Rivista bimestrale Voce Romana
n° 8 - marzo-aprile 2011

Monumenti Navali di Roma (II)


La Tribuna dei Rostri


di DOMENICO CARRO


Fino alla seconda metà del IV secolo a.C., i Romani avevano avuto solo alcune navi da guerra, in numero strettamente commisurato alla necessità di proteggere le tratte più rischiose delle rotte marittime dirette ad Ostia e garantire in tal modo l'afflusso dei rifornimenti indispensabili alla sopravvivenza di Roma. Ma quando, nel 340 a.C., i territori della costa laziale da Ardea fino ad Ostia furono oggetto di incursioni condotte dai Volsci di Anzio, che disponevano di una potente flotta militare, si rese evidente che Roma doveva al più presto rafforzare il proprio controllo sul mare. Solo due anni dopo i Romani espugnarono la città di Anzio e ne catturarono tutta la flotta: le navi efficienti furono trasferite a Roma ed immesse nei Navalia della città, mentre quelle più vecchie e malandate furono bruciate dopo aver smontato dalle prore i relativi rostri. Questi robusti speroni di bronzo furono anch'essi portati a Roma e fissati sulla parete frontale della grande tribuna degli oratori, che da allora in poi venne chiamata "i Rostri" (in latino Rostra).

Tale monumento, che all'epoca era sistemato di fronte alla Curia del Senato, al limite tra l'area del Comizio e la piazza del Foro romano, venne ampliato proprio in quell'occasione. La stessa struttura subì un altro rifacimento verso il 263 a.C., acquisendo una forma ad arco di cerchio, concentrica con la nuova pianta circolare del Comizio; lo si vede anche sul rovescio di un denario d’argento del 45 a.C. (conio di Lucio Lollio Palicano, forse figlio di Marco in onore del quale venne emessa quella moneta), ove sono chiaramente riconoscibili tre dei rostri fissati sui pilastri delle arcate frontali della tribuna, vista dal Foro. La storica tribuna fu infine risistemata da Cesare ed Augusto al centro del lato occidentale della piazza del Foro, laddove la vediamo tuttora. I vecchi rostri navali anziati mantennero quindi tale collocazione per tutta la durata dell'Impero, venendo infine affiancati da altri rostri più giovani di otto secoli: quelli delle navi vandaliche catturate in occasione dell'ultima vittoria navale conseguita dai Romani, nella seconda metà del V secolo, e per i quali – secondo un'interpretazione non condivisa da tutti gli studiosi – sarebbe stato costruito quel prolungamento della fronte della tribuna (verso l'arco di Settimio di Severo) comunemente chiamato Rostra Vandalica.

La gelosa conservazione dei più antichi trofei navali e la loro ostentazione nel cuore dell'Urbe, per più di otto secoli, mostrano l'eccezionale rilevanza attribuita dai Romani alla cattura delle navi di Anzio, sebbene tutta la successiva storia di Roma sia stata costellata da imprese navali di gran lunga più gloriose e qualificanti. Eppure perfino Plinio il Vecchio, che negli anni 78-79 comandò la flotta Misenense, la più potente delle flotte imperiali romane, confermò l'importanza del successo conseguito sulla piccola flotta anziate, scrivendo che "i rostri delle navi, fissati davanti alla Tribuna, ornavano il Foro come una corona conferita allo stesso Popolo Romano".

Come mai tanta enfasi?

In effetti, in quel lontano 338 a.C., tutte le migliori navi da guerra catturate ad Anzio furono inglobate nella marina romana: trasferite ad Ostia, le unità risalirono poi il Tevere fino a Roma, per entrare nei locali Navalia, che erano gli scali di alaggio protetti utilizzati dal naviglio militare come base navale ed arsenale. Essi si trovavano sulla riva meridionale del Campo Marzio, immediatamente a monte dell'Isola Tiberina, laddove il fiume doveva formare una spiaggetta (arenula) particolarmente favorevole all'iniziale sistemazione di semplici attrezzature per tirare in secco le navi. Dei Navalia dell'Urbe noi conosciamo l'aspetto che essi assunsero in epoca successiva, quando dall'esterno essi apparivano come una serie di grandi arcate sotto a ciascuna delle quali spuntava la prora rostrata di una nave da guerra.

La subitanea acquisizione di un consistente numero di unità navali pienamente efficienti pose Roma nella condizione di subentrare ad Anzio nel ruolo di maggiore potenza navale del Tirreno. A tal fine, la città vinta fu subito posta sotto stretto controllo, inviandovi una colonia e vietando agli Anziati l'uso del mare. Successivamente, per le esigenze di gestione e manutenzione della flotta romana venne istituita la nuova carica dei “duumviri navali” (312 a.C.), nominati dal popolo ed investiti dell'imperium. Questa magistratura era destinata a rimanere in vita per più di un secolo, venendo man mano superata da quelle successivamente istituite per il comando delle flotte maggiori (praefectus classis) e poi anche per la difesa delle coste (praefectus orae maritimae).

Dalle pur limitate notizie di cui disponiamo sull'impiego della flotta romana fra il IV secolo a.C. e le prime due decadi del secolo seguente, risulta ben chiaro che essa assolse delle missioni alquanto diversificate, ma tutte intese al sfruttare il potere marittimo ai fini della politica estera di Roma. In particolare, conosciamo i seguenti quattro buoni esempi di impiego delle forze navali romane: l'operazione di dissuasione eseguita da una flotta comandata dal duumviro navale Publio Cornelio (311 a.C.), che penetrò all'interno del golfo di Napoli e fece un'incursione dimostrativa sulla costa pompeiana; la ricognizione navale delle coste della Corsica compiuta in epoca imprecisata da parte di una flotta romana di 25 navi per verificare la possibilità di fondarvi una colonia; la missione di Stato assegnata durante una pestilenza alla trireme inviata nel mare Egeo per prelevare ad Epidauro la statua di Esculapio (292 a.C.), e tornata nei Navalia recando a bordo il serpente (espressione della stessa divinità) che si recò spontaneamente sull'Isola Tiberina, laddove venne poi eretto il tempio del dio della medicina; infine, la crociera effettuata da una flottiglia di dieci navi nel golfo di Taranto, al comando del duumviro navale Lucio Cornelio (282 a.C.), in segno dell'attenzione di Roma nei confronti dell'alleata città di Turi, minacciata dai Lucani.

Dall'inatteso attacco subito da queste navi ad opera della poderosa flotta di Taranto scaturì la dichiarazione di guerra da parte di Roma ed il successivo sbarco di Pirro in Italia, chiamato in aiuto dai Tarantini. Durante il conflitto, i Romani rinnovarono l'alleanza con i Cartaginesi, ma rifiutarono l'aiuto che questi offrirono inviando ad Ostia una flotta di 130 navi: evidentemente Roma non voleva subire condizionamenti in mare. Essendosi infine liberati di Pirro, sconfitto a Benevento dopo cinque anni di campagne inconcludenti, i Romani assediarono la città di Taranto e riuscirono ad espugnarla, nonostante gli aiuti che la flotta punica recò ai Tarantini (272 a.C.). Roma, a quel punto, aveva acquisito il dominio dell'intera Penisola, ma la propria ulteriore espansione doveva fare i conti con l'incombente minaccia degli infidi Cartaginesi, potentissimi sul mare.

© 2011 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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