Strenna dei Romanisti 2015
pubblicata dal Gruppo dei Romanisti
         in occasione della celebrazione del Natale di Roma         
Roma, 21 aprile 2015

NAVALIA

  di DOMENICO CARRO  

SOMMARIO

© 2015 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

“Non riesco da anni a far capire che un porto militare, nome romano navalia, nome greco neoria, non è un porto civile commerciale! È un’altra cosa.” Approfitto di questa stizzita esclamazione [1] per sgomberare subito il campo da possibili equivoci. L’antico porto militare di Roma era una struttura ben diversa dai vari porti fluviali commerciali di cui l’Urbe ha fruito dall’antichità fino all’epoca moderna e di cui la Strenna dei Romanisti si è già talvolta occupata [2]. Mentre le banchine mercantili potevano accogliere sia le navi “lunghe” (da guerra) che le onerarie (da carico), le strutture dei navalia erano specificamente progettate per il rimessaggio delle prime. Le navi combattenti, infatti, per poter essere sufficientemente veloci avevano uno scafo alquanto leggero, che rischiava di essere seriamente danneggiato dalle teredini qualora mantenuto troppo a lungo immerso in acqua. I navalia erano pertanto costituiti da una serie di scali d’alaggio [3] coperti, sui quali le unità venivano tirate a secco, mantenendole con la prora rivolta verso l’acqua in modo da consentire una sollecita ripartenza. Essi avevano dunque funzioni equivalenti a quelle degli arsenali, potendo provvedere alle manutenzioni e talvolta anche alle costruzioni navali. [4]


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Nel mondo classico i navalia (neoria per i Greci), considerati un fattore di potenza, erano posseduti da tutte le città litoranee che ambivano al potere marittimo. Erano pertanto presenti lungo le coste dell’intero Mediterraneo, con una maggiore concentrazione nel mare Egeo [5]. In effetti, l’archeologia ha potuto identificare con certezza i resti di antichi ricoveri per navi da guerra in un gran numero di siti preromani legati alle civiltà greca e punica. Dei relativi scali, tuttavia, solo pochissimi (una piccola parte di quelli rinvenuti a Cartagine e Rodi) risultano avere dimensioni sufficienti ad accogliere delle quinqueremi. Inoltre, poiché nessuno dei resti di presunti navalia romani finora individuati è risultato pienamente convincente agli occhi di tutti, è evidente che molte antiche strutture destinate ad accogliere le quinqueremi (di cui anche i Romani fecero largo uso) debbano ancora essere scoperte [6].

Ferma restando la certezza che i Romani costruirono dei navalia sia a Roma che in molte altre località, la scarsità di evidenze archeologiche è stata oggetto di tentativi di spiegazione alquanto diversificati: dalla ridotta necessità di rimessaggio delle navi grazie alle migliori qualità costruttive dell’epoca imperiale, all’attuale eccessivo scetticismo nel valutare i resti antichi [7], oppure l’aver seguito, nella ricerca dei navalia, un modello “errato” (cioè gli impianti del Pireo e di Cartagine, artatamente monumentalizzati per sostenere il morale interno alla vigilia del tracollo) [8].


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Per i Romani i Navalia per antonomasia furono quelli dell’Urbe, collocati fin dalle origini sulla riva del Campo Marzio [9], nel tratto rivolto verso l’isola Tiberina, laddove qualche resto archeologico venne visto alla fine dell’800 [10].
Tale posizione non era certamente casuale: nell’ansa a monte dell’isola, infatti, il fiume formava sulla riva sinistra una spiaggetta di sabbia fine detta arenula, termine che si è tramandato fino ai nostri giorni nella toponomastica urbana [11]. È ragionevole presumere che proprio quella spiaggetta sia servita fin dall’epoca arcaica per tirare a secco le prime penteconteri usate dai Romani all’incirca dal VI sec. a.C. [12]. La sistemazione di scivoli in legno e di una copertura devono poi aver progressivamente reso funzionale il sito.


Trireme romana nei Navalia con il sacro serpente
(foto da B. Leoni, isolatiberina.it) [fig. 1]

La prima notizia storica dell’esistenza dei Navalia è relativa al IV sec. a.C., quando essi accolsero tutte le navi efficienti della flotta catturata ad Anzio, mentre le unità più malandate furono bruciate dopo avervi prelevato i rostri destinati ad ornare la tribuna del Foro Romano [13]. Da quel momento i Romani disposero di una piccola e valida flotta basata “sotto casa”.
La posizione originaria dei Navalia appare confermata dal racconto del ritorno a Roma della trireme recante il simbolo di Esculapio prelevato ad Epidauro (291 a.C.) [14]: quando la nave giunse al proprio approdo, il sacro serpente si tuffò nel fiume per raggiungere la vicina isola Tiberina, ove andava eretto il tempio del dio [15].


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I Navalia dell’Urbe subirono un deciso ampliamento a partire dalla prima guerra Punica, data la considerevole necessità di navi per poter affrontare i Cartaginesi per mare. Si iniziò nel 261 a.C. con l’avvio della costruzione delle prime cento quinqueremi; poi le flotte inclusero molte più navi fino a raggiungere un massimo di 350 unità [16], tornando poi entro una fascia di 200-300 navi. Le flotte romane rimasero peraltro altrettanto imponenti anche nella successiva guerra Illirica (200 unità) ed all’inizio della seconda guerra Punica (220 quinqueremi) [17].

Purtroppo le fonti antiche specificano molto raramente quale fosse il porto di partenza o di rientro delle predette flotte, ma ogni volta che lo fanno parlano sempre di Roma [18]. Naturalmente non è nemmeno detto che quelle navi svernassero tutte nel porto militare della Città eterna. È anzi verosimile che una parte di esse venisse sistemata nei navalia di Ostia e forse anche altrove. È stato comunque stimato che i Navalia dell’Urbe siano stati ampliati in modo tale da poter accogliere almeno un centinaio di navi e che essi si siano estesi verso nord, lungo la riva del Campo Marzio, fino a dove venne poi costruito l’antico ponte Neroniano [19] (i cui resti sono tuttora visibili, nei periodi di magra, immediatamente a valle dell'odierno ponte Vittorio). Ciò risulta infatti coerente con la posizione riferita da Tito Livio: di fronte ai prata Quinctia, terreno collocato da Plinio il Vecchio “in Vaticano” [20].

Nel Campo Marzio – e quindi presso i Navalia – vi era anche un cantiere navale “per navi lunghe” [21], evidentemente deputato alle riparazioni della flotta romana. Quello stesso cantiere sarebbe invece stato insufficiente per la costruzione delle centinaia di navi che, soprattutto nella prima guerra Punica, i Romani riuscirono ad allestire in brevissimo tempo. Tale celerità, infatti, deve essere stata ottenuta organizzando e coordinando una molteplicità di cantieri creati sulle rive di fiumi navigabili – prioritariamente nel bacino del Tevere – a breve distanza dalle zone boschive da cui prelevare gli appropriati legni, come farà poi Cesare per costruire le sue flotte nelle Gallie [22]. Uno di questi cantieri parrebbe essere stato individuato in un canale scavato nella roccia presso la riva del fiume Nera, non lontano da Narni [23].


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Dopo aver gioito per l'immenso rogo acceso da Scipione al largo di Cartagine nel dare alle fiamme le 500 navi della flotta punica a conclusione della guerra Annibalica, i Romani non rinunciarono certamente al potere marittimo né, di conseguenza, ai loro Navalia. In effetti, si era ormai avviata quella fase transmarina [24] della loro storia, che doveva portarli, grazie all’acquisita superiorità navale, all’inarrestabile estensione del loro controllo e del loro dominio su tutte le sponde del Mediterraneo. Nel corso dell’ininterrotta serie di guerre di quel periodo, le flotte romane continuarono a partire da Roma (se non erano già schierate oltremare) ed ebbero una consistenza compresa, grosso modo, fra 50 e 150 navi [25], a seconda delle necessità operative e delle opportunità politiche [26].


Navi da guerra romane a secco nei navalia
(Museo Archeologico Nazionale di Napoli) [fig. 2]

Le ampie dimensioni dei Navalia si resero evidenti dalla loro capacità di accogliere, al termine della III guerra Macedonica (167 a.C.), le navi gigantesche catturate al re Perseo, oltre a tutte le unità predisposte o utilizzate dai Romani per quel conflitto e per la concomitante III guerra Illirica [27].

Qualche decennio dopo, il porto militare di Roma – che includeva anche delle banchine per l’ormeggio delle navi pronte a partire [28] – potrebbe essere stato oggetto di restauri da parte dell’architetto Ermodoro di Salamina [29]. Le immagini dei Navalia che ci sono pervenute, tutte posteriori a quell’epoca, mostrano una lunga sequenza di arcate da cui spuntano le prore rostrate.

Più o meno nello stesso periodo è stato eretto molto più a valle, leggermente arretrato rispetto all’odierna riva con i resti dell’Emporium, il vastissimo edificio in opus incertum comunemente identificato come Porticus Aemilia. La singolarità di quella struttura, costituita da 50 ambienti lunghi e stretti in pendenza verso il Tevere ed aperti solo in quella direzione, unitamente al raffronto con la Forma Urbis severiana, hanno fatto pensare che si trattasse di altri navalia, utilizzati per circa un secolo, forse come arsenale, prima della riconversione per usi commerciali. Tale ipotesi [30], accolta con interesse e varie perplessità, potrà essere valutata compiutamente solo dopo ulteriori scavi nell’area [31].

Sul finire del II sec. a.C., in vicinanza del porto militare venne eretto un tempio di Nettuno, il cui pronao probabilmente rivolto verso i Navalia lascia intendere che il relativo culto fosse direttamente collegato con la flotta [32].


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Nel primo secolo a.C. l’asprezza delle guerre civili costrinse i Romani ad aumentare i contributi navali richiesti agli alleati per fronteggiare le minacce esterne [33]. Ciò nonostante, i Navalia di Roma mantennero ancora una significativa operatività, come si vide per le varie guerre contro i pirati [34], nonché nel 58 a.C., in occasione del rientro di Catone Uticense con il tesoro che i Romani avevano ereditato dal defunto re di Cipro: egli portò la sua flotta direttamente alle banchine dei Navalia, per sicurezza, ignorando i consoli e gli altri magistrati andati al suo incontro [35].

Nel 44 a.C. “i Navalia ed altri luoghi furono colpiti da fulmini” [36]. Questa notizia è stata da taluni interpretata come la fine del porto militare di Roma, dando per scontato che la folgore avesse provocato un incendio devastante. In realtà quello non è un funesto annuncio, ma l’evento più innocuo fra una serie di sciagure che sono state segnalate alla morte di Cesare e che Giulio Ossequente ha tratto da Livio per compilare il suo libro dei “Prodigi”: terremoti, trombe d’aria, tetti scoperchiati, alberi sradicati, una grande stella, tre soli, una cometa e luce affievolita per molti mesi. Se i Navalia fossero andati a fuoco, Livio l’avrebbe scritto e Ossequente non l’avrebbe certamente taciuto.

Alla fine dello stesso anno Cicerone, nel redigere il suo ultimo trattato filosofico, includeva i Navalia fra le opere di pubblica utilità sulle quali lo Stato doveva a giusto titolo investire [37].


***

Tutto cambiò con l’avvento del Principato perché, per la prima volta nella storia di Roma, Augusto istituì le forze armate permanenti. Fino allora le flotte, come le legioni, erano state armate sotto l'impulso della necessità, per poi essere disarmate al cessare dell’esigenza. Le grandi forze navali che avevano combattuto ad Azio furono invece mantenute in efficienza, suddividendole fra tre nuove basi navali poste a difesa della nostra Penisola: Miseno, Ravenna e Forum Iulii (Fréjus). I Navalia dell’Urbe persero pertanto la loro funzione di base navale principale della flotta romana, funzione che si era peraltro già sfilacciata durante le guerre civili.

Rimase comunque una limitata esigenza di mantenere in città una piccola aliquota di navi distaccate dalle flotte di Miseno e Ravenna, sia per esigenze di Stato, sia per costituire una riserva alle navi sottili schierate nei navalia di Ostia [38] a protezione della foce del Tevere. Permaneva infatti nella mentalità romana una certa diffidenza circa la sicurezza delle città costiere, molto esposte ad attacchi improvvisi [39] (o comunque soggette ad altri rischi).

Un indizio della presenza navale a Roma durante il Principato potrebbe essere desunto dall’epigrafia: in totale 55 navi da guerra diverse (un terzo di tutte le navi imperiali conosciute) sono citate in 72 epigrafi trovate a Roma [40] (il 16 % di tutte quelle con nomi di navi, rinvenute e pubblicate) [41].

In ogni caso i Navalia debbono essere stati ridimensionati in epoca augustea, cedendo probabilmente tutta la riva a monte del nuovo ponte di Agrippa. Quest’ultimo, peraltro, venne corredato di un idrometro che, essendo posizionato a valle del pilone prossimo al Campo Marzio [42], doveva essere visibile dai Navalia, fornendo un’immediata allerta dell’arrivo della piena.
La trasformazione augustea della città di mattoni nell’Urbs marmorea riguardò naturalmente anche il Campo Marzio meridionale, ove erano i Navalia. Vi fu, in particolare, il probabile rifacimento della Porta Navale [43], che si trovava sul tratto della cinta muraria dal Campidoglio al Tevere e dava accesso ai Navalia provenendo dal Portus Tiberinus.

Risale verosimilmente a quel periodo anche un edificio tetrastilo, di forma molto allungata – come uno degli scali d’alaggio dei Navalia – e con volta a botte, collocato su di un podio nell’area del porto militare, sulla riva del Tevere all'altezza del Circo Flaminio (in corrispondenza dell'odierno Lungotevere de’ Cenci) [44]. Si trattava di una sorta di museo navale in cui era stata esposta una pentecontore [45] molto antica – probabilmente conservata in precedenza negli stessi Navalia – a ricordare le più antiche origini della potenza navale romana, rimasta senza rivali sul mare dopo l’epocale vittoria di Azio.


***


Tetti a volta di navalia romani
(alle spalle dell'imperatore Traiano) [fig. 3]

La necessità di mantenere una continuativa presenza di unità da guerra nei Navalia per le esigenze degli imperatori e dei loro legati risulta piuttosto evidente durante il principato dei Giulio-Claudii, visto che questi vollero tutti navigare sul Tevere: Augusto lo faceva sistematicamente, poiché preferiva effettuare tutti i suoi viaggi sulle navi, ogni qualvolta possibile [46]; Tiberio si era rifugiato a Capri, ma dopo la morte di Seiano risalì il Tevere fino alla periferia di Roma prima di cambiare idea e tornare nella sua Villa Iovis [47]; il giovane Gaio (Caligola) iniziò il suo principato andando a recuperare le ceneri della madre e del fratello dalle isole Pontine e con esse risalì il Tevere per deporle nel Mausoleo di Augusto [48]; Claudio salpò da Roma su di una nave da guerra, con la quale discese il Tevere, superò Marsiglia, risalì il Rodano e la Saona, passò sulla Senna, varcò la Manica e sbarcò in Britannia [49]; Nerone amava navigare sul Tevere fino ad Ostia, soffermandosi lungo le rive alle taverne allietate come si conveniva ai suoi gusti artistici e trasgressivi [50].

Si tratta evidentemente solo di qualche esempio, in cui si possono comunque intravvedere sia la perdurante attività dei Navalia, sia la buona familiarità acquisita da questi principi con le navi delle flotte imperiali.

Tale familiarità si tramutò probabilmente in affetto e riconoscenza nel caso di Vespasiano. Infatti, alla morte di Nerone e durante le conseguenti guerre di successione, entrambe le flotte d’Italia (a Miseno e Ravenna) rimasero sempre fedeli alla sua memoria, appoggiando quindi il neroniano Otone, schierandosi invece contro Vitellio e favorendo di conseguenza la vittoria di Vespasiano. Ma questo fiero imperatore aveva un concetto della disciplina talmente rigoroso da non voler mostrare di favorire in alcun modo i militari delle flotte che lo avevano sostenuto, finendo perfino per penalizzarli oltre misura in un paio di occasioni [51]. I suoi due figli non ebbero simili riluttanze: Tito, si avvalse delle navi per delle simulazioni di combattimenti navali nella Naumachia di Augusto, nell’ambito dei festeggiamenti per l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio; Domiziano diede anch’egli degli analoghi spettacoli, per i quali costruì la sua grande Naumachia [52]. Fu probabilmente lui a dare alle due flotte basate in Italia il titolo di praetoria, inteso a sancire il loro ruolo al servizio diretto dell’imperatore, soprattutto per motivi di sicurezza, mediante le navi ed i classiari distaccati a Roma. Questi ultimi, per i quali vennero anche costruite due caserme, ebbero dei compiti prevalentemente legati al loro specifico addestramento “anfibio” (quindi protezione degli imbarchi e sbarchi), dovendosi considerare del tutto accessori gli occasionali loro impegni presso la Naumachia o per la manovra del velario del Colosseo [53] (ma lì serviva la destrezza dei marinai, non l’ardimento dei classiari).


***

In definitiva, tutto lascia pensare che la continuativa presenza a Roma di navi inviate dalle due flotte pretorie abbia giustificato la conservazione di una parte dei Navalia fino alla fine della storia di Roma antica ed anche oltre. In effetti nel VI secolo Procopio di Cesarea [54] poté esaminarvi la nave arcaica che fino allora vi era stata devotamente conservata, credendola la “Nave di Enea”.

Per quanto ridotti in epoca imperiale, gli storici Navalia, che avevano consentito l'affermazione di Roma e la creazione dell’Impero, ebbero dunque una vita di spiccato rilievo e durata millenaria. La tradizione del porto militare cittadino lasciò inoltre un segno incancellabile: essa venne infatti ripresa dalla nuova amministrazione dell'Urbe, con il governo pontificio, la cui politica navale [55] – anch’essa millenaria – rimane ancor oggi simboleggiata dall'Arsenale clementino, di fronte ai resti dell'antico Emporium.

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Note

[ 1] F. COARELLI, Discussione della sessione mattutina del 1 Febbraio, in “Nuove ricerche archeologiche nell’area vesuviana, Atti del convegno internazionale, Roma 1-3 febbraio 2007”, Roma 2008, p. 499.

[ 2] Ad esempio negli anni 1966, 1991, 1992 e 2007.

[ 3] In alcuni testi vengono chiamati “stalli”, termine marinaresco ormai desueto: A. GUGLIELMOTTI, Vocabolario marino e militare, Roma 1889.

[ 4] Funzione propria dei cantieri navali – in latino textrina – concettualmente distinti dai navalia (SERV. Aen. 11.326 e 329) anche se nell’Alto Medioevo i due termini finiro¬no per essere considerati sinonimi (ISID. etym. 14.8.38).

[ 5] B. RANKOV, Roman shipsheds, in “D. BLACKMAN, B. RANKOV, Shipsheds of the Ancient Mediterranean", Cambridge 2013, p. 48.

[ 6] ID., Ships and shipsheds, in ibid. pp. 98-99.

[ 7] ID., Roman shipsheds, cit., pp. 30, 47-48 e 50.

[ 8] H. HURST, Exceptions rather than the rule: the shipshed complexes of Carthage (mainly) and Athens, in “Ricoveri per navi militari nei porti del Mediterraneo antico e medievale: atti del convegno di Ravello, 4-5 novembre 2005”, Bari 2010, pp. 27 e 33-34.

[ 9] LIV. 3.26.8 e 45.42.12.

[10] F. COARELLI, Il Campo Marzio occidentale, in MEFRA 89-2 (1977), p. 823

[11] Via Arenula e il relativo rione Regola (deformazione di arenula) sul fiume.

[12] La presenza di navi da guerra romane è implicita nel primo trattato navale con Cartagine del 509 a.C. (POL. 3.22). Conosciamo anche una missione navale di un secolo dopo, da Roma a Delfi e ritorno (LIV. 5.28.2-3).

[13] Evento del 338 a.C.: LIV. 8.13-14; PLIN. nat. 16.8.

[14] LIV. per. 11.3; VAL. MAX. 1.8.2; OV. met. 15.736-744.

[15] F. COARELLI, Navalia, in LTUR III, Roma 1996, pp. 339-340.

[16] Nel 255 a.C., per il recupero delle legioni dall’Africa (POL. 1.36).

[17] Rispettivamente nel 229 a.C. (POL. 2.11) e nel 218 a.C. (LIV. 21.17.3).

[18] Ad esempio: POL 1.38, 1.39 e 2.11; LIV. 21.26.3 e 23.41.7.

[19] F. COARELLI, Navalia, cit., pp. 339-340.

[20] LIV. 3.26.8; PLIN. nat. 18.20.

[21] Da un frammento di Ennio (SERV. Aen. 11.326).

[22] Sui fiumi Loira, Marna e Rodano: CAES. Gall. 3.9, 5.1-2 e 5.5; civ. 1.36.

[23] Ipotesi da indagare, illustrata in C. ARMADORI, Il porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera, Roma 2012 (157 p.).

[24] FLOR. epit. 1.47.1.

[25] Ad esempio: LIV. 36.42.1 e 42.27.1-7; APP. Lib. 75.

[26] Molte operazioni navali nel mare Egeo ebbero un carattere multinazionale, con la partecipazione di alleati di Roma (soprattutto Rodi e Pergamo), ma sotto il comando romano e con una presenza navale romana maggioritaria.

[27] Liv. 45.2.9-10, 45.35.3-4 e 45.42.12; PLUT. Aem. 30. 2; cfr. VITR. 5.12.7.

[28] Cfr. LIV. 45.2.9-10.

[29] CIC. de orat. 1.62; F. COARELLI, Navalia, cit., p. 340.

[30] P. L. Tucci, Navalia, ArchCl 57 (2006), pp. 175–202; Id., La controversa storia della ‘Porticus Aemilia’, ArchCl 63 (2012), pp. 575-591.

[31] B. RANKOV, Roman shipsheds, cit., p. 41.

[32] P. L. Tucci, Neptunus, Aedes in Campo, Aedes in Circo, in LTUR V, Roma 1999, pp. 279-280.

[33] Il momento più critico si verificò quando Lucullo fu costretto a navigare di nascosto per radunare una flotta da portare a Silla per la guerra Mitridatica.

[34] Operazioni navali condotte a più riprese, sempre con ampia disponibilità di mezzi, negli anni 123-122, 102, 84, 78-75 e 67 a.C.

[35] PLUT. Cato min. 39.1-3; VELL. 2.45.5.

[36] OBSEQ. 68.

[37] CIC. off. 2.60.

[38] M. HEINZELMANN & A. MARTIN, River port, navalia and harbour temple at Ostia: new results of a DAI-AAR Project, in JRA 15, 2002, pp. 11-12.

[39] CIC. rep. 2.3; cfr. LIV. 5.54.4.

[40] 2 epigrafi citano la nave ammiraglia Ops, 12 quadriremi – Dacicus, Fides (2), Fortuna (3), Mercurius, Minerva, Salus, Vesta, Victoria (2) –, 46 triremi, 6 liburne e 6 navi di tipo imprecisato.

[41] D. CARRO, Classica (ovvero "Le cose della Flotta"): Appendici marittime, Roma 2002, pp. 190-215.

[42] D. MARCHETTI, Frammento di un antico pilastro per misurare le acque del Tevere ed altre notizie topografiche, in BCom 20 (1892), p. 144.

[43] F. COARELLI, Porta Navalis, in LTUR III, Roma 1996, p. 352.

[44] P. L. TUCCI, Dov'erano il tempio di Nettuno e la nave di Enea?, in BCom 98 (1997), pp. 37-41; ID., Nave di Enea, in LTUR V, Roma 1999, pp. 278-9.

[45] F. COARELLI, Il Foro Boario, Roma 1992, pp. 125-127.

[46] SUET. Aug. 82.3.

[47] ID. Tib. 72.1; TAC. ann. 6.1.

[48] SUET. Cal. 15.2; CASS. DIO 59.3.5.

[49] CASS. DIO 60.21.3.

[50] SUET. Nero 27.3.

[51] SUET. Vesp. 8.3 e 8.5.

[52] CASS. DIO 65.25.4; SUET. Dom. 4.6.

[53] M. REDDE, Mare Nostrum - Les infrastructures, le dispositif et l'histoire de la Marine Militaire sous l'Empire Romain, Roma 1986, pp. 451-2.

[54] PROC. BG 4.22.2-3.

[55] A. GUGLIELMOTTI, Storia della Marina pontificia dal secolo ottavo al decimonono, Roma 1856, pp. xiii-xiv.

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Illustrazioni

[FIGURA 1] Medaglione di Antonino Pio che mostra sulla sinistra le arcate dei Navalia di Roma, da cui sporge la prora della trireme romana giunta da Epidauro con il sacro serpente di Esculapio, che va sull’isola Tiberina. In basso, il dio Tiberino vigila dalle acque del suo fiume. (foto da B. LEONI, isolatiberina.it).

[FIGURA 2] Navi da guerra romane a secco nei navalia, forse di Pompei. Le travi di legno appoggiate sulle fiancate rischiano di essere scambiate per remi (B. RANKOV, Roman shipsheds, cit., p. 39) ma sono normali pali di sostegno (ID., Ships and shipsheds, cit., p. 94). Affresco proveniente dalla Casa del Labirinto di Pompei (Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Foto D. CARRO)

[FIGURA 3] Bassorilievo della Colonna Traiana che mostra, alle spalle dell’imperatore (a poppa della nave centrale), i tetti a volta dei navalia del porto di partenza delle navi romane all’inizio della seconda campagna Dacica. Questa è stata giudicata la più sicura rappresentazione antica di navalia romani, anche se l’identità del porto permane incerta fra Ostia, Brindisi, Ancona o Ravenna. (cfr. B. RANKOV, Roman shipsheds, cit., pp. 39 e 47. Foto D. CARRO).

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Elenco delle abbreviazioni

1) Fonti antiche F
App. Lib.Appiano, Libyca
Caes. civ.Cesare, De bello civili
Caes. Gall.Cesare, De bello Gallico
Cass. DioCassio Dione, Historia Romana
Cic. de orat.Cicerone, De oratore
Cic. off.Cicerone, De officiis
Cic. rep.Cicerone, De re publica
Flor. epit.Floro, Epitomae
Isid. etym.Isidoro di Siviglia, Etymologiae
Liv. Tito Livio, Ab Urbe Condita
Liv. per.Tito Livio, Periochae
Obseq.Giulio Ossequente, Prodigiorum liber
Ov. met.Ovidio, Metamorphoses
Plin. nat.Plinio il Vecchio, Naturalis historia
Plut. Aem.Plutarco, Aemilius Paullus
Plut. Cato min.Plutarco, Cato minor
Pol.Polibio, Historiarum libri
Proc. BGProcopio di Cesarea, Bellum Gothorum
Serv. Aen.Servio, Commentarius in Vergilii Aeneida
Suet. Aug.Svetonio, Divus Augustus
Suet. Cal.Svetonio, Caligula
Suet. NeroSvetonio, Nero
Suet. Tib.Svetonio, Tiberius
Suet. Vesp.Svetonio, Divus Vespasianus
Tac. ann.Tacito, Annales
Val. Max.Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri
Vell.Velleio Patercolo, Historiae Romanae
Vitr.Vitruvio, De architectura

2) Opere moderne
ArchClArcheologia classica
BComBullettino della Commissione archeologica comunale di Roma
JRAJournal of Roman Archaeology
LTURLexicon Topographicum Urbis Romae
MEFRAMélanges de l'Ecole Française de Rome. Antiquité


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