A HREF="http://www.cstn.it/" target="_blank">Notiziario CSTN (Centro Studi Tradizioni Nautiche) |
La maggior parte delle scienze e delle arti fiorite in Italia affonda le proprie radici nell’antichità classica e soprattutto nella civiltà romana, che raccolse, valorizzò ed ampliò quanto c’era di meglio nel mondo antico, forgiando nel contempo la prima e più solida base delle nostra identità italiana. Questo vale ovviamente anche per la scienza nautica, date le sue antichissime origini. Tuttavia, nel considerare oggigiorno la cultura e le tradizioni marinaresche, è difficile che si risalga nel tempo più indietro dell’Ottocento [1]. Se poi si vogliono ricordare i primordi dell’avventura umana sulle distese marine, il pensiero più comune vaga a tentoni fra i Fenici, Ulisse, Pìtea di Marsiglia, i Vichinghi e gli Indios virtuali del Kon-Tiki. Un pensiero ai Romani, neanche per sbaglio.
Eppure la prima culla della nostra arte di navigare è stata proprio l’antica Roma, le cui flotte militari e mercantili hanno svolto un ruolo storico rilevantissimo ed insostituibile ai fini della creazione, della pacificazione e del benessere dell’Impero. La stessa Roma ha poi lasciato la propria ultramillenaria esperienza sul mare in eredità alle Repubbliche Marinare, che hanno a loro volta generato i nostri grandi navigatori, le marine pre-unitarie, nonché le profonde conoscenze, le robuste tradizioni, le congenite potenzialità e le importanti risorse navali e marittime dell’Italia unita.
Ho pertanto ritenuto che potesse risultare di qualche interesse l’interpretazione data da un marinaio agli aspetti schiettamente marinari della storia dell’antica Roma. Si tratta della rielaborazione di un breve saggio che avevo presentato tre lustri fa al Convegno “7 anni ATENA di Roma”
[2]
sintetizzandovi alcune deduzioni tratte dall’analisi della storia navale e marittima di Roma, da me ricostruita in forma organica sulla base delle fonti antiche. Poiché la brevità di questa sintesi non consente il puntuale inserimento di note esplicative e bibliografiche, rinvio, per ogni eventuale approfondimento, alla consultazione del mio sito Internet «Roma Aeterna» (www.romaeterna.org).
Gli antichi non ebbero alcun dubbio sul fatto che Roma sia stata, fin dall'epoca regia, una città marittima particolarmente privilegiata: Cicerone e Tito Livio sostennero che la stessa posizione prescelta per la fondazione dell’Urbe, a breve distanza dal mare e su di un fiume navigabile per tutto l’anno, comportava di per sé il felicissimo vantaggio di consentire alla città di godere dei benefici del commercio marittimo pur senza permanere esposta ai rischi provenienti dal mare [3].
Il carattere marittimo della città è poi stato perfezionato con la fondazione di Ostia da parte del quarto re di Roma, com’è stato concordemente riportato da tutti gli storici romani e da Dionigi d’Alicarnasso: "il Tevere è navigabile fino all'altezza
delle sue origini con barche fluviali di notevole stazza e fino all'altezza di Roma anche con grandi imbarcazioni marittime; perciò [Anco] Marcio decise di costruire alla foce un porto fluviale, utilizzando come porto l'imboccatura stessa del fiume. Qui infatti, dove si congiun-ge col mare, il fiume si spande per una vasta superficie e forma ampie insenature, come nel caso dei migliori porti marini. … Nell'area tra il fiume e l'ansa di questo, il re fondò inoltre una città che chiamò Ostia, … facendo sì che Roma divenisse città non solo continentale, ma anche marittima" [4].
Ma cosa intendiamo, oggigiorno, per città marittima? Semplicemente una città "che è sul mare o presso il mare" [5]. In questo senso è perfettamente marittima perfino una cittadina come Rosignano Marittimo, inerpicata su pendici scoscese a 147 m di quota e collegata con la costa solo da strade piuttosto strette e tortuose. Lo stesso epiteto può pertanto certamente applicarsi, a maggior ragione, alla primissima Roma.
Questa città era tuttavia destinata a sviluppare una marineria imponente ed a svolgere sul mare un ruolo straordinariamente attivo, assumendo in tal modo un vero e proprio carattere marinaro, in parte riconoscibile in quello delle successive Repubbliche marinare italiane, che della marineria romana furono figlie ed eredi. Trattandosi di un assunto non coincidente con l’immagine stereotipata dell’antica Roma, vista sotto l’ottica della sua indiscussa potenza terrestre, esamineremo in successione, nei paragrafi che seguono, i vari aspetti che caratterizzano una città marinara.
Il primo requisito di una città marinara è ovviamente quello di possedere un buon accesso al mare, con un sufficiente ridosso per le navi ed approdi rispondenti.
Come abbiamo visto, Roma poté fruire, fin dall’età più remota, dei vantaggi naturali offerti dalla buona navigabilità del Tevere e dalla favorevole conformazione del fiume in prossimità della foce. L’accesso al mare, inoltre, era collocato in una posizione felicissima: al centro della costa tirrenica della nostra Penisola, che si trova a sua volta al centro del Mediterraneo.
Per quanto concerne gli approdi, si ritiene che l’ancoraggio naturale dei Velabri e dei punti d’attracco lungo il fiume siano stati utilizzati già nell’epoca regia, non solo in prossimità della foce, ma anche a Roma, se è vero che Anco Marcio volle occupare il Gianicolo (sulla riva etrusca) e porvi un presidio fortificato "per la sicurezza di coloro che navigavano lungo il fiume" [6].
Sappiamo comunque con certezza che sulla riva antistante il Foro Boario fiorì nel periodo della repubblica un vero e proprio porto fluviale (Porto Tiberino) e che esso venne poi sostituito nel periodo tardo-repubblicano ed imperiale dalle imponenti strutture portuali dell’Emporio), (di fronte all’odierna Porta Portese), la cui attività commerciale è significativamente documentata dal Monte Testaccio: collina artificiale (alta 54 m e con un diametro di 1 km) formatasi con l’accumulo dei cocci delle anfore utilizzate per il trasporto navale delle merci. Successivamente il porto fluviale si estese anche sulla riva opposta (laddove l’approdo rimase in uso fino all’epoca moderna, con il nome di Ripa Grande).
Un analogo sviluppo ebbero i porti marittimi di Roma. Al primo ormeggio di Ostia, attribuito ad Anco Marcio, deve essere seguito un progressivo sviluppo delle sistemazioni portuali, inizialmente impiegate soprattutto per l’attività mercantile, e successivamente - a partire dal IV sec. a.C. - anche come base navale della marina da guerra [7].
Tale capacità venne poi vigorosamente potenziata nel periodo dei grandi confronti navali con Cartagine e mantenuta fino al tardo periodo repubblicano, quando l’intera attività portuale di Ostia iniziò ad essere limitata dai crescenti inconvenienti determinati dalle secche create dai depositi alluvionali. Il problema venne superato in epoca imperiale con la costruzione del grandioso Porto Augusto (poi chiamato semplicemente Porto), progettato da Claudio, inaugurato da Nerone e completato da Traiano. Questa raffinata e razionalissima struttura superò, per le capacità ricettive e per la mole di traffico, ogni altro porto del mondo antico, tanto da costituire il nodo centrale e la meta privilegiata dell'intera rete delle linee di comunicazione marittime del Mediterraneo.
La seconda caratteristica di una città marinara è quella di fare un uso intensivo delle navi, della navigazione e dell'ambiente marittimo, per i più vari tipi di esigenze proprie. Iniziamo con l'esigenza più comune: quella delle attività commerciali.
Si trattò in effetti, per Roma, di una vera e propria esigenza vitale (navigare necesse est): l'approvvigionamento alimentare della città richiese infatti, fin dai primi anni della repubblica, un sostanziale apporto dal commercio marittimo, poiché l'ostilità delle popolazioni confinanti costrinse molto presto i Romani a ricorrere al trasporto navale. Tale necessità perdurò in tutto il periodo dell'espansione di Roma, aggravandosi ciclicamente in occasione di crisi particolarmente gravi: in tali situazioni, il magistrato incaricato della cura dell'annona assicurava l'utilizzo ottimale delle navi adibite al trasporto dei cereali, venendo talvolta anche investito di poteri eccezionali quando l'emergenza richiedeva la requisizione del naviglio e l'esercizio della piena autorità sui porti di rifornimento. L’Urbe continuò poi a dipendere strettamente dal commercio marittimo anche per tutta la durata dell'impero, anche se per un diverso motivo: la città si era sviluppata a dismisura ed aveva esigenze di rifornimento molto maggiori di quanto potesse essere reperito in Italia, tanto più che la Penisola, investita dal benessere, si stava tramutando in uno splendido giardino.
Parallelamente alle predette occorrenze, si sviluppò presso i Romani uno spiccato senso degli affari, portandoli a ricercare nel commercio marittimo una fonte di guadagno tanto più redditizia quanto più era rischiosa (le inevitabili perdite per naufragio venivano ampiamente compensate dagli introiti per i viaggi che giungevano a buon fine). Il fenomeno, che assunse dimensioni rilevanti a partire dal III sec. a.C. [8],
portò gli armatori romani ad estendere sempre più i propri traffici al di là delle aree soggette all’influenza di Roma, precedendo ed incentivando la progressiva espansione romana oltremare: vi fu, ad esempio, una considerevole presenza di marittimi romani ed italici lungo le coste della Dalmazia prima della guerra Illirica, nei porti del nord-Africa e della Spagna prima della guerra Annibalica, nelle acque dell’Egeo prima delle guerre Macedoniche. In quella fase i Romani organizzarono nell’isola di Delo, al centro dell’Egeo, anche un fiorente porto franco che attirò gli ingenti traffici marittimi di cui aveva fino allora beneficiato la potente ed espertissima marineria di Rodi, provocando il declino di quest’ultima. L’intraprendenza degli armatori e dei marittimi Romani costituì perfino uno dei fattori che portarono all’invasione della Britannia. La stessa loro intraprendenza e capacità organizzativa permise a Roma di sviluppare e gestire, durante l’impero, la maggiore flotta mercantile che abbia mai solcato le acque del pianeta fino all’epoca moderna.
Prendiamo ora in esame l’uso che i Romani fecero delle loro forze marittime (navi da guerra, naviglio ausiliario e fanteria navale) per fronteggiare le minacce sul mare e le varie esigenze belliche in aree lontane.
Roma ebbe certamente una sia pur minima disponibilità di navi da guerra fin dai primi secoli della repubblica, utilizzandole per la sicurezza dei traffici marittimi prioritari. Quando poi si dotò, nel IV sec. a.C., di una piccola flotta da guerra, essa la utilizzò per missioni di controllo navale delle acque tirreniche e per il sostegno agli alleati anche nello Ionio. Venne poi il primo confronto con la maggiore potenza navale del Mediterraneo: con uno sforzo ed una determinazione superiori ad ogni aspettativa, i Romani riuscirono a vincere sul mare i Cartaginesi, strappando loro la supremazia navale. Essi furono così in condizione di avvalersi del potere marittimo per vanificare la travolgente avanzata terrestre di Annibale e di avviare nel contempo la loro espansione, sempre per via marittima, sulle altre coste del Mediterraneo, imponendosi con le loro flotte da guerra su tutte le temibili potenze navali ancora presenti nel bacino, effettuando una serie di sbarchi navali con la fanteria di marina ed avvalendosi del naviglio ausiliario per il trasporto delle truppe, dei cavalli, delle armi e delle grandi macchine d’assedio, nonché per assicurare il continuo sostegno logistico alle forze sbarcate. D’altra parte, la situazione politico-militare del Mediterraneo era tale che, qualora i Romani non avessero saputo impiegare le proprie forze marittime con una rara maestria tattica e strategica, essi non avrebbero mai potuto creare un impero esteso su tutte le rive di quel mare immenso(come lo definì Cicerone); essi avrebbero tutt’al più potuto tentare un’espansione continentale.
Un’analoga maestria venne dimostrata dai Romani anche nelle acque oceaniche, ove l’uso delle flotte contribuì in modo determinante alla conquista della Gallia (per l’estesa fascia marittima che aderì alla coalizione Armoricana), agli sbarchi in Britannia ed alla pacificazione della Spagna e della Germania romana.
Consideriamo infine, fra le varie forme di utilizzo del naviglio, quelle relative ad esigenze diverse da quelle belliche o commerciali: prima quelle di Stato, e poi quelle individuali.
Per le esigenze di Stato i Romani si avvalsero molto opportunamente delle navi da guerra. Fra le più antiche missioni di Stato riportate dagli storici, ne vengono citate due a carattere religioso (presso i santuari di Delfi ed Epidauro) ed una di ricognizione, in Corsica. Nelle epoche successive, le navi da guerra vennero sistematicamente utilizzate per le ambascerie, per il trasferimento dei comandanti in capo e dei governatori nelle rispettive sedi, e per quella che oggigiorno chiameremmo “scorta VIP” (very important person), cioè per accompagnare un alto personaggio con un apparato navale proporzionale al suo rango, garantendone la sicurezza ed ammantandolo ostentatamente - con la presenza navale - della maestà dello Stato. Sono poi da citare svariate missioni navali di esplorazione (lungo le coste africane, nel mar Rosso, nelle acque germaniche del mare del Nord ed intorno alla Britannia) e qualche missione navale di soccorso (come quella delle navi della flotta di Miseno, comandata da Plinio il Vecchio, in seguito all’eruzione che investì Pompei e le altre città costiere ai piedi del Vesuvio).
Per quanto concerne le esigenze individuali, quella più comune nel mondo romano era rappresentata dai viaggi: ci si spostava frequentemente (per lavoro, affari, politica, cultura, ecc.) e si poteva disporre di molteplici possibilità di trasporto navale. I viaggi per mare ebbero degli estimatori assai celebri: sappiamo, ad esempio, che Augusto li prediligeva e decideva sempre d’imbarcarsi ogni volta che poteva scegliere fra un percorso terrestre ed uno marittimo; e la stessa preferenza venne manifestata da Plinio il Giovane e Traiano. L’amore dei Romani per il mare traspare inoltre chiaramente dalla celebrità di località marine come Baia, dall’esteso uso di naviglio da diporto e dalla proliferazione, soprattutto lungo le coste tirreniche, di ville marittime arditamente proiettate verso l’acqua, con pontili, porticcioli ed ampie vasche per l'allevamento dei pesci e dei crostacei marini.
Lo stesso tipo di allevamento veniva peraltro effettuato anche su scala industriale, in grandi impianti dotati di complessi sistemi per il ricambio dell’acqua, mentre la pesca permaneva anch’essa molto fiorente, utilizzando una moltitudine di pescherecci disseminati ovunque.
Una terza caratteristica di una città marinara è quella di profondere ogni propria energia per la sicurezza delle linee di comunicazione marittime, per la tutela della legalità sul mare e per la salvaguardia della libertà di navigazione e di sfruttamento delle risorse marine.
In tutti questi settori, l’azione di Roma è stata non solo appropriata, risoluta ed efficace, ma anche particolarmente oculata, innovativa e rispettosa dell’interesse collettivo.
Il più vistoso esempio dell’impegno dei Romani per la sicurezza della navigazione è rappresentato dalla lunga ed onerosa serie di guerre che essi condussero contro i pirati, che compivano le loro scorrerie sia contro le navi che transitavano nelle loro zone d’agguato, sia contro obiettivi costieri. La pirateria originata dalla Cilicia venne infine rimossa da Pompeo Magno con una vasta operazione navale che interessò contemporaneamente tutti i bacini dell’intero Mediterraneo, fino al mar Nero, ed a cui presero parte 500 navi da guerra.
La sicurezza della navigazione venne poi nuovamente ripristinata da Ottaviano che, per mezzo del suo grande ammiraglio Agrippa, liberò i mari da nuovi fenomeni piratici – nel Rirreno ed i Adriatico – ed istituì infine quelle flotte militari permanenti che per tutta la durata dell’impero vigilarono silenziosamente sul rispetto della legalità in mare.
Tale legalità era riferita, a quel punto, alle sole leggi di Roma, visto che l’intero bacino mediterraneo ad esse rimase assoggettato per tutta la durata dell’Impero (i Romani furono peraltro i soli, in tutta la storia conosciuta, ad aver esercitato una così assoluta forma di dominio del mare). Ma Roma era la patria del diritto, ed essa volle parimenti garantire con le sue leggi tutti i cittadini dell’impero, sancendo il principio che il mare rientrasse nel novero dei beni che appartengono a tutti (res communes omnium) [9],
e che esso potesse pertanto essere liberamente utilizzato da tutti: ciò includeva sia il principio basilare della libertà di navigazione (non solo sui mari, ma anche sui fiumi), sia quello della libertà di sfruttamento delle risorse marine, cioè la fauna marina (esercizio della pesca), la stessa acqua del mare (utilizzo dell’acqua per i vivai e per altre esigenze: mediche e culinarie) ed anche quella fascia costiera che è ora sottoposta al demanio (libertà di costruzione sul litorale e in acqua, purché non venissero lesi i diritti altrui).
Una quarta e fondamentale qualità che deve essere posseduta da una città marinara consiste nelle capacità individuali possedute dai propri cittadini nel campo marittimo.
È piuttosto difficile valutare a distanza di tanto tempo e con i pochi elementi in possesso le capacità marinare di un popolo. Quello che sappiamo con certezza sui Romani è che essi ebbero un’ottima confidenza con l’acqua: tutti i giovani imparavano molto presto a nuotare e si hanno molteplici esempi di bravura nel nuoto, come quella evidenziata da Cesare che si salvò con una lunga nuotata - parte sott’acqua e parte in superficie - dagli assalti degli Alessandrini. Si sa inoltre che i Romani hanno adottato alcuni accorgimenti per facilitare l’arrembaggio (il corvo e l'arpax) [10]
nei pochissimi casi in cui le navi avversarie evidenziarono una maggiore manovrabilità; ma si trattava di artifizi temporanei intesi a sorprendere il nemico, analoghi a certi stratagemmi usati da chi vantava tradizioni marinare molto più antiche e celebrate: ad esempio, i Rodii, che fissarono davanti alle loro prore dei recipienti infuocati, ed il cartaginese Annibale, che fece lanciare sulle navi nemiche dei vasi pieni di serpenti velenosi.
Quindi, per valutare in modo attendibile l’abilità degli antichi sul mare, occorre giudicare in base ai risultati: i Romani hanno navigato in tutti i mari allora conosciuti ed in tutte le stagioni dell’anno; si sono confrontati con tutte le più esperte marinerie dell’epoca, mai delegando a nessuno l’esercizio del comando, e sono sempre riusciti a prevalere. Ed è quanto ci si attende dai migliori marinai.
Per quanto concerne le capacità tecniche nel campo navale e marittimo, i Romani furono degli autentici maestri. L'ingegneria navale romana seppe fornire dei prodotti di elevata qualità ed in linea con i migliori canoni dell'arte marinaresca; le costruzioni navali raggiunsero durante l’impero un livello di assoluta perfezione, per la robustezza degli scafi (talvolta di dimensioni eccezionali, come le navi gigantesche utilizzate per il trasporto degli obelischi) e per la raffinatezza delle soluzioni adottate a bordo (come si è potuto rilevare nelle sorprendenti navi di Nemi).
Altrettanto stupefacenti sono le opere marittime realizzate per i vari porti dell’impero (in primis il Porto di Roma) - con tecnologie avanzatissime nella costruzione delle dighe foranee -, per la rete dei fari e per i canali navigabili.
Occorre infine esaminare una ulteriore peculiarità delle città marinare: quell’attenzione riservata alla protezione divina dei naviganti e alla memoria collettiva dei più gloriosi successi conseguiti in mare. Entrambi questi aspetti ebbero a Roma grande spazio.
Sotto il profilo religioso, la marineria romana confidò in un rilevante numero di culti specifici, fra i quali i più citati sono: Nettuno, dio del mare; Venere, che, essendo nata dal mare, era protettrice dei naviganti; le Nereidi, divinità marine
che aiutavano anch'esse i naviganti; Ercole, che aveva ad Ostia un culto privilegiato come protettore dei marinai; i Lari Permarini, protettori della Flotta. Ma anche ogni singola nave aveva una propria divinità protettrice, e ad essa venivano riservati a bordo degli appropriati onori.
In caso di pericolo estremo, i Romani usavano formulare delle particolari promesse alla divinità in cambio della loro salvezza, e recavano poi nei santuari delle tavolette dipinte, cioè degli ex-voto, come hanno continuato a fare i marinai di tutti i tempi. Naturalmente, con l’avvento del Cristianesimo, la religiosità o la tipica superstizione dei marinai (come di tutti coloro che svolgono un’attività rischiosa) si riversò progressivamente sul nuovo culto.
I Romani, inoltre, onorarono con il massimo risalto le più felici loro imprese compiute in mare. A coloro che riportarono una grande vittoria navale vennero attribuiti particolari riconoscimenti: accoglienze solenni (il trionfo navale), onorificenze (la corona navale, considerata la più prestigiosa decorazione militare), un’insegna eccezionale (il vessillo azzurro, conferito solo ad Agrippa come simbolo di Nettuno e del comando dei mari), oltre ad altri privilegi minori.
La memoria di quelle imprese venne inoltre assicurata fissando una parte dei rostri delle navi nemiche catturate alle tribune del Foro o su colonne appositamente innalzate (ai tempi di Augusto, l’Urbe doveva essere ornata da almeno otto colonne rostrate). Per la più grande delle vittorie navali, quella di Azio, venne anche stabilita la celebrazione di giochi quadriennali (Aziadi) in occasione dei quali venivano organizzate delle regate, delle altre competizioni e degli spettacoli di combattimento navale
(naumachie).
Nel corso della sua storia antica, Roma esercitò sul mare un ruolo progressivamente crescente fino ad acquisirne il pieno dominio, porlo sotto le proprie leggi, miglioravi le condizioni per lo sviluppo della navigazione e trarne ogni possibile vantaggio ai fini della prosperità dell’Impero.
Privilegiata dalla sua felicissima posizione, essa si dotò di un sistema portuale attivo e rispondente, che raggiunse nel periodo dell'impero le dimensioni del maggior porto marittimo del mondo classico. Essa seppe inoltre avvalersi estensivamente del commercio marittimo, delle proprie flotte e del rimanente naviglio; seppe altresì organizzare e condurre ogni attività in mare con lungimiranza, pragmatismo e determinazione. Essa anche apprezzò intensamente le piacevolezze dell’ambiente marittimo e ne utilizzò oculatamente le risorse. Essa dimostrò infine di possedere una superiore maestria nel campo dell’ingegneria navale e marittima, un’accorta sensibilità nei confronti delle esigenze di tutti i naviganti, un consapevole orgoglio delle proprie glorie navali, ed ogni altra qualità propria delle città marinare.
Non credo che si possano azzardare dei raffronti diretti né stilare delle graduatorie di merito fra le città che presentarono un carattere marinaro, tanto diverse sono le situazioni storiche in cui esse si svilupparono e quelle con cui esse dovettero confrontarsi. Ma, pur nutrendo ammirazione e rispetto nei confronti di tutti popoli che poterono illustrarsi per la propria abilità navale, tutti gli aspetti della lunga ed attiva presenza di Roma sul mare mi sembrano sfolgorare di lucentissimi splendori.
[ 1] Vi sono comunque stati degli studi egregi anche nei secoli precedenti. Nella prefazione della sua Bibliografia di marina, pubblicata nel 1823, Simone Stratico (studioso di nautica originario di Zara) osserva che dopo l'invenzione della stampa vi è stata una proliferazione di pubblicazioni sull’argomento.
[ 2] Convegno organizzato dalla Sezione di Roma dell'ATENA (Associazione Italiana di Tecnica Navale) presso il Teatro Euclide, a Roma, il 25 maggio 1999.
[ 3] Cic. rep. II, 5 e Liv. V, 64
[ 4] Dionys.Hal. ant. III, 44; da "Dionisio di Alicarnasso, Storia di Roma arcaica (Le Antichità romane)", a cura di Floriana Cantarelli, Rusconi Libri, Milano, 1984.
[ 5] dal Dizionario Enciclopedico Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1970-1973.
[ 6] Dionys.Hal. ant. III, 45 (op. cit.).
[ 7] Liv. VIII, 13-14.
[ 8] Liv. XXI, 63.
[ 9] Inst. Iust. II, 1
[10] Polyb. I, 22; App. civ. V, 118.