Rivista bimestrale Voce Romana
n° 9 - maggio-giugno 2011

Monumenti Navali di Roma (III)


Le Colonne rostrate


di DOMENICO CARRO


Avendo associato al proprio destino tutte le popolazioni della nostra Penisola, Roma dovette subito interessarsi alla Sicilia, posta a poco più di due miglia romane al di là del mare. Proprio così vicino all'Italia volevano insediarsi i Cartaginesi, che occuparono Messina nonostante l'opposizione dei Mamertini. Alle richieste di aiuto inviate da questi ultimi, alleati dei Romani, il Senato non poté aderire subito, poiché si trattava di sfidare la maggiore potenza navale dell'epoca, ben intenzionata a mantenere il blocco navale dell'isola. I senatori avviarono però una serie di predisposizioni per radunare, attorno alla loro piccola flotta, tutte le migliori navi esistenti presso le alleate marinerie d'Italia. Quando tutto fu pronto, il console Appio Claudio Caudice imbarcò le sue legioni sulla grossa formazione navale romana che, sebbene protetta da navi da guerra leggere (triremi e pentecontore), riuscì ad eludere la sorveglianza delle poderose quinqueremi della flotta punica, giungendo prima a Reggio e poi attraversando audacemente lo stretto in piena notte (264 a.C.). Liberata Messina, i Romani si prefissero di cacciare i Cartaginesi da tutto il resto dell'isola, allo scopo di consolidare il loro successo. Le successive operazioni terrestri non poterono tuttavia conseguire alcun risultato durevole, poiché le flotte nemiche continuavano a riconquistare dal mare le città che si erano arrese alle legioni romane. I Romani decisero allora di costruire la loro prima grande flotta di quinqueremi, replicando – si dice – le caratteristiche costruttive di una nave punica caduta nelle loro mani.

A quel punto, l'obiettivo del Senato era divenuto davvero ambizioso: Roma non doveva più combattere solo per il possesso della Sicilia, ma per il dominio del mare, visto che il primo risultato non era ottenibile senza aver prima conseguito il secondo. Si trattava quindi di vincere i Cartaginesi proprio sul mare, in modo da privarli della supremazia navale ed avere le mani libere in tutto il teatro marittimo. Non era abitudine dei Romani presentarsi impreparati alle grandi sfide: il console Caio Duilio comprese che le sue quinqueremi, pur essendo altrettanto potenti delle navi nemiche, erano comunque meno manovriere, sia perché costruite da cantieri meno esperti, sia perché avevano dei comandanti non ancora avvezzi alle evoluzioni con quelle navi. Pertanto, oltre a sottoporre gli equipaggi ad un intenso addestramento preventivo, egli dotò le navi – secondo quanto riferisce Polibio – del cosiddetto "corvo", consistente in una passerella orientabile alla cui estremità c'era un robusto uncino per agganciare la nave nemica, in modo da permettere ai Romani di arrembare anche quelle navi che si sarebbero sottratte alle loro manovre di affiancamento. La prima grande battaglia in mare contro i Cartaginesi, nella acque di Milazzo, si risolse così in una clamorosa vittoria navale romana (260 a.C.): su 130 navi puniche incontrate, ne vennero affondate 13 e catturate 31 con tutti gli equipaggi (per un totale di 7000 prigionieri). La felicità dei Romani per questa prima affermazione si tradusse negli onori eccezionali tributati a Caio Duilio: egli fu il primo a celebrare un trionfo navale; fu il primo cui venne dedicata una colonna rostrata (ne rimane l'iscrizione, restaurata da Augusto), eretta nel Foro Romano ed adorna dei rostri delle navi puniche catturate; fu anche l'unico dei condottieri romani ad ostentare per tutta la vita il privilegio di farsi accompagnare da una scorta di fiaccole e suonatori di flauto. Lo stesso Duilio eresse nel Foro Olitorio – vicino al Porto Tiberino – il Tempio di Giano di cui restano ancora ben visibili molte colonne (tempio ricostruito da Augusto e Tiberio, e restaurato da Adriano).

Nel prosieguo di quell'epica prima guerra punica, un ulteriore santuario venne eretto a Roma, nei pressi del tuttora esistente Sepolcro degli Scipioni: il Tempio delle Tempeste, dedicato dal console Lucio Cornelio Scipione "per grazia ricevuta", al rientro dalla sua vittoriosa spedizione navale in Sardegna e Corsica (259 a.C.), durante la quale era riuscito a superare una spaventosa tempesta in mare. L'intero conflitto, peraltro, fu contraddistinto da una lunga serie di battaglie navali alternate a tre gravissimi naufragi causati da burrasche fuori dal comune, che privarono Roma di oltre 500 navi complessive. Ciò nonostante, la determinazione dei Romani non venne mai meno e consentì loro di riportare ben cinque grandi vittorie navali sui Cartaginesi (contro una sola sconfitta), infliggendo al nemico la perdita di quasi 500 navi da guerra, di cui circa 300 catturate con i relativi equipaggi. Va precisato che il cosiddetto "corvo" rimase montato sulle navi romane solo fino alla battaglia navale di Ecnomo (256 a.C.), una delle più grandi battaglie navali di tutti i tempi, per numero di navi partecipanti (680) e per numero di uomini imbarcati (290.000). Successivamente i combattimenti avvennero sempre ad armi pari, anche perché quell'attrezzo aveva perso la sua efficacia – non potendo più sorprendere il nemico – e risultava inutilmente ingombrante, oltre che pericoloso per la stabilità delle navi in caso di maltempo.

Il gran numero di successi riportati dai Romani per mare determinò la puntuale attribuzione di appropriati riconoscimenti ai comandanti delle flotte vittoriose. Vi dovettero essere, innanzi tutto, varie altre colonne rostrate, di cui solo due sono state citate dalle fonti antiche: una esistente ancora nel IV secolo "vicino al Circo, sul lato delle porte", come riferito dal grammatico Servio che l'attribuisce poco verosimilmente a Caio Duilio (oltre a quella nel Foro), ed una eretta in Campidoglio in onore del console Marco Emilio Paolo per la vittoria navale ch'egli conseguì nelle acque dell'odierno Capo Bon (255 a.C.). L'Urbe fu anche la sede di una lunga serie di trionfi navali in onore dei vincitori delle più memorabili battaglia navali; tali trionfi furono poi elencati nei Fasti Trionfali che Augusto fece incidere sulle pareti del suo arco di trionfo nel Foro Romano. In particolare, dopo quello di Caio Duilio, vi furono i trionfi navali celebrati dai consoli Caio Attilio Regolo (257 a.C.), Lucio Manlio Vulsone Longo (256 a.C.), Servio Fulvio Petino Nobiliore (254 a.C.) e Marco Emilio Paolo (254 a.C.), dal proconsole Caio Lutazio Catulo (241 a.C.) e dal propretore Quinto Valerio Faltone (241 a.C.). Questi ultimi due erano stati, rispettivamente, il comandante in capo ed il vice-comandante della flotta che, grazie alla superiore perizia marinaresca acquisita dai Romani, riuscì ad impegnare la forza navale nemica in pieno inverno, navigando contro mare e contro vento nelle acque delle Egadi, e riportando quella schiacciante vittoria navale che costrinse i Cartaginesi a richiedere la pace ed a piegarsi alle condizioni imposte da Roma, la nuova detentrice del dominio del mare.

© 2011 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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