Augusto |
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L'Imperatore Cesare Augusto a Camilla, salve.
Prima di rispondere alle tue domanda, lasciami dirti che il tuo bel nome
romano è come un raggio di sole in questa corrispondenza. Mi appare come
una piacevole piccola prova che, nonostante tutte le influenze barbare, certe
tradizioni romane sono state tramandate dal nostro mondo al vostro
attraverso due millenni.
Ho avuto la sventura di incontrare Fulvia sulla mia strada all'epoca del mio
ritorno a Roma dopo l'assassinio di mio padre. In quel periodo così difficile,
le nostre preoccupazioni avrebbero dovuto mantenersi esclusivamente
concentrate sull'atteggiamento del Senato, che si avvaleva di tutti i mezzi di
cui disponeva per rafforzare la posizione dei parricidi. Malgrado
questo rischio continuo e le minacce che ne scaturivano per coloro che
erano stati più vicini al divo Giulio Cesare, Fulvia fu la principale ispiratrice
dei rifiuti ostinati ed irremovibili che Marco Antonio oppose, in veste di
console, a tutte le mie richieste. Eppure eravamo parenti dal lato materno
(della gente Giulia), eravamo entrambi stati privilegiati da Cesare, ed io non
chiedevo null'altro che l'applicazione di tutte le clausole del testamento di
mio padre. Avremmo dunque dovuto essere alleati, come lo divenimmo più
tardi, ma quella donna lo spinse allora a mostrarmi un'ostilità preconcetta ed
incondizionata, un po' come fece dieci anni dopo la velenosa regina
d'Alessandria.
L'errore di Fulvia era stato provocato dalla sua avidità, qualche giorno dopo
le idi di marzo, poiché aveva convinto Antonio ad impossessarsi al più
presto di tutto il denaro depositato da Cesare e che avrebbe dovuto essere
ripartito fra gli eredi secondo le proporzioni indicate dal testamento. In
seguito a questa appropriazione illecita, Antonio si trovò costretto ad
inventare ogni sorta di pretesti per non riconoscere i miei diritti. Quando
Fulvia si accorse che divenivo troppo insistente e che il popolo iniziava a
parteggiare per me, ordì con Antonio un complotto per accusarmi di aver
assoldato dei sicari per assassinare il console. Per fortuna la macchinazione
venne smascherata, facendo perdere a Marco Antonio ogni credibilità.
A quel punto, le continue minacce alla mia sicurezza mi consigliarono di
ricorrere alle legioni dei veterani di mio padre, in Campania. Poi, altre legioni
si unirono spontaneamente a me dopo aver abbandonato Antonio, che
venne così a trovarsi in difficoltà e fuggì da Roma verso la Gallia Cisalpina.
In definitiva, con i suoi consigli sconsiderati, quella donna aveva reso un
pessimo servizio a suo marito, che aveva fatto passare dallo stato di
console onnipotente, padrone assoluto di Roma, a quello di nemico
pubblico, in vergognosa fuga. Ciò aveva peraltro fatto incrementare le
pretese degli amici dei parricidi, lasciandomi in una posizione
alquanto precaria e soggetta agli umori ed alle ambiguità delle decisioni del
Senato.
Questa situazione si ribaltò completamente l'estate seguente, quando potei
entrare a Roma in veste di console, pur avendo ancora l'età di 19 anni. Nelle
mie nuove funzioni, riuscii a promuovere la riconciliazione con Antonio e
l'accordo a tre che diede luogo alla nascita del Triumvirato. Questo accordo
venne sanzionato con il mio matrimonio con la figliastra di Antonio, Claudia,
che era la figlia che Fulvia aveva avuto dal suo precedente marito, Publio
Clodio Pulcro. Fu così che Fulvia divenne mia suocera.
Nonostante questo legame di famiglia, lei continuò a guardarmi con astio,
come se fossi un avversario di cui occorre sbarazzarsi quanto prima. I suoi
consigli al marito non furono in nulla migliori. Si distinse particolarmente nei
venti giorni delle proscrizioni, che volle seguire direttamente come se si
trattasse d'uno spettacolo di mimi o di danzatrici. Venne spesso vista gioire
pubblicamente per la morte di cittadini, sebbene a Roma ciò non fosse mai
stato consentito.
Due anni dopo, la dolce Fulvia approfittò del consolato di suo cognato, Lucio
Antonio, per scatenare tutto il suo livore contro di me. Ero da poco rientrato
dalla Grecia, dopo la vittoria di Filippi, ed avevo trovato l'Italia
completamente destabilizzata. In quella situazione che pareva sfuggire ad
ogni controllo, riuscii a risolvere in modo abbastanza soddisfacente l'ingrato
problema della distribuzione delle terre ai veterani. Ma dei soldati corrotti da
Fulvia suscitarono nelle mie legioni dei furibondi ammutinamenti, che potei
soffocare solo dopo aver superato dei gravissimi rischi. La stessa Fulvia
continuò a provocare dei violenti disordini tutt'intorno a me e spinse suo
cognato ad approfittarne per impadronirsi di Roma. Fu così che Lucio
Antonio, dopo aver sconfitto il triumviro Lepido, che era incaricato della
difesa dell'Urbe, entrò in città come un nemico ed annunciò la sua intenzione
di abbattere il Triumvirato. Marciò poi contro di me, ma pervenni a bloccarlo
a Perugia, ove egli si rinchiuse con Fulvia e le sue legioni. Nel frattempo
avevo rimandato a Fulvia sua figlia Claudia, ancora vergine, ponendo fine a
quell'unione che non aveva più alcun senso.
Dopo essere stato assediato durante quasi tutto l'inverno, Lucio fu costretto
ad arrendersi. Concessi allora la grazia sia a lui, sia a tutto il suo esercito, e
lo nominai governatore della Spagna. Quanto a Fulvia, mi assicurai che
potesse andarsene incolume dall'Italia. La feci scortare da 3000 cavalieri
fino a Brindisi, donde lei navigò su di una nave da guerra verso la Grecia,
per raggiungervi suo marito.
Marco Antonio era appena rientrato dall'Egitto, ove aveva trascorso l'intero
inverno in compagnia di Cleopatra. Ricaduto sotto l'influenza di Fulvia, egli
riassunse un atteggiamento ostile nei miei confronti. Si alleò con Sesto
Pompeo, che devastava le coste dell'Italia con le sue flotte piratiche, e si
diresse lui stesso a Brindisi per impossessarsi di quella città, stringendola
d'assedio. Poi tentò di occupare altre città costiere dell'Apulia sull'Adriatico,
mentre Sesto Pompeo agiva in modo analogo nel golfo di Taranto. Mi recai
allora verso Brindisi con le mie legioni ed inviai Marco Agrippa a Siponto,
ove egli riportò un successo, respingendo le forze di Antonio.
Tutto ciò aveva l'inequivocabile aspetto d'un inizio di guerra civile, sebbene
non se ne capisse il senso, dato che le ostilità contro l'Italia erano state
scatenate senza alcuna giustificazione, e perfino senza il benché minimo
pretesto.
Fu a quel punto che giunse la notizia che Fulvia era appena morta in Grecia,
laddove essa si era ammalata; e, di colpo, le ostilità cessarono. Scrissi
allora a Giulia, madre di Marco Antonio, pregandola di intercedere in favore
d'un accordo fra suo figlio e me stesso. Tale accordo venne infine concluso
a Brindisi, ed esso venne seguito dal matrimonio di Marco Antonio con mia
sorella Ottavia, che doveva avere su di lui un'influenza ben più benefica di
Fulvia. Purtroppo ella poté esercitare tale influenza solo per qualche anno,
fintanto che suo marito resistette alle brame di Cleopatra.
Da questo breve riassunto di tutto ciò che accadde a causa di Fulvia, puoi
facilmente immaginare quello che penso di lei. Non si trattava proprio della
mia donna ideale. Era stata preda di un'ambizione smodata, che la rendeva
sempre scontenta ed aggressiva, inducendola ad agire sulla base di impulsi
irrazionali e con una condotta impaziente e miope. In tali condizioni non
avrebbe mai potuto conseguire alcuno degli obiettivi che si prefiggeva. Di
fatto, non fece altro che del male a suo marito, a sua figlia ed a sé stessa.
Quanto al figlio che aveva avuto da Marco Antonio, Gaio Antonio, egli era
ancora troppo piccolo per poterne subire un'influenza funesta. Quando
crebbe, gli assicurai il rango e gli onori d'un giovane Cesare e lo maritai ad
una figlia di Ottavia.
Per quanto concerne le mie relazioni con la mia prozia Calpurnia, esse sono
sempre state molto affettuose, fin dalla mia più tenera infanzia. Sono
divenute ancor più amorevoli e rispettose dopo la tragica morte di suo
marito, e tali sono rimaste fintato ch'ella rimase in vita.
Vale,
IMP. CÆS. AVG. |