La condizione servile (2)



Léa      

Ave Cesare,

La mia domanda ti sembrerà strampalata, poiché vari secoli - ovvero alcuni millenni - ci separano, ma terrei comunque a portela!
Attualmente per i miei studi debbo lavorare sulla schiavitù antica, a Roma ed in Grecia, e vorrei sapere che ne pensi. Nella tua ottica di imperatore eccezionalmente potente, come interpreti questo barbarismo che è la schiavitù?

Grazie, e spero che mi risponderai presto, poiché devo consegnare il mio elaborato fra una settimana!

Lea



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Lea, salve.

La tua domanda non mi sembra solo strampalata, ma anche alquanto incoerente ed illogica. Da un lato sottolinei i millenni che ci separano, e dall'altro pensi di poter giudicare la mia epoca senza discostarti dai pregiudizi della tua.
Nel modo che ho conosciuto, la schiavitù era universalmente accettata non solo fra i barbari, ma anche presso i Romani ed i Greci. Parlarne come di un «barbarismo» è quindi un autentico controsenso, che denota dei preconcetti arroganti e fuorvianti.

Prima di sapere come si dovrebbe giudicare o «interpretare», come dici, la schiavitù nell'impero romano, dovresti innanzi tutto conoscere meglio il mondo nel quale la nostra civiltà si è sviluppata, con l'insieme dei suoi sentimenti, dei suoi valori e delle sue regole. Dopo di che dovresti approfondire la conoscenza del complessissimo universo della società romana, mettendo bene a fuoco il ruolo e l'importanza che vi avevano gli schiavi ed i liberti. Quando avrai sufficientemente compreso quale fosse la posizione di queste due categorie, solo allora potresti iniziare a verificare un po' più a fondo cosa fosse realmente la condizione servile a Roma.
Su questo punto mi sono già espresso abbastanza lungamente nella lettera XXVII, che è posta in questa corrispondenza sotto al titolo «La condizione servile».

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

Privacy Policy
<<< PRECEDENTE SUCCESSIVA >>> IMP. CÆS. AVG. home