Evento memorabile



Pauline      

Mi chiamo Pauline e vorrei sapere qual è stato l'evento più memorabile della tua vita.



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Pauline, salve.

Fra gli eventi memorabili che mi riguardano, quello che ha segnato più di ogni altro il corso della mia vita è stato certamente costituito dalla spaventosa situazione che ha suscitato l'avvio dell'intera mia opera a favore della Repubblica.

Tutto iniziò verso la fine dell'inverno dell'anno DCCX ab Urbe condita (1), come sai, con l'arrivo di quell'incredibile notizia che agghiacciò dall'orrore il mondo intero.
Avevo allora diciott'anni e mezzo, e mi trovavo ad Apollonia d'Illiria, in compagnia dei miei più cari amici, per condurre delle esercitazioni militari nell'ambito della preparazione della spedizione di Cesare in Oriente. Lo stesso Cesare avrebbe dovuto lasciare Roma quattro giorni dopo le idi di marzo per raggiungerci e porsi alla testa delle legioni. Avrebbe dovuto essere accompagnato dal suo magister equitum (2), che era ancora Marco Emilio Lepido. Aveva peraltro già stabilito che avrei dovuto rilevare quest'ultimo l'anno seguente, a partire dalla calende di gennaio, per assumere io stesso quell'importante carica all'età di diciannove anni. Mentre ci preparavamo ad accogliere convenientemente il nostro amato imperator, vedemmo giungere un liberto inviato da mia madre. Con le lacrime agli occhi e senza proferire una sola parola egli mi tesse la lettera che gli era stata affidata, come se non sopportasse l'idea di mettermi al corrente della gravità della situazione. In quella lettera, la dolce Azia mi diceva che Cesare, mentre presiedeva una seduta del Senato, era stato assassinato da un gran numero di congiurati capeggiati da Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto; questo crimine era stato commesso in presenza di tutti i senatori e senza che nessuno vi si fosse opposto. Azia mi supplicava di tornare al più presto presso di lei, poiché la congiuntura era spaventosa: nessuno sembrava più in grado di controllare la situazione a Roma, e non si intravedeva più alcun limite agli altri malanni che potevano ancora abbattersi sulla Città. Mi raccomandava infine di essere consapevole che dovevo ormai assumere tutte le mie responsabilità di uomo adulto, scegliendo gli scopi da prefiggermi secondo quanto era più consono ai principi della dignità, della giustizia e dell'equità, e senza oppormi al corso del destino. Dovevo inoltre agire in conseguenza, ma con la massima prudenza, tenendo conto delle circostanze e senza lasciarmi disorientare dall'incerta affidabilità degli uomini né dai capricci della Fortuna.

Era l'ora della cena. I miei amici, riuniti nel mio alloggio, erano tutti più o meno della stessa mia età. Questo gruppo includeva, fra gli altri, Marco Agrippa, Lucio Cornificio, Tito Statilio Tauro, Gaio Mecenate, Quinto Salvidieno Rufo Salvio, Gaio Cornelio Gallo, Quinto Iuvenzio e Marco Modialio. Come appresero la ferale notizia, iniziarono ad inveire contro i senatori che avevano avuto l'impudenza e l'empietà di tradire la fiducia di Cesare ed avevano commesso il loro crimine sacrilego senza curarsi della volontà del popolo di Roma, né delle necessità della Repubblica.
Quanto a me, ebbi bisogno di riflettere ancora un poco sulle parole scritte da mia madre. Vi avevo ben riconosciuto tutta la fierezza e la fermezza di Azia, così come quelle stesse doti che aveva avuto mia nonna Giulia. Ricordavo che anche quest'ultima, fintanto che rimase in vita, mi ripeteva spesso delle frasi di quel genere; e gli stessi concetti ricorrevano molto spesso anche nelle raccomandazioni che mi rivolgeva paternamente Cesare, quando trovava il tempo di occuparsi personalmente della mia educazione e del mio apprendistato politico. Queste riflessioni ebbero il potere di tranquillizzarmi immediatamente. Compresi che non si trattava più di decidere se seguire o non seguire i consigli scritti nella lettera. Di fatto, avevo potuto valutare quelle idee fin dalla mia infanzia, le condividevo ora per intero, e non avrei mai potuto comportarmi in un modo diverso senza tradire la mia propria indole.

La discussione con i miei amici divenne allora molto più agevole da seguire. Facemmo delle ipotesi sulla situazione a Roma, sull'atteggiamento dei senatori, sul potere acquisito dai congiurati, sulle minacce che potevano scaturirne e sulla precarietà della nostra posizione. Alcuni proposero di ricorrere alle legioni stanziate lì vicino, sotto il comando di Marco Acilio Glabrione. Eravamo tutti assolutamente sicuri della loro devozione alla memoria di Cesare, nonché della loro voglia di vendicarne la morte. Decisi tuttavia di scartare questa opzione, poiché disponevamo ancora di ben pochi elementi per giudicare quali fossero le reali esigenze della Patria. Scegliemmo dunque di rientrare al più presto in Italia per verificare se le leggi vi fossero ancora rispettate e per valutare conseguentemente le azioni più appropriate che avremmo dovuto intraprendere.
Avevamo comunque già acquisito una grande certezza ed una volontà incrollabile. Dovevamo impegnare tutte le nostre risorse e tutte le nostre energie per conseguire due scopi ai quali non potevamo più rinunciare: sottoporre al giudizio dei tribunali tutti i responsabili dell'assassinio di Cesare e conferire alla Repubblica i mezzi per non ricadere più vittima dell'arroganza di una fazione onnipotente e cinica, che aveva sfruttato per troppo tempo i suoi privilegi con la sola preoccupazione di curare i propri interessi particolari a scapito di quelli del popolo romano, dell'Italia e di tutto il nostro impero.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


NOTE:
(1) 44 a.C.
(2) il comandante della cavalleria era il numero 2 del potere dopo il dittatore.


quebec

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