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Ara Pacis e altre opere |
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Mathilde Bertails |
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Mathilda et Estella Augusto suo s.d
Ave.
Dobbiamo fare una ricerca sull’altare Ara Pacis. Abbiamo già
un’ampia documentazione, ma una domanda alla quale non abbiamo saputo
rispondere ci rode: la costruzione dell’Ara Pacis fu un’idea del Senato
o tua?
Gratias.
Vale. |
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Augusto |
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L’Imperatore Cesare Augusto a Mathilda ed Estella, salve.
La decisione venne assunta dal Senato, ma sulla base di un’idea che non
veniva né dai senatori, né da me stesso. Si trattava, infatti, del sentimento
comune di tutti i Romani e degli altri popoli del nostro impero. Te ne
indicherò brevemente i motivi principali.
Dopo la felice conclusione della guerra Aziaca, mediante la quale avevo
posto fine all’ultimo dei tentativi delle grandi monarchie orientali che
sognavano di sottomettere i Romani, l’impero aveva potuto godere di una
situazione di pace e di sicurezza sempre più stabile. In questo territorio così
esteso vi era ancora, beninteso, qualche focolaio di disordini qua e là, ma
tali eccezioni potevano essere neutralizzate a livello locale, senza
comportare alcun inconveniente alla tranquillità ed al benessere della totalità
delle altre popolazioni.
Questa situazione ideale, che il mondo non aveva mai conosciuto in
precedenza, poteva essere sfruttata per migliorare le condizioni di vita in
tutte le province. Fu in tale spirito che intrapresi una serie di viaggi per
verificare sul posto le esigenze delle varie popolazioni e per assumere i
provvedimenti che si rendevano necessari. Condivisi questo compito con il
mio collega ed amico Marco Agrippa, che inviai inizialmente nelle province
occidentali, mentre mi recavo io stesso in quelle d’Oriente. Laggiù, dopo
aver accuratamente sistemato i problemi di quelle popolazioni, ricevetti la
sottomissione spontanea del re dei Parti, che era stato un nemico
implacabile dei Romani, e venni omaggiato anche da ambascerie molto
amichevoli di un gran numero di popoli ancor più remoti, come gli Indiani ed i
Seri. Al mio rientro a Roma, il Senato decise di consacrare un altare alla
Fortuna Redux, in segno di ringraziamento alla dea Fortuna che
aveva favorito e protetto le mie azioni.
In seguito, poco dopo la celebrazione a Roma dei Giochi Secolari, feci il
secondo viaggio nelle province, recandomi questa volta nella parte
occidentale dell’impero (le Gallie e le Spagne) mentre Marco Agrippa si
portava in Oriente. In questo secondo lungo periodo fuori d’Italia, potemmo
verificare i notevoli risultati che erano stati conseguiti un po’ ovunque, ed
apportare ancora numerosi ulteriori miglioramenti.
A quel punto, quello che era assolutamente evidente agli occhi di tutti era
che ci trovavamo a vivere in un periodo eccezionalmente felice, che nessuno
fino allora aveva mai potuto conoscere, e nemmeno immaginare. I benefici
della pace erano talmente tangibili, nella vita quotidiana di tutti gli abitanti del
nostro impero, che era del tutto normale voler rafforzare il culto della Pace.
Era quella che noi chiamavamo «Pax», e che la religione romana ha
sempre venerato fra le dee più importanti, come la Concordia, la Fede, la
Pietà, e così via.
Fu dunque davvero sulla base d’un sentimento universale che, al mio ritorno
a Roma, il Senato decise di erigere un altare a questa ammirevole «Pax»
, che venne chiamata «Augusta» in mio onore.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |
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Pauline Demelle |
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Caro Augusto.
I miei compagni ed io cerchiamo delle informazioni sulla politica di lavori di
abbellimento che hai fatto nella città di Roma durante il tuo impero. Vorremo
avere dei riferimenti o addirittura l’intero argomento.
In attesa di una tua risposta ti inviamo in nostri più sinceri saluti. |
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Augusto |
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L’Imperatore Cesare Augusto a Pauline, salve.
Non potrei risponderti descrivendoti tutti i lavori di abbellimento che sono
stati compiuti a Roma alla mia epoca, poiché non vi fu alcuna parte della
Città che non fu oggetto di tali cure. D’altronde, tu ed i tuoi compagni avrete
certamente letto da qualche parte che avevo trovato una città in mattoni e
che l’ho trasformata in una città in marmo.
Se vuoi avere l’elenco completo delle opere principali che ho realizzato a
Roma, dovresti ricercarlo nella mia autobiografia («De vita sua»),
qualora vi sia pervenuta. Tuttavia, da quanto ho appreso dai prefetti di
Dialogus, temo che non siate ancora riusciti a trovarne una copia.
Potresti allora ricercare qualche dato nel testo di uno dei miei biografi,
oppure nel breve riassunto delle mie opere che ho scritto io stesso
(«Res gestae»). Se trovi quest’ultimo testo, guarda direttamente i
paragrafi XIX, XX e XXI.
Il criterio che ho seguito per questi lavori è stato quello di privilegiare i luoghi
che andavano riservati ai culti religiosi e quelli che occorreva destinare ad un
uso pubblico.
Per i primi, ho agito nel pieno rispetto delle nostre tradizioni, tenendo in
debito conto il carattere sacro del Campidoglio e del Palatino.
Per le esigenze della popolazione, la regione della Città che ha ricevuto il
maggior numero di nuove costruzioni è stato il Campo Marzio, laddove certe
edifici particolarmente importanti sono stati eretti dal mio collega ed amico
Marco Agrippa. Fra gli altri, potrei citarti il Pantheon, la Basilica di
Nettuno e le Terme di Agrippa, che furono le prime terme
pubbliche di Roma.
Delle altre opere più importanti che ho eretto a Roma, conoscerai
probabilmente il Teatro di Marcello ed il «Mausoleo», nel
quale ho avuto il dolore di deporre le ceneri di mio nipote Marcello e dello
stesso Marco Agrippa.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |
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Claire Guirle |
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Ave Augusto!
Siamo due alunni della 3a che cercano di conoscerti! In effetti ci
interessiamo alle tue rappresentazioni sulle monete o nelle statue. Cercavi
forse di somigliare a Cesare? Quelle statue con il tuo ritratto erano sempre
realistiche?
Ti saremmo grati se potessi risponderci rapidamente!
Vale! |
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Augusto |
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L’Imperatore Cesare Augusto a Claire, salve.
Per me come per ogni Romano, tutto il valore d’un ritratto è costituito dalla
sua somiglianza alla persona ch’esso deve rappresentare. Ho peraltro già
illustrato questa caratteristica della mentalità romana nella mia lettera che è
stata pubblicata sotto il titolo «Ritratti» (XIX).
In effetti, fra le mie statue e le mie monete, quelle che conosco hanno tutte
un aspetto molto realistico. Lo stesso può dirsi dei ritratti di Marco Agrippa,
di Mecenate e degli altri grandi personaggi della mia epoca.
Quanto alla mia voglia di somigliare al divo Giulio Cesare, non so da dove ti
viene questa idea. Non avrei potuto somigliargli fisicamente, visto che
eravamo decisamente diversi. Per contro, mi sono certamente ispirato alle
sue idee ed ai suoi progetti, poiché ero ben conscio del loro valore.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |
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Romain Bouges |
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Ave Augusto.
Con i miei compagni stiamo lavorando sugli inizi della Posta pubblica: sei
stato proprio tu a crearla? Potresti darci qualche informazione?
Multas gratias.
Vale |
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Augusto |
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L’Imperatore Cesare Augusto a Romain, salve.
Prima della mia epoca, i Romani potevano certamente inviare le loro lettere
ove volevano, ma non potevano farlo che quando le persone che offrivano
questo servizio (i «tabellarii» ed i «statores») erano disponibili. In caso contrario, si poteva spedire una lettera solo affidandola ad un proprio corriere. È quello che facevano normalmente i governatori romani delle varie province quando dovevano inviare della corrispondenza a Roma. Essi la consegnavano ad uno dei loro soldati o ad un’altra persona di fiducia (un amico, un liberto o uno schiavo personale), che dovevano compiere l’intero percorso fino a destinazione, mettendoci quasi lo stesso tempo che era necessario ad ogni altro viaggiatore su quello stesso percorso.
Quando ho ricevuto il compito di riorganizzare la Repubblica in funzione delle
nuove esigenze dell’impero, ho dovuto assicurare delle comunicazioni
affidabili e quanto più rapide possibile fra Roma ed i responsabili
dell’amministrazione romana in Italia ed in tutte le province. Ho dunque
istituito il servizio postale pubblico («cursus publicus»), posto sotto la responsabilità diretta del prefetto del pretorio.
Si trattava d’un servizio giornaliero, che utilizzava una struttura molto
complessa e ramificata, nella quale il personale che viaggiava con le lettere
(a cavallo, o su dei carri, oppure imbarcato) non compiva che una parte del
percorso, e passava poi la corrispondenza al collega responsabile della
tappa successiva. Ciascuno di questi corrieri trovava lungo il percorso un
gran numero di stazioni di posta («mutationes») ove poteva cambiare
cavallo, mangiare e curarsi se ne aveva bisogno. Vi erano inoltre dei
carpentieri, dei fabbri, dei maniscalchi e dei veterinari, per fronteggiare tutte
le possibili necessità del servizio.
Questo servizio doveva essere utilizzato solo per le esigenze del governo e
dell’amministrazione dell’impero, da parte dei funzionari che vi erano
preposti. L’utilizzo di questo stesso servizio da parte dei privati non poteva
essere autorizzato che a titolo eccezionale, lasciando comunque la più alta
priorità al servizio pubblico. In tutti gli altri casi, i privati dovevano continuare
a servirsi dei «tabellarii», il cui servizio era stato reso più efficiente ed affidabile grazie alla grande sicurezza che avevo assicurato alle strade ed a tutti i mari dell’impero.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |
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Marion Cail |
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Marion Cail Caio Iulio Caesari Augusto SD
Cerco delle informazioni sullo sviluppo della poesia nel tuo secolo. Ho
saputo che il tuo amico Mecenate aveva svolto un certo ruolo nella storia
della poesia, ma niente più …
Potresti ragguagliarmi, per favore??!!
Vale Augusto!! |
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Augusto |
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L’Imperatore Cesare Augusto a Marion, salve.
Potrai trovare la maggior parte delle risposte che cerchi nella mia
precedente lettera che è stata pubblicata sotto il titolo «Politica culturale» (XLII).
Come ho già detto in tale lettera, il mio amico Mecenate ha svolto un ruolo
molto importante, dando agli artisti più dotati la possibilità di dedicarsi in
tutta tranquillità alla loro arte, senza lasciarsi distrarre dalle preoccupazioni
di coloro che debbono innanzi tutto procurarsi il minimo denaro necessario
per sopravvivere. Inoltre, nel solo campo della poesia, ha provato a
stimolare gli altri poeti impegnandosi egli stesso nel componimento di certi
poemi ai quali aveva conferito uno stile nuovo e piuttosto sorprendente. Ma
non credo che ciò abbia potuto influenzare lo stile dei suoi amici poeti,
poiché il talento e la personalità di questi ultimi erano già alquanto robusti.
Peraltro, occorre tener conto del fatto che le arti hanno sempre raggiunto i
migliori risultati sotto i governi che le hanno predilette, com’è accaduto, ad
esempio, ad Atene sotto Pericle ed a Roma all’epoca dello splendore degli
Scipioni. Nel mio caso, al di là del mio atteggiamento estremamente
benevolo nei confronti dell’arte, l’istituzione della pace ed il prestigio di Roma
nel nuovo ordine dell’impero hanno certamente avuto l’effetto di favorire
ancor più il fervore degli artisti.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |