Conferenza tenuta a Napoli nel Teatro Marcadante il 28 Febbraio 1915
per invito della Lega Navale Italiana, Sezione di Napoli
Estratto dalla Rivista " L'Eloquenza ", Fasc. 1-2 - 1915.

Forlì, Ditta L. Bordandini - Arti Grafiche di Forlì, 1915

Roma imperiale sul mare


[estratto]

di Paolo Orano


« ... colei che siede sovra I'acque »
Dante, I, 19, 107

... [1] ... Fenicio fu il Mediterraneo e fu tenuto, anzi che Roma frignasse tra il fango sotto il fico ruminale, in fàscino di ricchezza, in timore di armi. ... Ma Roma ebbe ragione per il suo imperio sul mare di Cartagine; n'ebbe ragione quando la potenza punica era all'apogeo, nella folgorante estate d'una coscienza allenata e tutto arbitrio e il mare le s'era umiliato; n'ebbe ragione a malgrado d'un'inferiorità di fatto in confronto della meravigliosa nemica. Questa aveva tempio d'avorio e d'oro e mantello di porpora e di gemme e saliva gradini di porfido e guardava dal marmoreo molo ove il fragor del traffico spegneva lo strepito dell'onda l'innumere flotta mercante vigilata da prue guerresche, eserciti di remi sempre in acqua, stormi serrati d'ali sempre; aperte ai venti. Quella era nuda in gamba e non si copriva che di ferro e più dell'aguzzo. Cartagine oligarchica poteva d'oro costruire il naviglio; Roma patrizia non l'aveva di trave. Ma il braccio era di quercia e di ferro la fronte e nell'animo sobrio, nell'animo chiaro portava Roma un principio per cui I'uomo è e vince anche se non ha [2].
Roma senza navi prima di Cartagine è già Roma; dopo Cartagine vive non per quello che prende, ma in quello che dà, in sè stessa.

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... Pirro scomparso, conquistata la Sicilia, dopo l'esterminio d'Agrigento, i Romani s'affacciano al mare dove ora dovranno navigare e battersi navigando. La tesi è unica e imprescindibile. Come dunque la legione avanzerà sull'acque, come la ritmica dura tetragona colonna latina manterrà le condizioni del suo equilibrio sul ponte d'una nave, come si creerà l'accordo tra le due tecniche marina e terrestre? Qual fortuna o qual destino, sé non qual genio interiore operò il miracolo?

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È questa una domanda che gli storiografi dell'impero non si sono posti nitida ed esplicita. Eppure Roma non compie il suo tirocinio che acquistando l'esperienza del mare e riducendo a suo lago il Mediterraneo. L'arte del navigare, di condurre legni insieme e di dar battaglia sull'acqua, le prese da Etruschi e da Fenici, guatando forse dalle spiaggie sinistre del Lazio l'onda premuta da braccia di futuri vinti.

... Chi studia le origini di Roma marinala s'avvede che ella non conobbe stupori e contemplazioni. Roma non conosce che quello che fa. La sua scienza è la sua esperienza e cosi Vico è un solenne discepolo che molto comprende, un lontano sintetico discepolo. Arriva tardi alla vita del mare, dopo Cartagine: quale antesignana! Arriva tardi agli eventi, arriva dopo Ninive e Babilonia, dopo l'Egitto e Israele, dopo Ellene. Ma per lei gli eventi si compaginano, prendono forma, s'aureolano d'una immortale significazione. Sono la Storia.

... Narra una leggenda tra il canzonatorio e il probabile che i rudi bifolchi di Roma apprendessero a trattare il remo sedendo su non si sa quale castello di legno piantato sulla sabbia e vogando con tranquilla lena, rematori di terra ferma [3]. Aggiunge sempre tra il serio e il faceto che una quinquereme cartaginese sbattuta dal mare sulla costa bruzia mostrasse per la prima volta - e cioè un paio d'anni innanzi l'eroica fazione vittoriosa del 260 - come precisamente fosse vertebrata e compaginata una nave [4]. Che mai fossero embole e prosbole, che mai i colpi di puriplo e diciplo al comando del cheleusta, quella gente idiota troppo arvalica non sapeva! I Romani vincono a Mile con cento barcaccie [5] e l'improvvisato ammiraglio Console Caio Duilio, le cento trenta navi alte munite condotte dai primi piloti del mondo guidate da secolare somma d'esperienza e di sapienza navale.

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Tre anni dopo Mile, le trecentocinquanta navi cartaginesi che riempivano il Lilibeo sono vinte [6]. ... In una cinquantina di mesi Sicilia, Sardegna, Corsica sono in parte conquistate o almen tocche dalla mano di bronzo e Roma naviga verso l'Africa.
In Africa Roma subisce la tortura da un venturiero greco di basso grado. È Xantippo che vince Regolo, è la flotta romana accorrente in soccorso che una tempesta disperde e abbatte a Camarina, e poi nelle Sirti un'altra s'arena e poi ancora al promontorio Palinuro un'altra si frange contro le scogliere.

... Magnifica guerra, unica, incomparabile guerra la Prima Punica, matrice dalla quale balzerà Annibale e il supremo pericolo di Roma. In questi anni, i cittadini romani soldo a soldo rifaranno una flotta e questa flotta pagata dalle estreme risorse d'una cittadinanza impoverita, vincerà alle isole Egadi e sarà, comunque si giudichi, una vittoria sul più alto genio militare dell'epoca [7].

Dunque l'assedio di Lilibeo e l'immobilizzazione di Amilcare equivalevano all'affermata preponderanza mannaia di Roma. Cartagine muta rotta dopo il 241 e si volge alla tattica di terra. Dove troveremmo noi un esempio altrettanto dimostrativo di quel che Roma potesse concentrando le sue energie? Amilcare Barca trasporta le fortune puniche nella Spagna ed è nella Spagna che si svolge l'impresa di Asdrubale e che l'odio bellissimo di Annibale si materia, si sagoma, si disciplina, s'affina. Perchè il Leone scelse la via di terra poi che, caduta Sagunto, decise la spedizione contro l'Italia l'esterminio di Roma? Perchè s'avventurò quel duce insuperato, quel sublime vendicatore, ai pericoli complicati dei fiumi, delle gole, dei monti, delle imboscate, delle nevi? [8]
... E vince al Ticino, e più vince alla Trebbia, e stravince al Trasimeno, simboliche battaglie fluviali e lacustri, come se l'acqua dovesse per un misterioso destino essere l'elemento presente nel paesaggio guerresco di Roma e di Cartagine.

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A questo momento Annibale è tutta Cartagine. Cartagine è signora, o almeno salva, se egli vince. ... Però Annibale, fortissimo e certo di sé e de' suoi, Numidi o Galli o Ispani che fossero, in una battaglia, mancava della forza e della certezza che sopravvivono ad ogni malo esito. Insomma Annibale aveva bisogno di vincere per essere. Roma no. Faceva grandezza d'ogni sua ferita, ritrovava i fili tronchi della trama, ricominciava sempre, alternando al caso l'opera lenta sobria eguale al gesto repentino misto d'azzardo e di premeditazione. Bisogna studiar le Puniche per comprendere ciò nel suo giusto valore ...

Neppure il più compiuto generale romano prima di Cesare, Publio Cornelio Scipione, basta a far intendere a Cartagine che Roma ha finito per trovare la via della vittoria facendo il giuoco del nemico. Annibale non fu mai vinto in Italia ! è vero. Ma la pazienza romana [9] lo rese un fattore secondario dell'attività cartaginese compagini delle legioni e ad avere i grandi e poi il grandissimo capitano.

... A un certo momento si direbbe, tra Nuova Cartagine e Zama, che la tattica degli Africani sia stata una allucinazione e che, a malgrado d'ogni apparenza, Cartagine abbia fatto il giuoco di Roma, trasformandosi in guerriera terrestre. Allucinazione che trascinò e perdette ogni anima punica.

Non serve dar rilievo agli eventi delle Terze Puniche in cui Cartagine sparve. Roma due secoli avanti Cristo è già l'imperatrice del Mediterraneo. Il contraccolpo delle vittorie sulla potenza marinaia dell'Africa ... le aveva dato l'egemonia sull'Oriente macedone, greco, d'Asia Minore, d'Egitto [10]. Le dette la potenza irresistibile di dettar leggi a Cartagine e di costringere Annibale ad andarsene dalla sua casa, dalla sua città, dai suoi lidi a cercare pallide consolazioni senili molto lontano [11], la fece padrona del supremo respiro della gloria punica.

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... La « rivalità » Cartaginese riduce Roma ad una esclusiva forza d'impero e le dà il segreto per esiliare dal mare la forza guerresca punica. Così dal secondo secolo avanti Cristo, durante un periodo di cinquecento anni perchè esso persiste onnipossente universale almeno sino al 330 dopo Cristo, l'anno dell'inaugurazione costantiniana sul Bosforo, Roma impone la sua norma al mondo.
... E il mare trattò non come una fatica, ma la Eterna Insonne fu fresca e giovine come il mare sempre e sul mare e di quella sua tempestosa canzone fece la sua musica, come sul mare aveva gittato le sue grandi vie le più fide e da esso aveva imparato a trarre soddisfazioni, glorie, sanzioni.
L'anima di Duilio e degli Scipioni, l'hanno ribevuta dai loro moli Genova, Venezia, Amalfi.
Roma Imperiale sul mare sigilla l'immortale verità che son malfide le conquiste e inefficaci le vittorie nel solo ambito terrestre [12].

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Note:

[ 1] L'autore del testo di questa conferenza, tenuta nel clima interventista che precedette l'ingresso dell'Italia nella Grande Guerra, sviluppa l'argomento privilegiando le interpretazioni più belliciste ed esaltando soprattutto le azioni delle forze terrestri (nonostante il carattere marittimo del proprio titolo), nell'ambito di una ricostruzione storica piuttosto approssimativa. Essendovi tuttavia diverse considerazioni valide sotto l'ottica navale e marittima, mi è parso utile trascrivere in questa pagina solo tali brani, che costituiscono comunque un insieme interessante ed abbastanza omogeneo pur trattandosi del solo 28% del testo originale.

[ 2] Per evitare possibili perplessità al cospettto di una grafia ormai desueta, in questa pagina ho sostituito "à" con "ha" (due volte) e "ànno" con "hanno" (una volta).

[ 3] Non si tratta né di "leggenda", né di un aneddoto burlesco. La tecnica utilizzata dai Romani, secondo il racconto di Polibio, risulta infatti molto razionale, appropriata ed efficace: «Mentre gli incaricati preposti alla costruzione delle navi curavano l'allestimento delle varie unità, altri, arruolate le ciurme, insegnavano loro sulla terraferma a maneggiare i remi. Essi si servivano di questo metodo: facevano sedere gli uomini su banchi per rematori, disposti sulla terraferma, nello stesso ordine dei banchi della nave, nel mezzo ponevano il capo, li abituavano a gettarsi tutti insieme all'indietro accostando al petto le mani, quindi a chinarsi in avanti spingendole in fuori, e ad iniziare e cessare il movimento agli ordini del comandante» [Pol.1,21].

[ 4] Anche questo episodio ci è stato riferito da Polibio, da cui risulta che la cattura della quinquereme punica sia avvenuta grazie all'abilità delle navi romane. I Romani riuscirono infatti a sottrarsi all'inseguimento dei Cartaginesi portandosi con le loro navi leggere (triremi e pentecontere) in prossimità della costa calabra, laddove i fondali non erano sufficienti per le più pesanti unità nemiche. Una di queste finì pertanto in secca e venne catturata dalle triremi romane. Naturalmente i Romani sapevano già da diversi secoli come fosse "vertebrata e compaginata una nave". Quella cattura servì solo a far loro conoscere la specifica architettura delle quinqueremi utilizzate in quegli anni dai Cartaginesi.

[ 5] Alla battaglia navale di Milazzo i Romani non intervennero, ovviamente, con delle "barcacce", ma con la loro prima grande flotta costituita da quinqueremi.

[ 6] Si tratta della vittoria navale romana di Ecnomo.

[ 7] In mare, la vittoria delle Egadi venne conseguita dalla flotta romana di Caio Lutazio Catulo sulla flotta punica, il cui ammiraglio - pur esperto - non parrebbe definibile come il "più alto genio militare dell'epoca". Di un credito ben maggiore godette invece il comandante in capo delle forze puniche in Sicilia, il celebre Amilcare Barca, elogiato anche dallo storico romano Cornelio Nepote. Ma Amilcare non poté che prendere atto delle conseguenze fatali della vittoria navale romana, che aveva assicurato ai Romani il dominio del mare ed aveva pertanto precluso ai Cartaginesi ogni possibilità di mantenere il proprio esercito in Sicilia.

[ 8] Pur non avendo risposto in modo chiaro e convincente, l'autore ha qui posto la domanda nel modo più corretto e pertinente. Le ragioni dell'anomalo percorso prescelto da Annibale risultano di tutta evidenza a chi esamina la gestione del potere marittimo da parte dei Romani, che avevano conservato il dominio del mare e controllavano accuratamente le acque del canale di Sicilia, rendendo impossibile un trasferimento di forze cartaginesi attraverso quello stretto braccio di mare. Per invadere l'Italia, i Cartaginesi dovettero quindi rassegnarsi ad effettuare il lungo periplo dell'intero Mediterraneo occidentale, varcando i Pirenei e le Alpi a debita distanza dalla costa per eludere il controllo navale romano.

[ 9] Questa "pazienza romana" corrisponde alla linea d'azione adottata dai Romani per impulso di Quinto Fabio Massimo, detto il "Temporeggiatore" (Cunctator). Non si trattò di una semplice tattica "temporeggiatrice" intesa a rinviare il combattimento terrestre per non esporsi ad ulteriori sconfitte, ma di una vera e propria strategia che confidava sugli effetti lenti ma possenti ed inesorabili delle operazioni marittime, che tagliavano tutti i rifornimenti ad Annibale, gli prosciugavano progressivamente anche la sua riserva logistica in Spagna e gli precludevano ogni possibilità di aiuto da parte della Macedonia.

[10] In realtà l'egemonia romana nel Mediterraneo orientale non scaturì direttamente dalle guerre puniche, ma da una ininterrota serie di guerre contro l'espansionismo dei maggiori regni ellenistici (Macedonia, Siria, Ponto ed Egitto), le cui imponenti ed agguerrite forze navali furono tutte sconfitte in mare e ridotte all'impotenza dalle flotte di Roma.

[11] Le ulteriori iniziative di Annibale contro Roma non furono particolarmente "consolatorie" per il vecchio e rancoroso generale cartaginese già sconfitto da Scipione Africano. Egli si mise infatti al servizio del re di Siria, istigandolo ad attaccare i Romani, determinando così anche la rovina di quel florido regno, dopo aver portato al disastro la propria patria.

[12] Anche se l'autore sostiene, in altre parti del suo testo, qualche tesi di segno opposto, questo concetto risulta qui ottimamente formulato e pienamente coerente con gli insegnamenti che si possono trarre dalla storia navale romana.

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