Dal libro di Alessandro Giuliani

La viabilità antica nei Campi Flegrei

Edizioni Ulixes, Bacoli (NA), 2011

Capitolo XVIII

LA «CLASSIS PRAETORIA MISENENSIS»

La Flotta Imperiale di Miseno


Introduzione

di DOMENICO CARRO

«Apione saluta Epimaco, suo padre e signore. Innanzi tutto prego che tu stia bene, sempre in piena forma e fiorente, insieme a mia sorella, sua figlia e mio fratello. Ringrazio Serapide d’avermi prontamente salvato dal pericolo in mare. Quando sono giunto a Miseno, ho ricevuto il mio viatico, tre monete d’oro di Cesare, e tutto va bene. ... Ti mando per il tramite di Euctemone un piccolo velo di lino con il mio ritratto. Mi chiamo Antonio Massimo. Ti auguro di mantenerti in eccellente salute. Centuria Atenonice».

Ecco uno stralcio della prima lettera che inviò a casa sua il giovane Apione, di origine alessandrina, poco dopo essere approdato a Miseno ove si era arruolato come classiario, ovvero come milite di quel corpo armato romano che aveva tutte le funzioni di una vera e propria fanteria di Marina (come il nostro Reggimento San Marco o i "marines" dei paesi anglosassoni). Dal nome della sua centuria, comunicato nella lettera come proprio indirizzo postale, si capisce che egli era imbarcato sulla trireme Atenonice, una delle centinaia di navi da guerra della poderosa Flotta pretoria Misenense. Sebbene fosse giunto a Miseno molto recentemente, il ragazzo si era evidentemente già familiarizzato con il nuovo ambiente, ricco di possibilità insolite e molto attraenti, tanto più che egli poteva già permettersi qualche spesa extra con il piccolo gruzzolo intascato all'arrivo: ne aveva dunque approfittato per farsi fare quel ritratto da classiario, contrassegnato con l'altisonante suo nuovo nome romano - Antonio Massimo - da inviare orgogliosamente a suo padre, a dimostrazione del salto di qualità che aveva compiuto.

Da questa fugace "istantanea" di una situazione effimera relativa ad una singola recluta, al più basso gradino della gerarchia militare, si intravvede un colorito spiraglio di quel mondo composito, multietnico e multireligioso, ma intrinsecamente romano, costituito dal personale della maggiore flotta imperiale. Roma era da poco entrata nel suo decimo secolo di vita (si era, grosso modo, a metà del II sec. d.C.), ed aveva diffuso ed arricchito la propria civiltà associando a sé le popolazioni dell'ampia fascia temperata del mondo conosciuto, ad eccezione delle lontanissime regioni dell'estremo oriente, con le quali essa si limitava a commerciare per via marittima. Tutti i popoli rivieraschi del suo sterminato Impero, esteso attorno al vasto bacino del mare Mediterraneo, erano rappresentati negli equipaggi presenti a Miseno. La flotta rifletteva dunque l'immagine di quello stesso Impero sulle cui acque essa doveva vigilare. Sotto questo aspetto, la base navale e la cittadina di Miseno riproducevano meglio di qualsiasi altra comunità quanto era sempre accaduto alla Città eterna, che, fin dalla mitica fondazione romulea, si era accresciuta con l'apporto di popolazioni esterne, assorbendone energie e competenze, e sviluppando nel contempo quel carattere cosmopolita e universalista che si è tramandato attraverso i millenni fino a noi.

Il ruolo di primo piano attribuito alla flotta di Miseno dal suo fondatore – Marco Agrippa – è stato costantemente convalidato dall'attenta cura ad essa riservata da parte di tutti gli imperatori, ad iniziare da Augusto, che si affidò ad essa per i suoi lunghi viaggi per mare, in Oriente, in Occidente, nelle acque della Campania e per il controllo delle isole di proprietà imperiale. Lo imitò solo parzialmente Tiberio, contenendo le proprie navigazioni fra il Tevere, la sua villa di Sperlonga ed il golfo di Napoli, fino a quando non decise di arroccarsi definitivamente nella Villa Iovis di Capri, ove rimase nell'ultimo decennio del suo impero, sotto la stretta protezione della flotta. Il giovane Gaio Caligola, nel suo pur breve principato, si avvalse con grande frequenza delle navi di Miseno per attività navali dimostrative e per la celerità dei propri spostamenti, in questo emulato da suo zio Claudio, che ad esso si sostituì. Venne poi Nerone, che non si limitò ad utilizzare la flotta per le necessità dello Stato e del suo ufficio, ma volle anche che essa potesse beneficiare di un collegamento navale sicuro fra Roma e Miseno anche quando le burrasche invernali precludevano la navigazione marittima: a tal fine avviò lo scavo, fra Ostia ed il lago Averno, di un canale navigabile (la Fossa Neronis) tanto largo da consentire l'incrocio di due quinqueremi naviganti in senso opposto; il grandioso lavoro venne poi interrotto alla morte dell'imperatore, come purtroppo accadde anche al Canale di Corinto. A partire dall'epoca dei Flavi, il cui avvento era stato notevolmente favorito dal lealismo dei classiari di Miseno nei confronti di Nerone ed Otone (opponendosi quindi all'usurpazione di Vitellio), entrambe le flotte basate in Italia – a Miseno e Ravenna – ebbero il titolo di "pretoria", inteso a sottolineare il loro ruolo al servizio diretto dell’imperatore.

Oltre a questo ruolo, che normalmente impegnava solo poche unità ed in modo discontinuo, la Flotta pretoria Misenense, assolse una grande quantità di altri compiti di rilievo. Ma ben pochi studiosi sono consapevoli di questo impegno. In effetti, le attività delle flotte necessitano di tempi lunghi e si svolgono per la maggior parte nel silenzio e nella solitudine dei grandi spazi marittimi, lontano dai clamori della vita cittadina e dalle curiosità frettolose e sommarie dei cronisti. Se non accade nulla di sensazionale, quelle attività sono destinate a rimanere pressoché sconosciute, prescindendo dalla loro pubblica utilità. Poiché all'epoca perdurava in tutto l'Impero una ininterrotta situazione di pace (ad eccezione di poche saltuarie turbolenze in qualche regione periferica, fenomeni che non alteravano minimamente la tranquillità delle altre popolazioni), molti si domandano per quale motivo lo stato romano non risparmiasse le gravose spese per il mantenimento di flotte che non avevano più nemici da combattere. Lo stesso ragionamento era prevalso anche nell'antica Roma in epoca repubblicana, quando fra una guerra e l'altra la flotta veniva disarmata e gli equipaggi congedati, unitamente alle legioni dell'esercito. In effetti, prima dell'Impero, i Romani non ebbero mai né un esercito stabile, né delle forze navali permanenti. Fu solo grazie alla lungimiranza di Augusto che, dopo aver sconfitto nelle acque di Azio l'ultima grande forza navale nemica diretta contro l'Italia, la flotta romana vittoriosa non venne sciolta, com'era sempre avvenuto in precedenza. La permanente conservazione delle forze navali, così come delle legioni, fu dunque il geniale provvedimento che, deciso da Augusto, attuato da Marco Agrippa e mantenuto da tutti i successivi imperatori, assicurò al mondo romano la salvaguardia della pace, della sicurezza e del rispetto del diritto per tutta la durata dell'Impero.

Per conseguire il predetto risultato le flotte romane furono impiegate in una serie di compiti legati alle rispettive aree di operazione. Alla Flotta pretoria Misenense, che gravitava nel Tirreno ma eseguiva le proprie missioni in tutte le acque del Mediterraneo, fu assegnata la più ampia gamma di responsabilità, visto che si trattava della principale forza navale dell'Impero. Fra i suoi compiti a carattere prettamente militare, vi fu innanzi tutto quello di contribuire alla difesa di Roma e dell'Italia, ivi inclusa la protezione navale dell’imperatore e delle proprietà imperiali sul mare; a tal fine essa doveva svolgere una continuativa attività di addestramento alla guerra navale, con esercitazioni in porto ed i mare, per mantenersi sempre pronta ad affrontare qualsiasi minaccia. Essa svolgeva inoltre l'attività operativa richiesta dalle esigenza del momento (come, ad esempio, delle crociere navali per ispezione, controllo o dissuasione) oppure delle vere e proprie attività belliche, laddove vi fossero delle guerre in atto ai confini; in tale ambito rientrano i contributi navali forniti in occasione della guerra Giudaica, delle guerre Daciche e delle varie guerre al confine orientale, prima contro i Parti e poi contro i Persiani. Un'altra grande branca di compiti svolti nell'intero Mediterraneo riguardò la tutela della legalità e della sicurezza delle aree marittime; in particolare, il controllo delle attività in mare per garantire a tutti la libertà di navigazione, l'esercizio della pesca, l'assenza di ogni pirateria, nonché il soccorso in mare e sulle coste: particolarmente celebre fu quello condotto da Plinio il Vecchio, al comando di una dozzina di quadriremi, per soccorrere le popolazioni del litorale vesuviano durante la disastrosa eruzione del 79 d.C.. Vi fu infine la necessità di svolgere un gran numero di servizi navali, sia come servizio di Stato per le esigenze del governo dell’Impero (trasporto, comunicazioni, informazioni ed esplorazioni), sia come servizio pubblico, a carattere utilitario (ad esempio, i servizi navali nell'Urbe), celebrativo (giochi nautici periodici, come le Aziadi e le Neptunalia) o lusorio (naumachie, regate, ecc.).

Questo rappresenta, a grandi linee, l'essenza della possente e dinamica Flotta pretoria Misenense. Pertanto, quando le vostre passeggiate lungo le antiche vie dei Campi Flegrei vi condurranno a Miseno, potrete essere certi che questa non è una piccola località semisconosciuta relegata all'estremo lembo nord-occidentale del golfo di Napoli, ma una preziosa reliquia di quella fu la più importante base navale del mondo antico: la base da cui ha operato la flotta che esercitò per quattro secoli un ruolo indispensabile nella custodia della stabilità dell'Impero romano e si dimostrò determinante ai fini della sicurezza della navigazione marittima, fattore principale della diffusione del benessere e della civiltà.

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