Il cosiddetto Cesarione



O.L.      

Avete talvolta dei rimorsi per aver ucciso Cesarione?
O la considerate un'azione indispensabile?

Il Vostro fervente ammiratore.
O.L.



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto al quasi anonimo O.L., salve.

Prima di rispondere alla tua domanda, mi sembra opportuno modificarla formalmente, al fine di renderla accettabile. Si tratta in effetti di ripulirla da due errori che sono contenuti nell'espressione "aver ucciso Cesarione". Lasciami dunque chiarir bene, innanzi tutto, questi due punti.

Per prima cosa, io non ho mai ucciso nessuno. I soli uomini che uccidono altri uomini al di fuori del campo di battaglia sono degli assassini o dei boia. Ma il tono amabile della tua lettera mi fa pensare che non è a questo che pensavi. Verosimilmente tu immaginavi che io avessi avuto un potere così grande che mi sarebbe bastato solo un piccolo gesto per sbarazzarmi di coloro la cui presenza mi infastidiva. È quello che potevano fare, secondo quanto si raccontava, i monarchi più dispotici dei regni dell'Oriente. Per contro, cose di questo genere non erano possibili per un console, qual ero io stesso quando sbarcai in Egitto. Un magistrato romano, anche se dispone dell'autorità suprema simboleggiata dai tradizionali dodici fasci, non può far mettere a morte alcuna persona senza seguire tutte le procedure previste dalla legge. Egli non può dunque ordinare ai suoi littori un'esecuzione arbitraria, né decidere da solo che un uomo debba essere condannato a morte. Vi erano certamente stati degli abusi durante gli sconvolgimenti della Repubblica, ma ho fatto in modo che le illegalità non potessero più ripetersi sotto il mio governo. Fin dal mio primo consolato, ho sottoposto al giudizio dei tribunali le responsabilità degli assassini di mio padre, che furono pertanto condannati a morte in applicazione della legge. Ed ho continuato a fare lo stesso in seguito. Non si trattava di semplici formalità: la grande tradizione di rigore dei giureconsulti romani non avrebbe mai permesso che il ricorso alla legge, alla giustizia ed all'equità divenisse il pretesto per degli occulti maneggi politici.

In secondo luogo, precisiamo meglio di chi stiamo parlando. "Cesarione" non è altro che il soprannome burlone dato dagli Alessandrini a Tolomeo XV, che ha regnato sull'Egitto per otto anni con sua madre Cleopatra. Questo soprannome ellenizzante e un po' ridicolo dovrebbe far intendere ch'essi lo consideravano un figlio naturale di Giulio Cesare, che aveva conosciuto ed amato Cleopatra durante la guerra Alessandrina. In quell'occasione, mio padre aveva in effetti difeso i diritti della giovanissima Cleopatra contro le violenze di suo fratello e marito Tolomeo XIII (colui che aveva anche avuto l'impudenza di far uccidere Pompeo Magno). Al termine della guerra, egli aveva lasciato sul trono d'Egitto la stessa Cleopatra, con l'altro suo fratello Tolomeo XIV, che lei aveva conseguentemente sposato. Allora, qualche perdigiorno delle province d'Oriente avrebbe potuto interrogarsi sull'attendibilità dei pettegolezzi alessandrini, ponendosi questa domanda: visto che Tolomeo XV era nato da Cleopatra qualche mese dopo la fine della guerra Alessandrina, poteva egli essere realmente figlio del divo Giulio?
Ebbene chiunque conosca sufficientemente la mentalità, le tradizioni e le leggi dei Romani sa perfettamente che si tratta d'una domanda inutile. Per i Romani la paternità non è mai il frutto del caso, ma di una decisione del tutto consapevole da parte del padre. Non è che dal momento in cui un uomo esprime pubblicamente la sua volontà di prendere un bambino come suo proprio figlio, che tale bambino diventa suo figlio. È per questo motivo che un figlio adottivo è universalmente riconosciuto come un figlio a tutti gli effetti; mentre qualsiasi altro non potrà mai essere considerato figlio del suo presunto padre naturale se quest'ultimo non l'ha riconosciuto ufficialmente. Di conseguenza, nel caso di Tolomeo XV, non vi poteva essere alcun dubbio: poiché mio padre non l'aveva mai riconosciuto, egli non poteva essere considerato suo figlio, né dalla legge romana, né da alcun Romano.

In conclusione delle miei precisazioni preliminari, la tua domanda dovrebbe essere così riformulata: "Hai talvolta dei rimorsi per aver optato a favore della condanna a morte di Tolomeo XV, figlio primogenito di Cleopatra e re d'Egitto con lei?". È dunque questa domanda che risponderò.

No, non ho né alcun rimpianto, né alcun rimorso. Avevo attentamente esaminato, con i miei collaboratori, la situazione di questo giovane re, così come quella del figlio primogenito di Marco Antonio, che si chiamava anch'egli Marco Antonio e che gli Alessandrini avevano soprannominato "Antonillo", con il loro abituale gusto di deformare i nomi romani.
Questi due ragazzi erano cresciuti nel disprezzo delle tradizioni romane ed avevano rifiutato la clemenza che ero pronto ad accordare secondo le nostre consuetudini: il primo avrebbe dovuto divenire amico ed alleato del popolo Romano, come tutti i sovrani sconfitti dopo aver intrapreso una guerra contro Roma; il secondo avrebbe semplicemente dovuto riprendere a comportarsi come un Romano. Anziché accettare queste proposte ragionevoli, essi minacciavano di reclutare sotto le loro insegne tutti coloro che sognavano ancora la rinascita dell'impero alessandrino su tutto l'Oriente ed anche sull'Occidente. Si trattava evidentemente d'una utopia, ma di quelle utopie che hanno la capacità di spargere dei disordini, delle distruzioni e dei lutti assolutamente concreti. La Repubblica aveva già abbastanza sofferto fino allora, e sarei stato un irresponsabile se avessi giudicato che potevamo trascurare il rischio di lasciar fomentare dei nuovi focolai di guerra.
Peraltro, nn avevo alcuna ragione di odio o di rancore contro i figli di Marco Antonio e di Cleopatra. Anzi, ho voluto assicurarmi che venissero trattati secondo quanto competeva al loro rango. In effetti, i sei figli di Antonio che rimanevano vennero tutti accolti da mia sorella Ottavia, che li educò insieme ai propri. Ho anche voluto che il maggiore di questi ragazzi, Iullo Antonio, figlio di Fulvia, venisse considerato altrettanto importante d'un giovane Cesare - subito dopo i due figli di Livia - e che sposasse una figlia di Ottavia. Ho anche voluto che i tre figli di Marco Antonio e di Cleopatra, Tolomeo Filadelfo, Cleopatra Selene e Alessandro Elio ricevessero un trattamento da principi, e che la fanciulla divenisse regina anche lei, come sua madre, sposando l'affascinante Giuba II, re dei Mauri ed amico del popolo Romano.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

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