La Corona navale |
Fra i motivi di orgoglio della Marina Militare (nel frastornante rincorrersi di superficiali autolesionismi ed autocommiserazioni nazionali, val la pena soffermarsi su ogni aspetto positivo ed alimentarne la consapevolezza) vi è quello di degnamente ostentare, sulla Bandiera nazionale navale portata dalle nostre Unità in tutte le acque del globo, lo splendido simbolo delle nostre antichissime, ricche e gloriose tradizioni marittime: si tratta ovviamente dello stemma della Marina, il più conosciuto ed amato emblema marinaro italiano, che è stato posto in bella evidenza sul frontespizio del Notiziario della Marina e che gode anche di un'ampia diffusione esterna, come si vede, ad esempio, dagli adesivi apposti su molte autovetture o dai disegni stampati o ricamati su capi d'abbigliamento di moda o su altri oggetti da regalo.
Ma, se tutti sanno che lo stemma della Marina Militare rappresenta le quattro Repubbliche Marinare ed è sormontato da una corona rostrata, sfugge a molti il significato di quest'ultima, che appare quasi come un artificio inventato in epoca repubblicana per sostituire la corona monarchica
che contraddistingueva la bandiera delle navi da guerra da quella delle unità mercantili.
In realtà, non è proprio così. Anzi, quello stemma (che includeva, nella prima versione, anche una piccola insegna sabauda al centro), con quella stessa corona rostrata, venne ideato in piena epoca monarchica (nel 1939) ed approvato proprio dal Re (con Regio Decreto firmato nel 1941).
Ma non è tutto. Il significato della corona rostrata era stato chiarito dalla Marina fin dalla presentazione della proposta del 1939: nel suo appunto al Capo del Governo, l'Ammiraglio Cavagnari (Capo di Stato Maggiore della Marina e Sottosegretario di Stato) scriveva che
la Marina italiana "non è soltanto una filiazione delle due Marina sarda e napoletana come fu in uso affermare nei primi anni del Regno per diffusa tendenza a restringersi nel quadro contemporaneo, ma riallaccia la sua tradizione a quelle incomparabili di vigore e di ardimento
delle marinerie italiche, eredi dirette e legittime della Marina di Roma".
E, dopo aver descritto la parte dello stemma con gli emblemi delle quattro Repubbliche Marinare, aggiungeva: "A simboleggiare l'origine comune dalla marineria di Roma, lo stemma sarebbe sormontato dalla corona turrita e rostrata, emblema di onore e di valore che il Senato romano conferiva ai duci di imprese navali, conquistatori di terre e di città oltremare".
Lo stemma della Marina Militare, quindi, non è stato concepito semplicemente per ricordare le quattro Repubbliche Marinare (come molti sono indotti a credere, limitando l'attenzione alla sola parte in comune con la Marina mercantile), ma per simboleggiare una millenaria continuità di tradizioni ed il retaggio ricevuto dalle cinque più importanti marinerie fiorite nella nostra Penisola nel corso dei secoli: fra queste, spiccano particolarmente Roma, che fu la maggiore potenza navale del mondo antico (dal III secolo a.C. al V secolo d.C.), e Venezia, che ne fu la "figlia primogenita", si insediò sul mare (VI secolo d.C.), primeggiò nel Mediterraneo e mantenne il suo peculiare ruolo di potenza marittima fino all'epoca moderna (XVIII secolo).
La corona dello stemma, che viene peraltro riprodotta anche sull'altro simbolo della Marina (l'ancora sormontata dalla corona rostrata) e su svariati emblemi di Comandi ed Unità navali (i cosiddetti crest), trae origine da quella decorazione militare che i Romani chiamavano "corona navale".
Nel mondo romano, infatti, le corone erano delle vere e proprie onorificenze; esse venivano normalmente conferite - unitamente ad altri premi (pecuniari o in natura, nell'ambito della ripartizione del bottino) - dal Comandante in Capo vittorioso (imperator) a coloro che si erano maggiormente distinti nell'azione. Naturalmente, se si trattava di premiare la massima autorità militare, la decisione spettava al Senato.
Le corone più diffuse erano la corona civica, per chi salvava la vita di un concittadino in combattimento, la corona murale, per il primo che superava le mura di una città nemica, e la corona castrense, per il primo che penetrava combattendo in un accampamento nemico. Sebbene gli insigniti fossero spesso dei militari semplici, quelle corone venivano considerate un premio ambitissimo anche ai massimi livelli: Scipione Emiliano fu particolarmente ammirato per aver ottenuto sul campo la corona murale e quella civica, e perfino l'imperatore Augusto venne ritenuto altamente onorato allorquando gli venne conferita la corona civica (per le vite dei concittadini ch'egli salvò nel porre fine alle guerre civili).
Ma una posizione di ben più elevato spicco era riservato alla corona navale, talvolta indicata come corona rostrata (per la sua foggia) o corona classica (perché veniva attribuita al Comandante di una flotta (classis).
Dallo scrittore romano Aulo Gellio, erudito del II secolo d.C., sappiamo che tale corona era d'oro ed ornata con la riproduzione di rostri (i poderosi speroni di bronzo fissati sulla prora delle navi da guerra) e che essa era stata concepita come premio per colui che, nella fase di arrembaggio di una battaglia navale, saltava per primo a bordo di una nave nemica.
Nella prassi, tuttavia, tale motivazione (strettamente analoga a quelle relative alle corone murali e castrensi) non venne ritenuta sufficiente: infatti, tutti gli scrittori dell'antichità sottolinearono
in vario modo l'estrema rarità del conferimento della corona navale (a fronte dell'elevatissimo numero di battaglie navali vinte dai Romani, soprattutto grazie agli arrembaggi) e l'eccezionalità dei meriti navali degli insigniti.
La prima corona navale venne assegnata al console Caio Attilio Regolo durante la prima guerra punica, come risulta da un breve frammento del Bellum Poenicum di Gneo Nevio, poeta epico del III secolo a.C.: in quella guerra, Roma osò sfidare, sul mare, la fortissima Cartagine, che era allora la maggiore potenza navale del Mediterraneo. Nel 257 a.C., Caio Attilio Regolo, al comando di una flotta di duecento quinqueremi alla fonda nelle acque di Tindari, avendo avvistato una flotta cartaginese di ottanta navi che si sarebbe subito disimpegnata data la disparità di forze, la costrinse al combattimento portandosi temerariamente contro il nemico con sole dieci unità e facendosi seguire, a distanza, dalla metà della sua flotta: in tal modo, perdendo solo nove unità, ne sottrasse diciotto ai Cartaginesi, che non osarono più ripresentarsi fino all'anno successivo, quando la flotta punica, forte di 350 navi, impegnò al largo di Ecnomo quella romana, di 330 unità, comandata dal console Marco Attilio Regolo: in occasione di quella che fu la più grande delle battaglie navali mai registrate dalla storia, sia per numero di navi partecipanti (680), sia per numero di uomini imbarcati (290 mila), Attilio Regolo riportò una splendida vittoria; ciò gli consentì di effettuare poi il primo sbarco navale di forze romane in Africa, altra brillante operazione, sotto il profilo prettamente marittimo, che sfociò, tuttavia, in un insuccesso nel teatro terrestre e nel sacrificio dello stesso Regolo.
La seconda corona navale venne conferita a Marco Terenzio Varrone circa un secolo più tardi: ce ne parla nella sua Storia Naturale Plinio il Vecchio, studioso enciclopedico romano del I secolo d.C., che fu peraltro l'Ammiraglio della flotta di Miseno all'epoca dell'eruzione del Vesuvio (79 d.C.) che distrusse Pompei. Varrone, celeberrimo per la sua vasta erudizione e per la copiosissima sua produzione letteraria, meritò la corona navale per essersi particolarmente distinto, nell'estate del 67 a.C., durante la guerra Piratica che venne condotta, sotto l'alto comando di Pompeo Magno, con straordinaria celerità ed efficacia e che consentì la completa bonifica del Mediterraneo dalla piaga della pirateria: si trattò, per i Romani, di un successo navale di eccezionale rilevanza visto che la pirateria, in quegli anni, aveva praticamente paralizzato i traffici marittimi vitali dell'Urbe.
La terza corona navale premiò Marco Vipsanio Agrippa, come ampiamente riferito dagli storici antichi (Tito Livio, Velleio Patercolo, Dione Cassio, ecc.): egli ne fu insignito da Ottaviano dopo la grande vittoria navale di Nauloco (3 settembre 36 a.C.) contro i "pirati" di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, che occupava la Sicilia e bloccava con la sua potente flotta (350 navi) i traffici marittimi, conducendo altresì delle incursioni sulle coste tirreniche della Penisola. La totale sconfitta di Sesto Pompeo (perse tutte le sue navi tranne 17 che fuggirono), che per i suoi molti precedenti successi si diceva "figlio di Nettuno", pose termine alle angosce di Roma, la cui sopravvivenza era strettamente legata alla libertà dei mari. Il conferimento della corona navale ad Agrippa - il più grande degli Ammiragli romani, che cinque anni dopo vinse anche l'ultima, importantissima, battaglia navale della repubblica (Azio, 2 settembre 31 a.C.) - incrementò ulteriormente la valenza di quell'onorificenza, che Seneca, filosofo romano del I secolo d.C., definì "la più alta delle onorificenze militari".
Di quel prestigioso emblema delle più fulgide imprese navali volle quindi avvalersi perfino l'Imperatore Claudio al rientro dalla sua vittoriosa spedizione navale in Britannia (43 d.C.) per l'avvio del conquista di quella provincia: avendo egli, come riferisce il suo biografo Svetonio (I-II secolo d.C.), "varcato e quasi domato l'Oceano", fece sistemare una corona navale sul frontone del palazzo imperiale sul Palatino.
La corona navale, in definitiva, conferita solo a tre valentissimi comandanti di flotte romane e adottata anche da un Imperatore di Roma, va considerata - come lo fu per i nostri lontani progenitori - lo splendido simbolo delle più elevate capacità di condotta delle operazioni
marittime.