la prima - di oltre due secoli prima - con cui Caio Duilio aveva inaugurato i successi navali romani contro i più esperti marinai punici.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Mentre avveniva quella battaglia navale, Cesare, venuto a sapere che
Sesto Pompeo aveva lasciato Messina e che lo stretto era rimasto incustodito,
non volle trascurare questa favorevole occasione e, imbarcatosi subito
sulle navi inviategli da Antonio, fece vela per Taormina. ...
Durante la navigazione e lo sbarco a terra, non incontrò alcun contrasto...
Ottaviano, avendo imbarcato una prima aliquota delle legioni sul convoglio navale nel golfo di Squillace, si era portato a ridosso di capo dell'Armi; il tempestivo attraversamento del braccio di mare fra la Calabria e Taormina gli consentì di eludere la minaccia navale di Sesto Pompeo; ciò gli parve avvalorare l'ipotesi che il nemico fosse trattenuto nel Tirreno dalla battaglia navale contro la flotta comandata da Agrippa,
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Ma subito dopo la conclusione della predetta battaglia navale, Pompeo
rientrò sollecitamente a Messina e, avendovi appreso che Cesare
era in zona, fece immediatamente imbarcare sulle sue navi dei nuovi militi
al posto di quelli che avevano combattuto; poi assalì Cesare sia
con le navi, sia con dei soldati da terra.
Il convoglio di Ottaviano diede fondo nelle acque dell'antica Nasso (è forse divenuta più familiare la dizione greca "Naxos", che sta purtroppo soppiantando, forse per mania di esotismo, quella in corretto italiano), devota ad Apollo (Archegete).
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 109-111.
Cesare ... si ancorò presso l'Archegete, la divinità dei
Nassii, per porre ivi il campo e assalire Tauromenio [Taormina].
... E, mentre ancora stava stabilendo l'accampamento, Pompeo si avvicinava
con una grande flotta, apparizione imprevista, giacché credeva che
egli stesse combattendo contro Agrippa. Anche la cavalleria pompeiana sopravanzava,
gareggiando in velocità con la flotta, e dall'altra parte appariva
la fanteria. ...
Cesare, allora, avendo affidato tutte le forze di terra a Cornificio, gli
comandò di respingere per terra i nemici e di agire come le circostanze
imponevano. Egli stesso, ancor prima dell'alba, muoveva con la flotta verso
l'alto mare, perché i nemici non lo imbottigliassero anche da questo
lato. Affidò l'ala destra a Titinio, la sinistra a Carisio. ...
Essendosi mosso Pompeo contro di lui, per due volte si scontrarono fra
di loro e la battaglia terminò con la notte. Delle navi di Cesare
parecchie furono catturate o incendiate; alcune, innalzate le vele piccole,
fecero vela verso l'Italia, non tenendo conto degli ordini ricevuti.
Occorre tener presente che, in questa battaglia navale di Taormina, Ottaviano si avvaleva di navi rese disponibili da Antonio e passate solo da pochi giorni ai suoi ordini: gli equipaggi, oltre ad essere scarsamente motivati, non erano certamente stati sottoposti ad un addestramento confrontabile con quello svolto durante tutto l'inverno, nelle acque del porto Giulio, dalla flotta ch'egli aveva fatto costruire e che aveva posto sotto il comando di Agrippa.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 79, 4.
così, ... la flotta di Cesare subì - proprio sotto i suoi
occhi - una grave sconfitta nei pressi di Taormina, ed egli stesso non
fu esente da pericolo.
Cesare Ottaviano riuscì a scampare con la sola nave su cui era imbarcato.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Non potendo raggiungere i suoi, rimasti in Sicilia, riuscì comunque
a trovare scampo nel continente.
Ottaviano approdò sulla costa calabra e raggiunse le rimanenti legioni a Vibo. Egli volle prontamente riprendere il controllo della situazione e subito avviare le azioni più urgenti; a tal fine, stabilì innanzi tutto dei collegamenti navali con la costa di Taormina e con la flotta schierata a Lipari.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 112.
Cesare, immediatamente e senza prendere cura di sé stesso, mandava
a Cornificio una liburna e ... gli scrisse che gli avrebbe mandato rinforzi
...; scrisse anche ad Agrippa invitandolo a mandare rapidamente Laronio
con delle forze in aiuto di Cornificio che correva pericolo.
Caio Plinio Secondo (il Vecchio) - Storia Naturale, IX,
55.
Durante la guerra in Sicilia, mentre Augusto passeggiava sulla spiaggia,
un pesce saltò dal mare ai suoi piedi: sulla base di questo indizio
gli indovini risposero che, mentre allora Sesto Pompeo si attribuiva come
padre Nettuno - tanta era la gloria delle sue imprese navali -, ai piedi
di Cesare sarebbero caduti coloro che in quel momento avevano il dominio
del mare.
La denominazione di Augusto, qui usata ante litteram, è evidentemente riferita a Cesare Ottaviano.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Cornificio ... incendiò le navi che, reduci dalla battaglia si
erano portate davanti all'accampamento, e ... si avviò verso Milazzo.
...
Agrippa, vittorioso nel combattimento navale, era ritornato a Lipari ove,
avendo appreso che Pompeo si era rifugiato a Messina e Democare se n'era
andato altrove, passò in Sicilia e, dopo aver occupato le città
di Milazzo e Tindari, inviò grano e rinforzi alle forze comandate
da Cornificio. ... e così Cornificio ... poté portare i suoi
in salvo da Agrippa.
Agrippa, che era stato allertato dal messaggio di Ottaviano, fornì
quindi un apporto determinante alla salvezza di Cornificio. Quest'ultimo,
essendosi dimostrato valoroso nell'attraversamento delle zone controllate
dal nemico, venne eletto console nell'anno successivo (35 a.C.) ed ottenne
l'inconsueto privilegio di poter usare un elefante quale mezzo di locomozione
nell'Urbe.
Avendo Agrippa occupato il tratto di costa fra Tindari e Milazzo, Sesto
Pompeo ritirò le sue forze verso levante e si attestò all'altezza
di Nauloco (fra Milazzo e capo Peloro), ove pare vi fosse un santuario
di Diana (l'ellenica Artemide).
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Dopo questi eventi, Cesare si riportò in Sicilia e Sesto Pompeo
gli si mise di fronte nei pressi di Artemisio.
... nello stesso tempo sopraggiunse Agrippa, che schierò le navi
in mare. ...
Nel frattempo, il triumviro Levino, avendo attraversato la Sicilia per concorrere alle operazioni di Ottaviano. si incontrò con lui davanti a Messina.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 118.
Mentre per tutta la Sicilia avvenivano molte scaramucce, ma nessuna
grande battaglia, Cesare inviò Tauro a tagliare i rifornimenti a
Pompeo ...
Pompeo, grandemente molestato da ciò, decise di decidere di tutto
con una grande battaglia.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Pompeo ... ordinò ai suoi di muovere contro il nemico con le
navi, nelle quali aveva una fiducia maggiore.
Dopo tanti anni di pirateria, infatti, Sesto Pompeo si riteneva invincibile sul mare.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 118.
Egli temeva le forze di terra di Cesare, fidando invece sulla flotta;
mandò a chieder se accettava di decidere la guerra con una battaglia
navale. ...
Fu da loro stabilito il giorno nel quale trecento navi d'entrambe le parti
dovevano essere preparate, con armi da getto di ogni tipo e torri ed artiglierie
quante ne volevano.
Agrippa inventò anche il cosiddetto "arpax", un legno
lungo cinque cubiti [~2,2 m] rinforzato
intorno con del ferro e avente alle due estremità due anelli. Uno
degli anelli reggeva lo stesso "arpax", quasi un uncino di ferro,
l'altro reggeva parecchie funi che tiravano con argani l'"arpax",
dopo che con un lancio di catapulta aveva afferrato la nave avversaria.
Questo "arpax" venne certamente concepito, da Agrippa, sulla base dell'esperienza acquisita nel corso della battaglia navale di Milazzo: si trattò di una ulteriore evoluzione (con incremento del raggio d'azione) dei due sistemi già usati dai Romani per agganciare a distanza le navi nemiche al fine di poterle arrembare: il corvo di Caio Duilio e le mani di ferro. Con tale "innovazione tecnologica", l'ammiraglio Agrippa portò la sua flotta contro quella nemica nella battaglia navale di Nauloco, il 3 settembre 36 a.C..
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
Appena fu dato il segnale della battaglia, tutte le navi avanzarono
l'una contro l'altra, in prossimità della costa ...
E ciò costituiva uno spettacolo particolarmente degno di menzione.
Infatti, tutta fascia delle acque costiere era ingombra di navi che, per
la loro moltitudine, ne occupavano un grandissimo tratto; e la terra, di
fronte a quel tratto di mare, era occupata da soldati in armi ... Per cui,
sebbene il combattimento dovesse riguardare soltanto le forze navali, esso
di fatto coinvolgeva anche gli altri: infatti, i militi navali combattevano
a bordo con maggior coraggio per poter esser lodati da quelli della loro
parte che da terra li osservavano; e questi ultimi, ancorché non
si trovassero impegnati in battaglia, al solo vedere quel combattimento
si sentivano partecipanti all'azione.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 119.
Venuto il giorno, vi fu dapprima il contrastante grido delle ciurme,
i lanci dei missili con le artiglierie e quelli a mano, come pietre, razzi
[dardi] incendiari e frecce. Di poi le navi stesse si scontrarono
le une con le altre, alcune nei fianchi, altre sotto le prore, altre nei
rostri, dove i colpi sono soprattutto forti, per squassare i soldati e
mettere fuori uso la nave. Altre attraversavano le opposte linee nemiche
colpendosi con missili e giavellotti e le navi minori raccoglievano quelli
caduti fuori bordo. Si combatteva fra lo sforzo dei marinai, l'abilità
e le grida dei piloti, gli incitamenti dei comandanti e l'azione di ogni
artiglieria.
Soprattutto aveva successo l'"arpax", che, per la sua leggerezza,
veniva lanciato da lontano sulle navi e vi si conficcava non appena veniva
trascinato indietro dalle funi: che fosse troncato da quelli che ne venivano
danneggiati non era facile a causa del ferro che lo rafforzava intorno,
e la sua lunghezza rendeva pressoché impossibile tagliare le funi;
né l'ordigno era conosciuto prima perché avessero posto delle
falci in cima a delle lance; in questo caso imprevisto una sola soluzione
era escogitata: tirarsi indietro, remando a ritroso; ma la stessa cosa
facevano gli avversari e, pari essendo la forza degli uomini, l'"arpax"
faceva il suo ufficio.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 120.
Pertanto, quando le navi si accostavano, si combatteva in tutte le guise
e vicendevolmente si passava sulla nave avversaria; e non era facile riconoscere
il nemico, giacché per lo più si usavano le stesse armi e
quasi tutti la lingua latina e le parole d'ordine, nella mischia confusa,
erano state vicendevolmente divulgate; e di qui soprattutto nascevano molti
e vari inganni da entrambe le parti e mancanza di fiducia verso chi le
pronunciava; ed una incapacità di distinguersi l'un l'altro si impadronì
di tutti, proprio nel mezzo del combattimento e con il mare pieno di morti,
di armi e di naufragi.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 121.
Allora Agrippa, comprendendo a stento dai colori delle torri, per i
quali soltanto differivano i contendenti fra di loro, che erano andate
distrutte in maggior numero le navi di Pompeo, rianimò i suoi, come
oramai vincitori, e di nuovo gettandosi sui nemici, li incalzava senza
sosta, finché, sopraffatti, quanti erano immediatamente prossimi
a lui, abbassarono le torri e voltate le navi fuggirono verso lo stretto.
Diciassette navi riuscirono a fuggire per prime; le rimanenti, avendole
accerchiate Agrippa, alcune inseguite si arenarono contro la spiaggia ...
Quante combattevano ancora in alto mare, scorgendo quello che era accaduto
intorno a loro, si arresero ai nemici. La flotta cesariana alzò
dal mare un grido di vittoria e le truppe di terra risposero dalla riva.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana XLIX, 1.
... quando i Pompeiani furono posti in fuga, i seguaci di Cesare, tutti
insieme e con unanime trasporto, alzarono un grido lieto; ed un urlo terribile
i Pompeiani ...
Cesare fece prigionieri quelli che, dopo essere stati vinti si erano rifugiati
a terra; poi, avanzatosi in mare, incendiò tutte le navi che erano
state sbalzate nelle paludi.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 121.
Nello scontro erano affondate tre navi di Cesare, ventotto di Pompeo;
le rimanenti o erano bruciate, o erano state catturate, o si erano infrante,
incagliandosi contro la costa; soltanto le diciassette erano fuggite.
Con la splendida vittoria navale di Nauloco (3 settembre 36 a.C.), Agrippa aveva, di fatto, completamente annientato il temibile apparato navale pirata che, sotto la guida di Sesto Pompeo, aveva operato dalla Sicilia per circa sette anni, con gravissimo pregiudizio per le attività marittime di Roma.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 79, 5.
Pompeo fu quasi del tutto privato delle sue navi e dovette fuggire in
Asia.
Lucio Anneo Floro - Epitome II,18,9.
... nessun'altra fuga fu più misera. Infatti, padrone poco prima
di trecentocinquanta navi, fuggiva con sei o sette, spento il lume della
nave ammiraglia, gettati in mare gli anelli, spaventato e guardandosi indietro
...
Sesto Pompeo fuggì a Mitilene, da cui passò in Asia minore, venendo infine messo a morte a Mileto da Marco Tizio, comandante di una flotta di Antonio.
Tito Livio - Periochae CXXIX.
M. Lepido, che dall'Africa era passato in Italia come per unirsi a Cesare
nella guerra che doveva combattere contro Ses. Pompeo, quando mosse guerra
anche a Cesare, fu abbandonato dall'esercito e ottenne la vita dopo che
gli fu revocata la carica di triumviro.
Dopo la battaglia navale di Nauloco, Ottaviano si era personalmente recato a Messina, arbitrariamente catturata e saccheggiata da Lepido, e, sebbene ferito dagli uomini di costui, riuscì a trarre dalla sua parte tutte le forze romane d'occupazione. Per effetto della sola vittoria navale di Nauloco ed in seguito al maldestro e velleitario tentativo di Lepido, Ottaviano era divenuto padrone assoluto di tutto l'Occidente e dell'Africa.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 127.
Cesare non inseguì Pompeo, né affidò ad altri di
far ciò ...
Egli raccolse le sue truppe e si trovò ad avere quarantacinque legioni
di fanteria e venticinquemila cavalieri, di truppe leggere la metà
di più dei cavalieri, e seicento navi da guerra; le navi da trasporto,
in numero pressoché incalcolabile, le rinviò ai proprietari.
Concedette alle truppe il donativo ... ; distribuì corone e onori
a tutti ed ai capi pompeiani concedette il perdono.
Caio Svetonio Tranquillo - Vite, Augusto, 25.
A Marco Agrippa, in Sicilia dopo la vittoria navale, donò un
vessillo azzurro ["caeruleo vexillo"].
Il conferimento del vessillo azzurro ad Agrippa, ammiraglio comandante
della Marina e della flotta di Cesare Ottaviano, deve essere considerato
come la più antica ed illustre adozione delle azzurre "insegne
di comando" tutt'oggi utilizzate, nella nostra Marina Militare,
quale distintivo del comandante superiore in mare e, ornate di stelle,
degli ammiragli con alte funzioni di comando.
Ottaviano, a sua volta, ottenne dal Senato degli straordinari onori quale
vincitore della guerra Sicula.
Appiano di Alessandria - Guerre Civili V, 130.
Al suo ritorno il Senato gli decretava ... un'ovazione e che si stabilisse
una cerimonia annuale per i giorni in cui aveva vinto, e che una statua
dorata, con la veste che portava quando era entrato in città, gli
fosse posta nel foro su di una colonna, sulla quale fossero i rostri delle
navi vinte.
E fu posta la statua con l'iscrizione: "Ha restaurato la pace, per
molto tempo turbata dalle discordie, per terra e per mare".
Per quanto noto, questa sarebbe almeno la quarta delle colonne rostrate erette nell'Urbe per celebrare delle vittorie navali; le prime tre di cui si ha qualche notizia risalgono alla prima guerra Punica: due in onore di Caio Duilio (oltre a quella del Foro Romano, ve n'era una seconda "vicino al Circo", secondo quanto riferito da Mauro Servio Onorato) per la vittoria navale di Milazzo (260 a.C.) ed una in onore di Marco Emilio (in Campidoglio) per la vittoria navale di capo Ermeo (255 a.C.).
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 81, 3.
Per il suo straordinario valore Agrippa si meritò in questa guerra
l'insegna della corona navale.
Lucio Anneo Seneca - I Benefici III, 32.
Marco Agrippa [venne] reso famoso per aver conseguito la corona
navale, la più alta tra le onorificenze militari.
La "corona navale", d'oro ed ornata con riproduzioni di rostri
di navi da guerra, venne conferita, nel periodo della Repubblica, solo
in rarissime occasioni; per quanto noto, non più di tre volte: prima
di Agrippa, infatti, ne venne insignito (come abbiamo visto nel capitolo
XII) Marco Terenzio Varrone, ammiraglio di Pompeo Magno durante la guerra
piratica (67 a.C.); in precedenza, essa sarebbe stata conferita (secondo
quanto desumibile da un breve frammento del Bellum Poenicum di Gneo
Nevio) solo al console Caio Attilio Regolo - il primo degli insigniti -
per la vittoria navale di Tindari (257 a.C.) durante la prima guerra Punica.
Essa venne pertanto considerata un riconoscimento ambitissimo, nonché
il simbolo delle più elevate capacità di condotta delle operazioni
marittime.
In considerazione del significato di quel prestigioso emblema, la Marina
Militare italiana - che "riallaccia la sua tradizione a quelle
incomparabili di vigore e di ardimento delle marinerie italiche, eredi
dirette e legittime della Marina di Roma" - si fregia di uno Stemma
in cui la corona navale romana sovrasta lo scudo delle quattro Repubbliche
marinare, per "simboleggiare l'origine comune dalla marineria di
Roma", che fu la maggiore potenza navale del mondo antico, dal
III secolo a.C. al V secolo d.C. (le citazioni sono tratte dalla prima
proposta ufficiale dello Stato Maggiore della Marina per l'adozione dello
Stemma araldico con la corona rostrata).
Dopo aver estirpato la grave piaga della pirateria che, operando dai porti siculi, aveva infestava i mari d'Italia, e dopo aver messo fuori gioco l'ex triumviro Lepido, Cesare Ottaviano aveva acquisito il pieno controllo di tutto il Mediterraneo centro-occidentale e delle relative sponde. In tale situazione, per poter ripristinare la piena autorità di Roma sulla rimanente parte dell'impero, occorreva necessariamente pervenire ad una normalizzazione dei rapporti fra Roma stessa ed i magistrati romani distaccati nell'area orientale (corrispondente alle nazioni ellenistiche). Secondo il mandato conferito ai triumviri, quell'area era assegnata alla responsabilità di Marco Antonio, che, tuttavia, iniziava a manifestare sintomi di progressivo distacco dalla Madrepatria, avendo eletto a propria normale residenza l'Egitto (regno indipendente, non soggetto all'autorità di Roma), alla cui regina egli si stava sempre più sottomettendo. Infatti Antonio, che aveva già trascorso con Cleopatra l'inverno 41-40 a.C., si era definitivamente unito alla regina a partire dall'autunno del 37.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 21, 11, 1-3.
Il furore di Antonio, visto che non poteva scomparire per l'ambizione,
fu spento dal lusso e dalla libidine. ... preso dall'amore di Cleopatra,
si ristorava negli amplessi della regina, come se avesse ottenuto dei successi.
Da quel momento la donna egiziana chiese all'ebbro generale, come ricompensa
dei suoi favori, l'impero romano; e Antonio lo promise. ... dimentico della
patria, del nome, della toga, dei fasci, tutto si era abbandonato a quel
mostro, non solo con il sentimento, ma anche con il modo di vivere e la
foggia del vestire.
Il secondo mandato quinquennale conferito ai triumviri, scaduto nel 33 a.C., non venne più rinnovato.
Tito Livio - Periochae CXXXII.
M. Antonio per l'amore di Cleopatra, da cui aveva due figli, Filadelfo
e Alessandro, non voleva far ritorno nella città né, spirato
il termine del triumvirato, deporre il comando, e si preparava a muovere
guerra contro la città e l'Italia, dopo aver raccolto a questo fine
ingenti forze sia di terra che di mare.
Antonio chiamava Cleopatra "Regina e padrona", ponendosi nella posizione di un principe consorte. L'avvenuta "orientalizzazione" di Antonio traspare anche dai nomi dei figli: Alessandro Elio (il primogenito), Tolomeo Filadelfo e Cleopatra Selene (sorella gemella del secondogenito).
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 56.
Antonio ... prese con sé Cleopatra e si recò ad Efeso,
ove si stava radunando da ogni parte la sua flotta, forte di ottocento
navi, compresi i mercantili. Cleopatra ne forniva altre duecento ...
Antonio ... ordinò a Cleopatra di far vela per l'Egitto e di attendere
colà l'esito della guerra. Ma Cleopatra ... persuase quindi Canidio
... a parlare di lei ad Antonio e a mostrargli come non fosse ... conveniente
demoralizzare gli Egizi, che erano il nerbo delle sue forze navali.
Publio Canidio Crasso era il braccio destro di Antonio. E' sintomatico che gli Egizi avessero un ruolo preminente negli equipaggi della flotta di Antonio, anche se quest'ultimo fece anche un largo uso di marinai e rematori prelevati dalle città elleniche.
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 60.
Dopo che Cesare si sentì sufficientemente pronto a combattere
fece votare la dichiarazione di guerra contro Cleopatra e il ritiro del
comando ad Antonio, che lo aveva ceduto a una donna.
La dichiarazione di guerra venne votata alla fine del 32 a.C..
Caio Plinio Secondo (il Vecchio) - Storia Naturale, XIX,
22.
Con una vela purpurea Cleopatra giunse ad Azio con Antonio: era, questa,
l'insegna della nave ammiraglia.
Lucio Anneo Seneca - Epigrammi, 69.
Era venuto Antonio ... e da Canopo era venuta Cleopatra, chiedendo in
dote Roma. Da una parte i suoi sistri minacciavano Giove Capitolino, dall'altra
confidava nel divo Cesare l'invitta Roma ... Si lasciò la terra,
il mare fu coperto di navi.
Publio Virgilio Marone - Eneide VIII, 698-700.
E gli dei d'ogni gente mostruosi ed il latrante Anubi stanno contro
a Nettuno a Venere a Minerva.
I sistri, di cui parla Seneca, erano una specie di scettro sonoro rituale
nel culto di Iside, mentre Anubi, citato da Virgilio, era la nota divinità
egizia (dio dei Morti) a forma di sciacallo. E' comprensibile che, per
i Romani, l'ostilità di Cleopatra e dell'ormai orientalizzato Antonio
avesse il sapore di una minaccia portata da un mondo alieno contro la sacralità
dei valori tradizionali (simboleggiati dalle divinità patrie) della
loro civiltà. I Romani vedevano, in particolare, che vi era ancora,
nel Mediterraneo, una ultima potenza navale in grado di pregiudicare non
solo l'affermazione della civiltà di Roma nell'intero bacino, ma
perfino la sopravvivenza della Patria, così com'essi la intendevano.
Pertanto, nella primavera del 31 a.C., Cesare Ottaviano si predispose a
contrastare le forze provenienti dall'Egitto.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 21, 11, 4.
Cesare aveva traghettato a Brindisi per affrontare la guerra che avanzava,
e posti gli accampamenti in Epiro, aveva circondato con la flotta, in formazione
d'attacco, tutto il lido di Azio, l'isola di Leucade [odierna S. Maura]
... e le due estremità del golfo d'Ambracia.
Azio era sulla punta nord-ovest dell'Acarnania, punta che chiude da
sud il golfo di Ambracia (odierno golfo di Arta).
Le operazioni preliminari condotte da Ottaviano e dal suo ammiraglio Agrippa
conseguirono l'accerchiamento, dal mare e da terra, delle forze nemiche,
recidendone altresì le linee di rifornimento marittimo.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 6-7.
Agrippa ... catturò molte navi onerarie cariche di frumento e
di armi che venivano dall'Egitto, dalla Siria e dall'Asia in soccorso di
Antonio ... Indi prese Corcira; inseguì e sconfisse in un combattimento
navale i fuggiaschi.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 84, 2.
proprio davanti agli occhi della flotta di Antonio, per merito di Marco
Agrippa, fu espugnata Leucade, fu presa Patrasso e occupata Corinto e prima
dello scontro risolutivo la flotta nemica fu sopraffatta due volte.
Le due battaglie navali furono vinte da Agrippa contro due ammiragli
di Antonio: Quinto Nasidio (presso Patra) e Caio Sosio (al largo della
penisola di Nicopoli).
Nel frattempo iniziava a far risentire i suoi effetti il blocco navale
attuato da Agrippa.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 7.
Antonio, allarmato dai vuoti e dalla fame dei suoi soldati, stabilì
di affrettare lo scontro.
Essendo afflitto dalla scarsità di uomini, sacrificò delle navi per ridistribuire gli equipaggi egizi sulle altre unità della sua flotta.
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 64.
Quando ebbe deciso di combattere in mare, bruciò tutte le navi
egizie ad eccezione di sessanta, le migliori e maggiori, quelle da tre
fino a dieci remi per banco.
Completati tutti i preparativi ritenuti necessari, le due flotte contrapposte si predisposero ad affrontarsi il 2 settembre 31 a.C. (battaglia navale di Azio).
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 85, 1-2.
Venne dunque il giorno della prova decisiva, nel quale Cesare ed Antonio,
fatte schierare le flotte, combatterono l'uno per la salvezza, l'altro
per la rovina del mondo.
L'ala destra della flotta di Cesare era stata affidata a Marco Lurio, quella
sinistra ad Arrunzio; ogni decisione per la battaglia navale ad Agrippa;
Cesare, riservandosi di intervenire là dove lo avesse chiamato la
necessità, era presente dapertutto. A Publicola e a Sosio venne
affidato il comando della flotta di Antonio.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 8-9.
Le navi di Cesare erano duecentotrenta rostrate e trenta senza rostro
... La flotta di Antonio era di centosettanta navi ... tanto superiori
di mole (s'innalzavano ben dieci passi sul livello del mare).
Considerando forse anche le onerarie e le navi minori, Floro attribuisce a Cesare più di 400 navi e ad Antonio meno di 200. In entrambi i conteggi, parrebbero non incluse le 60 navi di Cleopatra. Tutti gli storici concordano, comunque sul maggior numero delle navi di Ottaviano, il cui tonnellaggio medio era tuttavia inferiore a quello delle navi nemiche. In effetti, Agrippa aveva ampiamente rinnovato la flotta di Ottaviano, immettendovi triremi e liburne (biremi veloci, simili a quelle che nel passato erano state usate dai pirati illirici), che poi rimarranno le più comuni unità da guerra nel periodo dell'impero. Nelle costruzioni egizie, invece, si era continuato a puntare sulle unità maggiori.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 21, 11, 5-6.
... ma la grandezza compensava il numero. Infatti ciascuna di esse aveva
da quattro a sei ordini di remi, inoltre erano sopraelevate con torri e
ponti a somiglianza di fortezze o città, e si muovevano non senza
gemiti del mare e fatica dei venti; ma proprio la stessa grandezza fu causa
della loro rovina.
Le navi di Cesare contavano da due a tre ordini di remi, non di più;
perciò erano adatte a ogni manovra che la necessità ri-chiedesse,
a fare attacchi, indietreggiare, virare di bordo.
Comunque, nonostante l'adozione delle triremi e delle liburne, si ritiene che permanessero nella flotta di Ottaviano anche delle quinqueremi (probabilmente come unità sede di comando) e delle quadriremi, come parrebbe desumersi dall'iconografia pervenutaci.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana L, 4.
Cesare ..., avendo concepito la speranza di riportare più facilmente
la vittoria perché un forte piovasco con vortici di vento aveva
investito a flotta di Antonio e l'aveva scompigliata, ... fece imbarcare
molti fanti sulle navi e, posti su velocissimi battelli tutti i suoi più
fidati amici incaricati di portarsi sollecitamente tutt'intorno per diramare
alle navi combattenti gli ordini opportuni e per riferirgli l'evolversi
della situazione, egli stesso attese che i nemici uscissero in mare aperto.
Dopo aver condotto fuori le loro navi, non appena se ne diede il segnale,
i nemici le disposero tutte in ordine di battaglia in una posizione poco
al di fuori dell'imboccatura del porto, non facendole ulteriormente avanzare
in alcuna direzione. Cesare ... fece venire avanti all'improvviso le due
ali, piegandole ad arco nell'intento di circondare il nemico o comunque
di scompaginarne il dispositivo.
A quel punto Antonio, nel timore di essere preso in mezzo, fece in modo
da portare i suoi al combattimento, ed anche lui, suo malgrado, si accinse
a fare lo stesso.
Così dunque iniziò la battaglia navale; e sia gli uni che
gli altri incitavano quelli della loro parte a vogare, li esortavano al
coraggio ed udivano le molte grida di incoraggiamento al combattimento
lanciati da quelli che da terra li sostenevano.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana L, 4.
La condotta del combattimento era ben diversa da una parte e dall'altra.
Infatti, gli equipaggi di Cesare, lanciando celermente in avanti le proprie
navi a forza di remi, che erano più piccole e più veloci
di quelle di Antonio, assalivano le navi nemiche fornendosi copertura in
tutte le direzioni al fine di proteggersi dai colpi. Essi, dunque, o mandavano
a fondo qualche nave nemica, oppure, prima di rimaner coinvolti nella mischia,
si ritiravano; e, in questo caso, o tornavano un'altra volta ad assalire
la stessa nave, oppure, tralasciando quest'ultima, si dirigevano contro
un'altra; e così, dopo aver condotto contro questi nuovi avversari
una sommaria scaramuccia, limitatamente a quanto fattibile in breve tempo,
si portavano contro altri ed altri, in modo da ingaggiare ciascuna unità
quando meno se l'aspettava. In effetti, poiché essi temevano di
essere sottoposti, da lontano, al dardeggiare dei nemici e, da vicino,
al confronto diretto, non sprecavano tempo nel serrare le distanze, né
si impegnavano in combattimenti definitivi; invece, portandosi repentinamente
a distanza ravvicinata in modo da prevenire le saette dei nemici, essi,
dopo aver danneggiato una delle navi avversarie, o avendole perlomeno arrecato
qualche inconveniente, ritornavano subito indietro al di fuori della portata
dei dardi in modo da non essere intrappolati dal nemico.
Dall'altra parte, gli equipaggi che combattevano con Antonio impegnavano
con molti sassi e dardi i loro avversari e lanciavano, sulle navi che più
si avvicinavano, le "mani di ferro"; e se con queste riuscivano
ad afferrare la nave nemica, essi ne rimanevano vincitori; se, invece,
fallivano il colpo, essi o venivano affondati in seguito allo sfondamento
della fiancata della nave, oppure rimanevano più facilmente esposti
ai successivi attacchi degli avversari poiché dovevano perdere tempo
a riparare i danni subiti. Accadeva spesso, infatti, che due o tre navi
di Cesare attaccassero contemporaneamente una stessa nave nemica, arrecandole
quanti più danni potessero, pur subendone in parte anch'esse.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 10.
Dall'ora quinta all'ora settima si combatté con accanimento ...
restando incerta la speranza di vittoria, la parte rimanente del giorno
e la notte successiva volsero a favore di Cesare.
Lucio Anneo Floro - Epitome II, 21, 11, 8.
La prima a dare il segnale di fuga fu la regina, che si volse verso
l'alto mare con la poppa dorata e la vela purpurea. Subito la seguì
Antonio...
Cleopatra fuggì con la sua flotta di 60 navi al completo; Antonio con una quinquereme.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 85, 4-6.
Anche senza il loro comandante, quei soldati ebbero il coraggio di combattere
per lungo tempo con grande valore ...
Non c'è dubbio che i soldati si comportarono come il migliore dei
comandanti e il comandante come il più vile dei soldati, tanto da
poter giustamente dubitare se quest'uomo, che si dette alla fuga secondo
il volere di Cleopatra, avrebbe poi fatto uso della sua vittoria a sua
discrezione, oppure seguendo i capricci di lei.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana L, 4.
Le navi di Cesare ... non diedero la caccia a quelle che già
si erano date alla fuga, ma attaccarono le altre, che vi si accingevano.
... Questo stesso combattimento veniva condotto dalle due parti in modo
diverso e fierissimo: gli equipaggi di Cesare danneggiavano tutt'intorno
le fiancate delle navi nemiche, ne spezzavano i remi, ne danneggiavano
i timoni e, saltando sulle corsie, lottavano contro i difensori, gettandone
qualcuno in basso, altri rimuovendoli dal loro posto; quelli che avevano
combattuto dalla parte di Antonio respingevano gli avversari con lunghe
aste, li ferivano con i dardi, scagliavano contro di essi dei sassi ed
altri materiali, li rigettavano in basso mentre salivano ed ostinatamente
combattevano contro qualsiasi assalitore.
Dione Cassio Cocceiano - Storia Romana L, 4.
Dopo che si fu combattuto per un bel pezzo con dubbio successo, Cesare
... infine ordinò che si ricorresse al fuoco. ...
Pertanto, con l'uso del fuoco, si vide subito un altro tipo diverso di
combattimento. I militi di Cesare si avvicinavano da tutte le direzioni
ad una nave nemica, scagliavano contro di essa dei dardi infuocati e vi
accostavano anche delle fiaccole con le proprie mani, mentre altri lanciavano
da lontano su di essa, a mezzo di certe macchine, dei piccoli vasi ripieni
di carboni accesi con della pece. Dall'altra parte, i seguaci di Antonio
cercavano di respingere tutte queste cose; e, laddove il fuoco ch'era stato
lanciato veniva a cadere sulle navi, poiché appiccandosi sul legno
suscitava in breve tempo un esteso incendio, tentavano inizialmente di
estinguerlo con l'acqua che avevano portato a bordo per bere e, all'esaurimento
di questa, ne attingevano dal mare ... Ma siccome non potevano far ciò
dapertutto, ... non solo non ne traevano alcun profitto, ma si accresceva
l'esca all'incendio ... soprattutto perché si alzò un vento
teso ...
In una così grave sciagura, incontrarono un miglior genere di morte
solo quelli che, per non rimanere esposti a quei tanti mali, si uccisero
fra di loro vicendevolmente o si diedero da soli la morte e, senza attendere
ogni sorta di tormento, rimasero bruciati con le loro navi, che provvidero
così al loro rogo funebre.
Il vento da ponente si era alzato fin dalla mattina, ed in mare era andato progressivamente peggiorando.
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 68.
la ... flotta, dopo aver resistito per molto tempo a Cesare, gravemente
danneggiata dal mare grosso, che la urtava da prua, malgrado ogni sforzo
che fece per resistere, ... cedette.
I combattimenti cessarono la sera, anche se le operazioni in mare si protrassero, secondo alcuni storici, per tutta la notte.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 11-12.
Cesare riportò piena vittoria quando albeggiava. E' tradizione
che dodicimila fossero i vinti caduti; seimila furono i feriti, dei quali
mille non sopravvissero alle cure.
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 68.
vennero catturate trecento navi, a quanto scrive lo stesso Cesare.
Cesare Ottaviano fu uno scrittore elegante e raffinato, autore di diverse opere, fra cui i "Commentarii de vita sua" (in 13 libri) in cui questi grandi eventi avranno certamente avuto una particolareggiata trattazione. Poiché, purtroppo, quelle opere sono andate tutte perdute ad eccezione del sinteticissimo "Res Gestae Divi Augusti" (che non aveva certamente finalità storiche né tantomeno letterarie), ci si limita ad una breve citazione di quest'ultima opera, che riporta comunque qualche elemento d'interesse.
Cesare Ottaviano Augusto - Res Gestae, 3 e 25.
Combattei spesso in terra e in mare guerre civili ed esterne in tutto
il mondo. ...
Pacificai il mare liberandolo dai pirati ... L'Italia intera di suo proprio
volere mi giurò fedeltà e volle me come capo nella guerra
che vinsi ad Azio.
Catturai seicento navi, senza contare quelle minori delle triremi.
Il bilancio delle navi catturate include le oltre 300 della guerra Sicula e le 300 di Azio.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 86.
Chi oserebbe esprimere, data la rapidità di un'opera succinta
come questa, quali vantaggi recò al mondo intero quel giorno e come
da allora sono mutate le sorti della patria?
La perentoria affermazione della flotta di Ottaviano conferiva a Roma
l'assoluto dominio del mare, premessa necessaria alla "pax romana".
La vittoria navale di Azio venne celebrata e ricordata dai Romani più
di qualsiasi altro grande evento mai occorso nell'intera loro storia. Nell'Urbe,
vennero erette quattro colonne rostrate di bronzo, ricordate da Virgilio
e da Servio, e che erano ancora sul Campidoglio agli inizi del V secolo
d.C..
Publio Virgilio Marone - Georgiche III, 29.
... e le colonne di navale bronzo sorgenti.
Mauro Servio Onorato - Commentarii, Georgiche III, 29.
Si riferisce alle colonne rostrate che furono erette in onore di Ottaviano
e di Agrippa. Ottaviano ... riportò dalla battaglia navale un gran
numero di rostri, con cui realizzò quattro colonne di bronzo fuso;
queste vennero successivamente sistemate da Domiziano sul Campidoglio,
laddove le possiamo ancora rimirare oggigiorno.
Tito Livio - Periochae CXXXIII.
M. Antonio, vinto ad Azio per mare, si rifugiò ad Alessandria.
Egli raggiunse Cleopatra dopo una sosta in Libia.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 13-14.
Antonio e Cleopatra ... prepararono la flotta e l'esercito per riprendere
la guerra.
Era una scelta obbligata, visto che il tentativo di trasportare le navi nel mar Rosso, per fuggire, non era riuscito.
Caio Velleio Patercolo - Storia di Roma II, 87.
L'anno dopo, Cesare inseguì la regina ed Antonio fino ad Alessandria.
L'operazione venne avviata nella primavera-estate 30 a.C..
Il mattino del 1° agosto 30 a.C., Antonio fece uscire la propria flotta da Alessandria per intercettare quella di Cesare Ottaviano che dirigeva verso quelle acque.
Plutarco - Vite Parallele, Antonio, 76.
Sul far del giorno Antonio attestò la fanteria sui colli dirimpetto
alla città, e osservò le navi salpare e attaccare quelle
nemiche. Poiché si aspettava di vederle compiere qualche azione,
rimase fermo ed attento. Ma i marinai, come si furono avvicinati, salutarono
coi remi gli equipaggi di Cesare. Questi risposero al saluto, e i soldati
di Antonio cambiarono fronte. La flotta, diventata ormai una sola, veleggiò
con tutte le navi insieme alla volta della città, prore in avanti.
In quello stesso giorno (1° agosto), dopo la defezione della flotta, Antonio perse ogni residua speranza di salvezza.
Paolo Orosio - Storie VI, 19, 16.
Antonio ..., essendo stato privato della sua unica difesa, riparò
con pochi dei suoi trepidante nella reggia. Poi, mentre Cesare era ormai
alle porte ..., Antonio si trafisse con la spada e fu portato morente a
Cleopatra nel sepolcro in cui s'era nascosta, decisa a morire.
Pochi giorni dopo, il 12 agosto, immaginando che Ottaviano volesse esibire nel suo trionfo la regina vinta, Cleopatra si fece mordere dal noto aspide.
Orazio Flacco - Odi I, 37.
una frenetica regina apprestava ruine al Campidoglio e morte al nostro
Impero. ... Ma spense i suoi furori ... Cesare, che incalzò la fuggitiva
con le sue navi ... a incatenare il fatal mostro. Pur di morte eroica volle
morire ... e sdegnò che liburne inesorabili traessero come privata
lei, donna regia, in pompa trionfale.
Tito Livio - Periochae CXXXIII.
Cesare, ridotta in suo potere Alessandria ..., ritornò a Roma.
Con la presa dell'Egitto, Roma rese il Mediterraneo un mare interno.
Paolo Orosio - Storie VI, 20, 1 e 8.
Nell'anno 725 dalla fondazione di Roma, ... Cesare, ritornando vittorioso
dall'Oriente, il sei gennaio entrò a Roma ... e poté allora,
... concluse tutte le Guerre Civili chiudere egli stesso le porte di Giano
... per la prima volta dopo duecento anni.
Le porte del tempio di Giano, aperte solo in tempo di guerra, vennero chiuse l'11 gennaio 29 a.C..
Tito Livio - Periochae CXXXIII.
Cesare ... celebrò tre trionfi, uno sull'Illirico, un altro per
la vittoria di Azio e il terzo su Cleopatra, ponendo fine alle guerre civili
dopo ventidue anni.
I trionfi vennero celebrati dal 13 al 15 agosto 29 a.C..
Censorino - Giorno natalizio XXI, 7.
dal 17 gennaio, su proposta di L. Munazio Planco, l'imperatore Cesare,
figlio del divino Cesare, ricevette il titolo di Augusto dal Senato e da
tutti gli altri cittadini; era il suo settimo consolato ed il terzo di
M. Vipsanio Agrippa.
Il Senato di Roma aveva approvato il provvedimento il giorno precedente,
16 gennaio 27 a.C., istituendo quel titolo di Augusto che fu poi mantenuto
da tutti gli imperatori di Roma. In quello stesso anno, Marco Agrippa -
investito della massima magistratura dello Stato - edificò il Pantheon
nel Campo Marzio; sul tempio, successivamente ricostruito dall'imperatore
Adriano, venne ritrascritta l'originale iscrizione dedicatoria con quel
prestigioso nome, che ancor oggi campeggia sul maestoso frontone.
Le citazioni degli autori antichi sono tratte dai testi indicati nella Bibliografia sotto le seguenti sigle:
App.4 (solo per IV 36), App.7, App.8, App.9, Aug.1,
Cen., Ces., Cic.24, Cic.26,
D.Cas.1,
Flo.1,
Liv.16, Lucan.1,
Oraz., Oros.,
Plin.3, Plin.3, Plut.,
Sen.2-3, Serv.2, Stra.1, Svet.1,
V.Mas.1, V.Pat., Virg.1-3.