Rivista bimestrale Voce Romana
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Una delle più importanti fra le grandi fasi della storia di Roma è quella in cui i Romani, dopo aver associato al proprio destino tutte le popolazioni dell’Italia, varcarono il mare per estendere il loro dominio sulle altre sponde del Mediterraneo. Questa straordinaria espansione, che si svolse nell’arco di due secoli (264-57 a.C.), venne definita dagli stessi Romani "transmarina", per sottolineare con questo aggettivo latino che la proiezione delle forze romane sui lidi d’oltremare avvenne sempre attraverso il mare, cioè con l’uso intensivo delle loro navi, delle loro flotte e delle altre loro forze marittime. Si tratta, in effetti, di un aspetto normalmente poco noto oppure al quale non si fa molto caso, poiché nell’immaginario collettivo prevale di gran lunga l’idea che la forza invincibile di Roma provenisse essenzialmente dalle sue poderose legioni, come se la fanteria romana avesse potuto conquistare un impero esteso tutto attorno al vasto bacino del Mediterraneo compiendo il lunghissimo periplo delle sue coste frastagliate ed accidentate. No, i soli a tentare le sorti di una guerra mediante un’assurda marcia intorno a mezzo Mediterraneo furono i Cartaginesi guidati da Annibale; tuttavia essi non lo fecero per scelta, ma solo perché le flotte romane non avrebbero loro consentito di raggiungere l’Italia per via marittima. Nel Mediterraneo occidentale, infatti, i Romani avevano acquisito il dominio del mare vincendo la prima Guerra Punica, ed essi poterono sfruttare loro superiore abilità nella gestione delle flotte per soffocare il revanscismo cartaginese e per condurre con successo una lunga serie di operazioni oltremare, in difesa dei propri alleati e nel rispetto degli interessi di Roma.
Nei confronti dei Cartaginesi, il Senato di Roma si attenne innanzi tutto a quella innovativa strategia marittima che, come abbiamo visto, permise di frustrare ogni offensiva tentata da Annibale dopo la battaglia di Canne, costringendolo infine a rientrare in patria per provare inutilmente a difenderla. Successivamente, circa mezzo secolo dopo la vittoria romana nella seconda Guerra Punica, il Senato accolse le reiterate sollecitazioni di Catone il Censore contro il progressivo riarmo che i Cartaginesi stavano occultamente attuando in violazione del trattato di pace. Il nuovo intervento delle forze navali romane nelle acque nord-africane si risolse, com’è noto, nella definitiva sconfitta della flotta punica al largo di Cartagine e nella susseguente distruzione della città (147 a.C.). Questa risultò infatti la sola misura efficace per scongiurare il risorgere della minaccia cartaginese contro la supremazia navale romana nel Mediterraneo occidentale.
Ma l’espansione romana al di fuori della Penisola era già iniziata molto tempo prima, fin dall’inizio della prima Guerra Punica, quando i Romani sbarcarono in Sicilia (264 a.C.). Seguirono poi gli sbarchi in Sardegna e Corsica (259 a.C.) e quelli a Corfù, in Epiro e nelle isole della Dalmazia, durante la prima Guerra Illirica (229 a.C.). Vi furono quindi la conquista delle isole di Malta, Pantelleria e Gerba all’inizio della seconda Guerra Punica (218-217 a.C.), la successiva occupazione delle coste orientali e meridionali della Spagna (218-206 a.C.), lo sbarco nell’isola Eubea (207 a.C.) ed infine lo sbarco in Africa condotto da Scipione Africano (204 a.C.). Si registrarono poi le seguenti ulteriori proiezioni delle forze romane oltremare: sbarco in Asia minore condotto da Scipione Asiatico (190 a.C.); sbarchi in Macedonia e nell’isola di Samotracia (169-168 a.C.); sbarco in Acaia condotto da Lucio Mummio Acaico (146 a.C.); conquista delle Baleari da parte di Quinto Cecilio Metello Balearico (123-122 a.C.); presa di possesso della Cirenaica, o Pentapoli libica (86 a.C.); sbarchi sulle coste occidentali del mar Nero, fino al Danubio (77-71 a.C.); sbarchi sulle coste meridionali del mar Nero, fra Eraclea e Ceraso (72-70 a.C.); conquista di Creta da parte di Quinto Cecilio Metello Cretico (69-67 a.C.), sbarco in Cilicia a conclusione della grande Guerra Piratica di Pompeo Magno (67 a.C.); sbarchi sulle coste orientali del Mediterraneo da parte dello stesso Pompeo (64-63 a.C.); blocco navale della Crimea e assunzione del controllo del Bosforo Cimmerio (64-63 a.C.); annessione di Cipro (57 a.C.). Solo da allora iniziarono alcune consistenti acquisizioni territoriali per via terrestre, soprattutto durante il proconsolato di Cesare in Gallia.
Se nel bacino occidentale del Mediterraneo le flotte romane poterono conquistare il dominio del mare dopo aver affrontato e sconfitto i soli Cartaginesi, abilissimi marinai, in quello orientale i Romani dovettero misurarsi con un gran numero di potenze navali dotate di un’altrettanto valida e consolidata esperienza marinaresca, nonché di enormi risorse pecuniarie e navali. Si trattò per lo più di regni ellenistici i cui sovrani ambivano ad espandere il proprio dominio in direzione della Grecia sperando di cavalcare l’esaltante e mai sopito sogno panellenico vagheggiante la ricostituzione dell’effimero impero di Alessandro Magno. Iniziò il re di Macedonia (Filippo V), seguito dal re di Siria (Antioco III il Grande), quindi dal successivo re di Macedonia (Perseo) ed infine dal re del Ponto (Mitridate VI il Grande): essi guerreggiarono in rapida successione, avvalendosi soprattutto delle proprie flotte per invadere la Grecia. Chiamati in aiuto dai Greci, i Romani si trovarono quindi ad affrontare per mare delle forze navali estremamente potenti e perfettamente addestrate ai combattimenti in mare. Ma essi avevano ormai acquisito una grande dimestichezza nelle battaglie navali ed un’eccezionale competenza nell’organizzare e gestire le flotte schierate in acque lontane, risolvendo con l’abituale pragmatismo i pur complessi problemi delle manutenzioni al naviglio, dei rifornimenti logistici e dell’avvicendamento del personale. In tal modo essi poterono conseguire proprio nel campo marittimo i loro più importanti successi, fra i quali spiccano molte luminose vittorie navali, come quella di Mionneso (190 a.C.), che venne celebrata anche da parte dei Rodii.
Questa battaglia navale, in particolare, rimase memorabile perché privò il re Antioco della sua flotta, lasciandolo alla mercé dei Romani. Antioco si trovava infatti sulla costa asiatica dell’Egeo, mentre le forze romane sbarcate i Grecia stavano sconfiggendo i suoi presidi ed avanzando verso i Dardanelli. La flotta gli era pertanto indispensabile per sconfiggere quella romana e riprendere il controllo dell’Egeo, allo scopo di impedire il passaggio dei Romani nell’Asia minore. La flotta romana, comandata da Lucio Emilio Regillo, era entrata nel porto di Teo, a sud-ovest di Smirne, per rifornirsi di vino (bevanda sempre presente nei pasti degli equipaggi romani). Mentre si svolgevano le operazioni di imbarco, la flotta siriaca si avvicinò per tentare di sorprendere il nemico in porto. Allertato da un avvistamento sospetto, il comandante romano fece immediatamente uscire la sua flotta in mare aperto e la schierò per affrontare il combattimento. Disponendo di 80 navi da guerra, di cui 22 erano state fornite da Rodi, il Romano affrontò con decisione le 89 unità nemiche, scompaginandone la formazione e catturandone quasi la metà, mentre le altre presero la fuga. Avendo acquisito il pieno dominio del mare, la flotta romana poté allora far sbarcare sulla riva asiatica le legioni del console, che sconfissero agevolmente Antioco, costringendolo alla resa. Rientrato a Roma, Lucio Emilio Regillo poté riferire le azioni compiute direttamente al Senato, che gli decretò l’onore del trionfo navale sul re Antioco. Egli stesso volle poi erigere nell’Urbe il tempio dei Lari Permarini, per onorare un voto da lui formulato durante la battaglia navale di Mionneso. Sul portale del tempio venne apposta la seguente iscrizione, di cui una copia fu anche affissa sulla porta del tempio di Giove Ottimo Massimo in Campidoglio:
"Volendo concludere una grande guerra, sottometterne i re e pervenire alla pace, Lucio Emilio [Regillo], figlio di Marco, venne inviato a combattere quella battaglia navale. Sotto i suoi auspici, sotto il suo comando e sotto la sua condotta fortunata, tra Efeso, Samo e Chio, la flotta - fino allora invitta - del re Antioco, davanti agli occhi dello stesso Antioco, di tutto il suo esercito, della cavalleria e degli elefanti, venne sbaragliata, schiacciata e messa in fuga; in quel solo giorno le furono catturate quarantadue navi con tutti gli equipaggi. Dopo quella battaglia il re Antioco ed il suo regno … [rimasero privi di difese]. In seguito a questo grande successo [Lucio Emilio Regillo] fece voto di un tempio ai Lari Permarini". (Liv., XL, 52, 5-6).
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