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Yann Le Bohec La première marine de guerre romaine
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Definito dallo stesso Autore in termini minimalisti – «ce petit ouvrage sans prétentions» (p. 61) – il libro illustra gli aspetti salienti della storia navale romana dalle primissime origini sino al termine della prima guerra Punica, seguendo uno schema perfettamente razionale: l’introduzione precede un preludio sulle origini di Roma; seguono sei capitoli, i cui primi due sono rispettivamente dedicati ad una panoramica sulla storiografia di quel periodo e sul contesto geopolitico, mentre i rimanenti parlano specificamente della marina militare romana, prima dell’inizio della guerra contro i Cartaginesi (capitoli da III a V) e durante tale conflitto (cap. VI); chiudono il libro le conclusioni, un’appendice con i testi di Polibio relativi alle maggiori battaglie navali di quello stesso conflitto, ed infine la bibliografia.
Nell’Introduzione viene innanzi tutto osservato che le origini della marina romana non hanno mai molto interessato gli storici. Se ben pochi studiosi hanno evidenziato tale interesse (solo qualche raro esperto di questioni navali [1]), un vigoroso contribuito a tale carenza è stato fornito dalla perentoria affermazione di Polibio, secondo il quale nel periodo antecedente la prima guerra Punica i Romani non avevano navi da guerra e non sapevano nemmeno navigare. Data l’eleganza della sua prosa – perlomeno per l’epoca ellenistica –, allo storico greco è stata attribuita un’autorevolezza tale da dissuadere i più dall’indagare sulla marina da guerra romana anteriore al Bellum Poenicum. Tuttavia, poiché proprio questo è l’argomento nodale sul quale è stato focalizzato il libro, l’Autore mette subito le carte in tavola presentando il suo punto di vista originale su quella marina: «elle existait avant la première guerre punique (264-241), et elle était très performante». Un inizio talmente esplicito avrebbe catturato l’attenzione del compianto ammiraglio Flamigni che, nel promettente inizio della sua ricerca sul potere marittimo di Roma (dato alle stampe in extremis), aveva rigettato la predetta tesi polibiana [2] e, nel trattare il periodo precedente la prima guerra Punica, aveva inteso dimostrare che Roma aveva già un'attività marittima – militare e mercantile – «che le fonti disponibili non ci consentono di quantificare, ma che certamente non era trascurabile.» [3]
Il Preludio fornisce un cenno alle origini della Città eterna nel VIII sec. a.C., con una sostanziale coincidenza fra la tradizione (fondazione e epoca regia) e le evidenze archeologiche sulla riva sinistra del fiume: l’area del Foro bonificata dalla palude, la Cloaca Massima ed i primi templi. Viene quindi sottolineata l’importanza del ponte Sublicio, che collegava le due rive del fiume, e soprattutto quella dello stesso Tevere, che metteva Roma in contatto con il mare.
Polibio torna ad essere chiamato in causa nel Capitolo I («La marine de guerre romaine, Polybe et les modernes»), che ha lo scopo di mettere in luce le distorsioni della realtà storica circa la presunta nascita della marina da guerra romana all’inizio della prima guerra Punica. Com’era stato anticipato nell’introduzione, il primo responsabile di tali alterazioni fu proprio lo storico di Megalopoli, indotto a magnificare le straordinarie doti di intraprendenza, di adattamento e di ferrea determinazione dei Romani – capaci di divenire in poco tempo invincibili anche sul mare come lo erano su terra – di modo che non potesse più essere avvertita come umiliante e disonorevole la sconfitta e l’asservimento dei Greci, nonostante la loro superiore cultura. Nella storiografia antica, tuttavia, alle inesattezze e contraddizioni di Polibio si sono sommate anche quelle di altri due greci: Diodoro Siculo e Cassio Dione. Passando alla storiografia moderna, l’Autore raggruppa in tre categorie gli storici da lui conosciuti: un primo folto gruppo ha ripreso in modo acritico e con meravigliata ammirazione tutte le invenzioni favolose riferite dai predetti autori greci; un secondo gruppo, pur attribuendo ai Romani una piccola marina da guerra anteriore al conflitto contro i Cartaginesi, l’ha comunque dipinta come estremamente debole ed inetta, in modo da giustificare sostanzialmente la tesi polibiana; un terzo gruppo costituito da un solo autore, l’archeologo Gilbert Charles-Picard: questi scrisse in un’opera divulgativa che la marina romana esisteva molto prima del 264 ed aveva già raggiunto un livello di eccellenza, senza specificare, purtroppo, le proprie argomentazioni, che sarebbero risultate essenziali proprio su quest’ultimo punto. L’Autore, nel dichiarare il proprio parere interamente concorde, prosegue accennando ad alcune possibili motivazioni a sostegno di questa tesi: la sicura esistenza di una marina mercantile romana molto antica, comprovata dai trattati con Cartagine; la conseguente indispensabilità di navi da guerra; le implicazioni della cacciata dei re sulle relazioni economiche dei Romani, che dal precedente legame con gli Etruschi si orientarono maggiormente verso i Greci, ad iniziare da quelli di Cuma. In tal modo essi ebbero l’occasione di trarre ispirazione anche da una terza potenza navale, oltre a quelle dei Cartaginesi e degli Etruschi.
È proprio questo lo scenario geopolitico analizzato nel Capitolo II («Les riverains de la Méditerranée Occidentale: Géopolitique») che, nell’illustrare le specificità dei tre predetti popoli presenti con le proprie navi nel Mediterraneo occidentale, conclude che tutti e tre possedevano delle marine efficienti: i Romani non avrebbe potuto fare eccezione, com’è dimostrato dalla loro storia, conosciuta soprattutto a partire dall’inizio del IV secolo a.C. Il quarto secolo e le prime decadi del terzo sono quindi il periodo esaminato nel Capitolo III («La marine militaire de Rome au IVe siècle») per individuare le varie occasioni in cui si è manifestata la presenza della marina militare romana. Il primo evento ricordato è del 394 a.C.: l’invio a Delfi di una nave da guerra, che fu catturata (ma prontamente rilasciata con tutti gli onori) dai pirati greci delle Lipari: evento giudicato come sintomo di debolezza della marina romana, che non protesse sufficientemente quella nave. Vengono citate anche l'antica esistenza dei Navalia a Roma e la creazione delle colonie marittime, a partire da quella di Ostia, poi la cattura delle navi di Anzio (338 a.C., dopo una presunta battaglia navale), ove fu fondata una seconda colonia marittima, seguita da quella di Terracina. Vi fu quindi la nomina dei primi ammiragli, con l'istituzione dei duumviri navali (312 a.C.), per completare e organizzare la marina, ed infine l'incidente occorso alla squadriglia navale romana attaccata di sorpresa e sconfitta dalla flotta di Taranto nell'omonimo golfo (282 a.C.). Nello stesso capitolo sono poi ricordati due eventi molto posteriori, entrambi del II secolo a.C., probabilmente allo scopo di fornire due esempi di impiego di squadriglie navali da parte di entrambi i duumviri navales: operazioni condotte con forze separate contro i pirati liguri (181 a.C.) e con forze congiunte davanti alle coste liguri (176 a.C.) per seminarvi il terrore in concomitanza con l'attacco delle legioni. Infine, il capitolo ricorda il contributo dei socii navales, citando in particolare il loro non felicissimo sbarco a terra nell’ambito di un’incursione navale romana effettuata nel golfo di Napoli (310 a.C.), e si conclude con l’istituzione della nuova magistratura dei quaestores classici, in ausilio ai duumviri navali.
Una panoramica delle varie funzioni, compiti e missioni assolvibili dalla marina romana è contenuta nel Capitolo IV («Les missions de la marine de guerre») che elenca, con sintetiche descrizioni, le principali tipologie di impiego delle navi da guerra romane fra il IV secolo a.C. e la seconda guerra Punica: dalle dimostrazioni navali alle missioni difensive, alle incursioni sulle coste nemiche (definite guerriglia dal mare), al blocco navale o al concorso all’assedio di un porto, alla sorveglianza marittima che consentì di intercettare il trattato fra Annibale e Filippo di Macedonia, alle proiezioni di forza e sbarchi anfibi, e così via. Vi è inoltre una descrizione delle battaglie in mare, con le formazioni navali e le tattiche di avvicinamento secondo la tradizione greca, oltre ai metodi di attacco con lo speronamento o con l'arrembaggio; a tal proposito viene efficacemente confutata la presunta equivalenza fra il combattimento su di una nave arrembata (in battaglia navale) ed una battaglia terrestre: un’ulteriore «absurdité, héritée de Polybe». La conclusione del capitolo è che i Romani hanno avuto gran bisogno di una marina, che doveva assolvere una pluralità di missioni. Per essi la marina non era solo utile, ma indispensabile.
Nel Capitolo V («Les navires de guerre») sono descritte le due grandi categorie di navi antiche – quelle combattenti (naves longae) e quelle da trasporto (onerariae, “tonde”) –, i metodi di costruzione, le poliremi ed il relativo remeggio, le armi di bordo, il personale. Per gli equipaggi viene fatta la distinzione fra il personale di bordo (nocchieri e rematori) e i combattenti imbarcati, ovvero la fanteria di marina. Secondo l'Autore, a bordo delle navi da guerra armate da Roma, questi ultimi dovevano necessariamente essere cittadini romani nati liberi (gli ingenui), così come il comandante, mentre il resto dell'equipaggio poteva anche includere dei liberti, che erano pur sempre dei liberi cittadini romani, ma considerati ancora contaminati dal loro trascorso servile. In una brevissima digressione sul periodo altoimperiale, viene riferito che i combattenti imbarcati (i classiari) erano considerati inferiori agli altri soldati – e pertanto disprezzati – così come risulta in effetti dall’odierna vulgata storiografica [4].
Per finire, il Capitolo VI («La marine romaine dans la première guerre punique») sottolinea fin dall’inizio la peculiarità della prima guerra Punica, poiché nessun conflitto dell’antichità ha visto la marina sostenere un ruolo altrettanto importante (salvo forse la seconda guerra persiana vinta dagli Ateniesi nelle acque di Salamina). Secondo l’Autore, inoltre, il bilancio di questo stesso conflitto dimostra non solo che Roma aveva già avuto una marina (anche in precedenza), ma che tale marina era eccellente. Il capitolo fornisce poi una sintetica descrizione del casus belli e dei principali ingaggi per mare avvenuti nelle acque di Milazzo, Ecnomo, capo Ermeo e Trapani, oltre a quello delle Egadi, che l'Autore non ama catalogare fra le battaglie navali, preferendo il termine “imboscata”, anche se un confronto in mare vinto grazie al fattore sorpresa non perde certamente la dignità di battaglia navale. L’insegnamento principale del conflitto è espresso in termini inequivocabili: «la première guerre punique prouva que la marine romaine était plus efficace que la marine carthaginoise».
Oltre al capitolo Conclusioni – con una breve sintesi degli aspetti salienti evidenziati nei sei capitoli precedenti – , all'Appendice («Textes de Polybe sur les grandes batailles navales»: Milazzo, Ecnomo, Lilibeo e Trapani, Egadi) ed alla Bibliografia, va citata la presenza, a centro libro, di un «Cahier illustré» costituito da sette tavole a colori con tre carte geografiche (Italia antica, Magna Grecia e Mediterraneo), disegni di rostri, triremi e poliremi, illustrazioni delle formazioni navali classiche e delle tattiche di attacco.
Uno dei problemi maggiori che affliggono la corretta ricostruzione della storia della marina di Roma, prescindendo dalla difficoltà di trovare dati sufficienti nelle fonti antiche disponibili (soprattutto per il periodo arcaico, ma non solo), consiste nel diffuso preconcetto sulla incompatibilità fra i Romani ed il mare, lasciando quindi sospettare che qualsiasi iniziativa navale romana debba in qualche modo risentire della congeniale incapacità dei principianti [5]. Il professor Le Bohec, al contrario, ha illustrato il proprio convincimento che all’inizio della prima guerra Punica i Romani non fossero affatto dei principianti del mare, ma che avessero in precedenza posseduto una marina non solo molto più antica, ma anche alquanto performante. Questo libro può pertanto assolvere egregiamente due utili funzioni, collegate alla sua duplice veste. La prima è quella di un testo storico certamente innovativo per il rilievo che viene dato all’efficienza della prima marina da guerra romana, fornendo un autorevole stimolo alla maturazione di un pensiero più completo ed articolato sugli inizi della storia navale di Roma. Nel contempo l’opera può anche essere considerata come un’ottima guida divulgativa accessibile a tutti e che merita di essere letta da parte di chiunque si accinga allo studio della storia della marina di Roma antica.
Recensione pubblicata (con alcune arbitrarie modifiche) sulla rivista Nuova Antologia Militare, Anno II (2021), fasc. 6 "Storia Militare Antica", pp. 345-350.
© 2021 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.
[1] Con tale espressione mi riferisco a storici ed archeologi (subacquei e non) che hanno sviluppato una particolare sensibilità nel campo navale, nonché – più propriamente – ai professionisti degli studi militari marittimi.
[2] «Un popolo di pastori e agricoltori, così ci dicono, decide… di dichiarare guerra al-la maggior potenza navale dell’epoca. Questo popolo di ‘terricoli’ avrebbe copiato una nave cartaginese andata in secca, avrebbe inventato una passerella (Corvo) da aggiungere alle altre attrezzature marinaresche della nave e avrebbe così vinto tre grandi battaglie navali contro la flotta più potente del Mediterraneo, perdendone una soltanto. Questa è un’affermazione che potrà anche convincere gli storici, ma non un marinaio.» (Antonio FLAMIGNI, Il potere marittimo in Roma antica dalle origini alla guerra Siriaca, Rivista Marittima, Roma, 1995, p. 8). Il testo di questo saggio incompiuto è presente anche in rete: http://www.romaeterna.org/altri/flamigni.html
[3] Ibid. pp. 38-39.
[4] Su questo punto, v. l'articolo Classici milites in questo stesso fascicolo.
NDR: in realtà, per motivi di incompatibilità con l'approccio asettico degli storici "accademici", questo articolo non venne pubblicato in quella rivista. Esso è stato arricchito ed espanso quale libro monografico Classiari in corso di pubblicazione.
[5] «The notion that the Romans were novices in maritime warfare has distorted our interpretation of the sources and our understanding of their actions at sea. … Their successes and failures have been evaluated against the false assumption that they were beginners.» (Christa STEINBY, Rome versus Carthage. The war at sea, Pen & Sword Maritime, Barnsley, 2014, cap. 3).