Rivista bimestrale Voce Romana
n° 13 - gennaio-febbraio 2012

Monumenti Navali di Roma (VII)


Il Tempio del Divo Giulio


di DOMENICO CARRO


Dalle acque del mar Mediterraneo era nata la dea Venere e dalle stesse acque erano giunte sulle coste del Lazio le navi di suo figlio Enea. Essendo questi i più lontani antenati cui la stirpe Giulia faceva risalire le sue mitiche origini, il più dotato esponente della casata, Giulio Cesare, fu naturalmente portato ad acquisire fin da giovane una straordinaria familiarità con il mare e con le navi. Non si trattò di un aspetto accessorio e marginale della sua personalità, ma di una qualità che gli consentì di superare felicemente molti pericoli mortali e risultò determinante per il conseguimento dei suoi prodigiosi successi lungo l'intero arco della sua carriera pubblica.

Le prime azioni navali in cui il giovane Cesare poté sperimentare le proprie capacità avvennero nell'alto Egeo a partire dall'81 a.C., quando egli, ancora diciannovenne, vi si recò come ufficiale addetto al pretore Marco Minucio Termo. Inviato da quest'ultimo nel Mar di Marmara per prelevarvi la flotta, egli condusse celermente le navi attraverso i Dardanelli fino alle coste della provincia romana d'Asia, all'altezza di Pergamo. Raggiunto il pretore, con la stessa flotta partecipò alla spedizione navale intesa a riconquistare l’isola di Lesbo. Nel vittorioso assalto scaturito dallo sbarco dalle navi, egli compì arditi atti di eroismo che gli valsero l'attribuzione dell'ambita onorificenza della corona civica. A differenza di quanto accade con le attuali medaglie al valore, riconoscibili solo da pochi esperti, chi aveva ricevuto quella corona veniva realmente onorato dai Romani: quando si recava agli spettacoli tutto il pubblico, inclusi i senatori, si alzava in piedi al suo ingresso; fra gli altri privilegi, gli veniva perfino riconosciuta l’esenzione da qualsiasi onere fiscale, per sé stesso, per suo padre e per suo nonno paterno.

L'anno seguente Cesare partecipò alla seconda guerra intrapresa dai Romani contro i pirati, sotto il comando di Publio Servilio Vatia. Quella poderosa spedizione navale si avviò nella primavera del 77 a.C, quando la flotta romana attraversò il basso Egeo e costrinse i pirati al combattimento navale al largo delle isole Chelidonie, a sud della Licia. L’esito del confronto navale fu decisivo ai fini della vittoria finale, poiché le navi nemiche furono sbaragliate ed il capo pirata Zenicete si trovò costretto alla fuga. Poi, mentre le operazioni proseguivano sulla terraferma, fino alla Cilicia ed all’Isauria, Cesare rientrò a Roma.

L’esperienza della dura lotta condotta in mare contro i pirati fu comunque utilissima allo stesso Cesare solo un paio d’anni dopo, quando, salpato dall’Italia, egli navigò verso Rodi nella stagione invernale per andare a frequentare un corso di retorica. Intercettato e catturato in mare dai pirati, egli li trattò in modo risoluto e sprezzante, promettendo loro il doppio del riscatto richiesto oltre alla loro condanna a morte non appena fosse tornato libero. Nonostante lo scetticismo dei suoi carcerieri, che pensavano di trovarsi di fronte a delle innocue spacconate di un giovane viziato, Cesare riuscì in breve tempo a procurarsi tutto il denaro necessario e venne così rilasciato. Poi, non appena liberato, nel porto di Mileto si assicurò la disponibilità di un buon numero di navi, che armò per l’occorrenza. Salpato nottetempo, con quella flottiglia raggiunse le navi dei pirati che si erano fermati alla fonda in una rada poco lontano per trascorrevi la notte. Lì assalì immediatamente, per sorprenderli nel sonno, e riuscì in tal modo a catturarne un gran numero, che portò a terra in catene, facendoli infine mettere a morte, come promesso.

Nel prosieguo della carriera egli fu destinato due volte in Spagna, la prima volta come questore, la seconda come propretore responsabile del governo della provincia Ulteriore, che dalla regione Betica si estendeva alla Lusitania. Nel corso delle operazioni condotte contro popolazioni lusitane che si erano date al brigantaggio, egli si imbarcò sulle navi che aveva fatto venire da Cadice e con esse vinse i nemici che si erano rifugiati in un'isola prossima alla costa. Con la stessa flotta romana egli continuò poi la navigazione verso nord, portandosi fino a Briganzio, l'odierna La Coruña, i cui abitanti si arresero immediatamente, atterriti com'erano dal frastuono delle navi da guerra romane, ch'essi non avevano mai visto. Quella prima missione navale romana in grande stile nelle acque dell'Oceano consentì dunque a Cesare di completare la sottomissione di tutte le popolazioni presenti sulla costa occidentale della penisola iberica.

Le successive imprese navali compiute dai Romani nell'Oceano sotto il comando di Giulio Cesare sono ancora più note, perché avvennero quando egli era proconsole in Gallia. Prima della rivolta di Vercingetorige, la più massiccia e pericolosa coalizione gallica antiromana fu quella delle popolazioni Armoricane, che sotto la guida dei Veneti transalpini, si estese a tutta la fascia costiera nord-occidentale della Gallia, dal Mare del Nord alla Loira. Per venirne a capo, poiché i Veneti sfuggivano alle azioni delle legioni sfruttano le loro navi e l'ampio moto di flusso e riflusso delle maree, Cesare fece costruire una nuova flotta, che affrontò le 220 poderose navi della coalizione nemica. Nonostante la robustezza delle unità galliche, concepite per resistere all'onda oceanica, la battaglia navale combattuta al largo della costa meridionale della Bretagna terminò con la piena vittoria romana. I Galli, privati delle loro navi, dovettero arrendersi, mentre i Romani divennero padroni dei loro mari.

Cesare ne trasse subito la più logica delle conseguenze: visto che anche i Britanni avevano fornito degli aiuti navali ai Veneti, egli inviò subito la sua flotta nella Manica, dove fece imbarcare le legioni per portarle in Britannia. Con questo primo sbarco navale romano oltre-Manica, Cesare viene considerato dagli esperti delle operazioni navali come l'antesignano della moderna guerra anfibia, poiché la sua geniale pianificazione ha incluso tutti i passi considerati fondamentali dall'attuale dottrina. Non ancora soddisfatto dei pur stupefacenti risultati fino allora conseguiti, lo stesso proconsole volle effettuare un secondo sbarco in Britannia l'anno successivo. Ma per esso egli ideò ulteriori accorgimenti intesi ad ottimizzare l'operazione anfibia, facendo costruire una nuova flotta dotata di navi di nuovo tipo: più larghe, più basse e più leggere, ovvero con caratteristiche perfettamente coincidenti con quelle dei moderni mezzi da sbarco.

Un'ulteriore flotta venne messa in cantiere da Cesare all'inizio della guerra civile, quando i Marsigliesi ebbero l'ardire di opporsi al suo passaggio. L'antica esperienza navale e marinaresca di quel popolo non fu sufficiente, giacché la nuova flotta di Cesare sconfisse quella avversaria in due battaglie navali che determinarono la successiva capitolazione della città.

Della perizia dello stesso Cesare nella navigazione si ebbero poi molti esempi durante tutta la guerra civile, ad iniziare da quando egli riuscì a sfruttare i venti propizi per attraversare il Canale d'Otranto con un centinaio di navi da trasporto e pochissime unità di scorta, passando indenne attraverso due flotte avversarie che avevano il solo compito di impedirgli il transito.

Della sua audacia per mare e della sua stoffa marinara vi furono varie prove inequivocabili, quali la sua determinazione nell'affrontare il mare in burrasca con una piccola lancia a remi, nel tentativo di andare a sollecitare la partenza delle altre sue navi da Brindisi: visto che il padrone della barca, spaventato, voleva tornare indietro, lo incoraggiò dicendogli che non aveva nulla da temere, perché portava Cesare e la sua Fortuna. Ma egli era comunque un marinaio accorto, la cui audacia non è mai sinonimo di incoscienza: non appena divenne evidente che non vi era più alcuna possibilità di procedere senza naufragare, ordinò lui stesso l'inversione di rotta.

Della sua confidenza con il mare vi furono diverse altre manifestazioni, anche nella guerra Africana ed in quella Ispanica, ma l'episodio che colpì maggiormente i suoi contemporanei avvenne durante la guerra Alessandrina, quando, nel corso di un incontenibile assalto, la turba dei nemici irruppe a bordo della sua nave ormeggiata in banchina. Non avendo la possibilità di resistere, egli si tuffò in acqua e, dopo aver nuotato a lungo sott'acqua e poi in superficie, raggiunse incolume le sue navi che si erano portate al largo. Quella specifica guerra ebbe poi un esito vittorioso, come tutte le sue guerre, e fu seguita da una navigazione sommamente dolce: la crociera sul Nilo in compagnia della giovanissima regina Cleopatra, per visitare l'alto Egitto a bordo di una fastosa nave cabinata, scortata da quattrocento unità da guerra.

Quando la vita terrena di Giulio Cesare venne bruscamente troncata, il popolo romano si convinse che colui che era stato da poco chiamato Padre della Patria, Imperatore e Dittatore perpetuo fosse stato assunto nel novero degli Dei immortali. Per tale motivo suo figlio adottivo Ottaviano eresse nel Foro Romano il Tempio del Divo Giulio, sul luogo in cui era stata posta l'ara del suo funerale. La parte frontale del podio dello stesso tempio venne poi ornata fissandovi i rostri delle navi avversarie catturate ad Azio; e quei trofei della vittoria in mare parvero in tal modo onorare degnamente anche i meriti navali del grande condottiero.

© 2012 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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